La radicalizzazione jihadista in Italia

Il primo settembre la presidenza del consiglio dei ministri ha insediato una commissione sulla radicalizzazione jihadista in Italia, di cui fa parte il prof. Stefano Allievi, editorialista del nostro giornale. Gli abbiamo chiesto una riflessione sul suo ruolo e il fenomeno che deve analizzare. Continua a leggere

Allarme islam e bambini kamikaze: forse stiamo un po' esagerando…

Durante le vacanze estive, nel Chianti, ho assistito alle attività ludiche di alcuni bambini in un parco giochi attrezzato di un paesino di poche migliaia di abitanti. Nell’atto di prepararsi alla conquista della preziosa postazione di un cavallino a molla, a spese di un altro bambino, un ragazzino ha lanciato il fatidico grido: “Allahu Akbar!”, cacciando il più piccolo dalla sua cavalcatura. Erano tutti italianissimi. Continua a leggere

"il Giornale" mi ama: un esempio di giornalismo etico…

All’inizio non ho diffuso questo post sui miei account: il suo oggetto non lo merita. Mi sono limitato a inserirlo sul sito a futura memoria, nascondendolo discretamente, con una data di un mese precedente al fatto per non dargli pubblicità sulla home page. Oggi lo ricolloco al suo posto, in ordine cronologico. Aggiungendo una postilla.
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Sul burqini: significato di una polemica

La questione potrebbe essere rubricata tra le polemiche estive, per definizione inutili e vacue, se non fosse per le importanti questioni di principio che implica. Parliamo del cosiddetto burqini, un abito da bagno che alcune donne musulmane indossano al mare o in piscina, e che in alcune località francesi – speriamo senza solerti imitatori nostrani – comincia a essere vietato qua e là. Continua a leggere

Musulmani in chiesa: le conseguenze di un gesto

La presenza di esponenti musulmani alla messa domenicale in molte località italiane, incluse molte chiese venete e del Nordest, per esprimere solidarietà e vicinanza ai cattolici dopo l’assassinio di padre Jacques Hamel, ucciso nella sua chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, è un simbolo potente, che può avere conseguenze significative sul rapporto tra musulmani e non musulmani (non solo cattolici) nel nostro paese. Continua a leggere

Come il terrorismo ci cambia la vita

Negli ultimi dieci giorni ho preso sei aerei su tratte internazionali, tra l’Europa e il Canada. E credo di aver pensato la stessa cosa di molti altri viaggiatori, dopo che gli aeroporti sono diventati obiettivi privilegiati del terrore, da Bruxelles a Istanbul. Un pensiero che sta tra la preoccupazione che accada qualcosa, il guardarsi attorno con maggiore attenzione, e il sollievo perché nulla è successo, alla fine del viaggio. Continua a leggere

Avanti un altro: la nuova legge anti-moschee del Veneto

Alla Lega e alle altre forze di governo in Veneto, piace vincere facile. E così si sono approvate la loro legge anti-moschee, che in questo momento è come far piovere sul bagnato. Incuranti delle proteste delle altre confessioni religiose: sia quelle minoritarie (come i valdesi), sia quella cattolica. Continua a leggere

Giovani, periferie, terrorismo: la rozza teologia dei simpatizzanti dell'Isis

intervista “Avvenire” (clicca qui)
“Avvenire”, 24 marzo 2016, intervista di Umberto Folena, p.7

Bruxelles, casa nostra. L'Europa e la risposta al terrorismo

E’ un salto di qualità. Potrebbe esserlo. Vorremmo che lo fosse. Non del terrorismo: ma della consapevolezza che abbiamo di esso. E della consapevolezza che di fronte ad esso dobbiamo fare fronte comune, perché apparteniamo alla stessa storia, allo stesso paese, alla stessa famiglia. Continua a leggere

Sugli attentati di Bruxelles

ANSAmed – intervista di Luciana Borsatti
I nuovi “cavalieri neri” dell’Islam in Europa nascono da una cultura di “separazione e auto-ghettizazione” di alcuni gruppi intrisi di ideologie neo-salafite, innestati in una cultura anti-sistema costruita in chiave islamica. E’ l’opinione del sociologo Stefano Allievi, direttore del Master sull’Islam in Europa all’università di Padova e autore di molti saggi sulle comunità musulmane nel continente.
Certo, riflette lo studioso dopo gli attacchi di Bruxelles, esiste “una quota non disprezzabile di simpatizzanti dell’Isis, e più in generale di giovani che si vivono in una situazione di contrapposizione frontale con il mondo”. Ma da qui a dire, aggiunge, che gli adepti al terrorismo “godano di una protezione omertosa nelle loro comunità, come negli ambienti mafiosi, ce ne vuole”. Certo, deve preoccupare il caso di Salah Abdeslam, il grande ricercato per gli attacchi di Parigi arrestato nel quartiere brussellese di Molenbeek, “lì nascosto e da qualcuno protetto perché lì era vissuto”, ma oltre a chi li protegge c’è anche chi li denuncia e collabora per catturarli. Del resto, “se bastasse vivere in quei quartieri per identificarsi con il terrorismo, di attentatori e foreign fighters ne avremmo molti di più”.
Per Allievi il problema è rappresentato dall'”idea di un mondo valoriale e culturale autosufficiente”, figlia appunto di una “separazione” e di un “neo-tradizionalismo” di derivazione salafita “che non è legato direttamente al terrorismo – prosegue – ma che culturalmente lo precede, e legittima la convinzione di una propria diversità quasi antropologica, che separa i ‘buoni musulmani’ rispetto agli altri. E che, anche se non ci sono automatismi, porta alcuni ad uccidere in nome di questa separatezza radicale, di questa diversità che riduce l’altro a mero simbolo, togliendogli lo statuto di persona”.
Nell’ambito di questa cultura della separatezza “c’è questa idea del puro contro l’impuro – osserva ancora il sociologo padovano – e una fascinazione per il ‘cavaliere nero’, secondo un immaginario non molto diverso da quello del ‘Signore degli anelli’, che qui trova una declinazione islamica efficace”.  Tuttavia, ribadisce più volte Allievi, “la separatezza culturale da sola non equivale alla legittimazione del terrorismo, anche se in questo terreno quest’ultimo può trovare le sue strade”.
Indubbio comunque il ruolo che la potenza wahabita saudita – attiva anche nel finanziare il terrorismo di Al Qaeda o dell’Isis che poi le si ritorce contro, osserva ancora Allievi – ha giocato nella diffusione di questa cultura neo-salafita, tramite l’influenza di certi imam e moschee, e anche finanziando corsi e borse di studio offerte a “pii musulmani che tornano a casa con le barbe lunghe, la moglie col niqab e motivazioni diverse rispetto al loro essere pii”.
Quanto all’Italia, sebbene la stessa analisi si possa applicare ad “alcune frange ultraminoritarie”, il fenomeno è molto meno presente che in altri paesi europei, e per vari motivi. “Perché la presenza islamica da noi è più recente – spiega – e meno numerosa”, oltre che dispersa in centri e quartieri urbani più piccoli rispetto a quelli di altre realtà urbane europee, dove la conoscenza personale e l’integrazione sono più facili.
Ma come può l’Europa rispondere a questi fenomeni? “Innanzitutto con ‘più Europa’”, risponde lo studioso, per esempio “facendo finalmente una vera Fbi europea”. Ma anche con “più cultura e integrazione reale”, coerenti con i più profondi valori europei, anche in momenti di crisi come quelli attuali. “Chiudere le frontiere non ha senso – conclude Allievi – se gli attentatori vengono da due fermate di metropolitana di distanza”. (ANSAmed).