Referendum cittadinanza: una lettura in controtendenza
Analizzo in maniera abbastanza diversa l’esito dei referendum: di uno in particolare. Credo che quelli sul lavoro fossero sbagliati (ne ho scritto qui). O meglio, al di là del merito, credo che avessero uno scopo politico, di posizionamento ideologico, di schieramento, di egemonia su un’area politica, di resa dei conti interna, anche (e anche per chi ne condivideva il contenuto). E infatti hanno ottenuto un risultato quasi plebiscitario: anomalo, forse persino problematico e preoccupante, se si fosse votato nel merito. I plebisciti sono sempre sospetti. Se è andata così, in buona parte, è perché è stato votato per le stesse ragioni politiche e di schieramento per cui è stato promosso. So che molti non vorranno riconoscersi in questa immagine: ma, di fatto, mi appare abbastanza chiaro che è stato votato perché lo promuovevano i propri partiti o la propria organizzazione sindacale – e, molto, per cercare di colpire, per via referendaria (e quindi obliqua) lo schieramento opposto, la destra. Come è molto evidente (purtroppo, anche per le sorti future della democrazia) dal posizionamento espresso negli ultimi giorni di campagna referendaria dai promotori partitici (il ridicolo autogol del “preavviso di sfratto” per il governo) – e, peggio ancora, dall’analisi post-voto, ridotta a slogan autoassolutori tutti politichesi (il confronto con i voti di Meloni).
.
Il referendum sulla cittadinanza, invece, è stato votato nel merito. Per questo ha avuto un risultato diverso. Il che è un’ottima notizia: tutto il contrario della lamentatio che vedo levarsi nel campo che era favorevole al sì. È andato meglio, non peggio, degli altri referendum. Perché la gente, votando, ha detto quello che pensava nel merito. Ed è vero che molti tra quelli che non sono andati a votare stanno nel campo della destra, e quindi sono tradizionalmente più anti-immigrati: anche se trovo un errore gigantesco regalare l’intero campo dell’astensionismo allo schieramento di centro-destra (semplicemente, esiste un’altra sinistra, e un centro, molto più ampi di quello che alcuni pensano, che non si identificano con quella sinistra, quella che i referendum sul lavoro li ha voluti).
Personalmente penso, e lo pensavo già prima del voto, che l’accorpamento con i referendum sul lavoro abbia danneggiato proprio quello sulla cittadinanza: perché ha per l’appunto impedito di discuterne, di entrare nel merito, relegandolo nel cono d’ombra prodotto da ben quattro altri quesiti (gli unici che avevano un vero sostegno istituzionale, organizzativo, partitico) su argomenti minori e tecnicismi, che si sapevano essere sostenuti per ragioni di schieramento. E il “cinque sì”, così, all’ingrosso, a molti potenziali elettori non è piaciuto: alla fine l’alternativa secca tra questi cinque sì e l’astensionismo, a prescindere dal merito, ha polarizzato ulteriormente l’elettorato, spingendo proprio l’astensionismo.
I referendum veramente su questioni civili, di civiltà, sono divisivi per definizione: non producono percentuali bulgare. Il referendum sul divorzio finì 59,3% contro 40,7%. Quello sull’aborto promosso dal Movimento per la Vita, che voleva limitarne l’applicazione, 68% contro 32%. Tutto sommato, la percentuale di quello sulla cittadinanza di oggi. Certo, direte, se avessero votato gli altri, di destra, sarebbe andata peggio… Ma, appunto, non è vero che gli altri sono di destra e quindi anti-immigrati (anche questo un assunto vero solo per una parte, non per tutti, come mostrano persino le divisioni partitiche sul tema nello schieramento di governo).
.
Facciamo un po’ di fantareferendum. Immaginiamo che si fosse votato sulla cittadinanza, sull’autonomia differenziata, sull’eutanasia e sulla depenalizzazione dell’uso della cannabis. Quattro referendum diversissimi: su cui moltissimi hanno sicuramente posizioni differenziate, favorevoli all’uno ma non all’altro. Si sarebbe discusso maggiormente nel merito. La scappatoia dell’astensione sarebbe probabilmente stata più rischiosa, perché alcuni referendum avrebbero agito come effetto di trascinamento anche su altri, rendendo tutt’altro che scontato (come invece era adesso) il non raggiungimento del quorum (alcuni sono interessanti per uno schieramento, altri per l’altro, alcuni per alcune fasce di popolazione e d’età, altri per altre: molti più giovani avrebbero votato, per esempio). Quale sarebbe stato il risultato, non può prevederlo nessuno. Ma non darei per scontato che quello sulla cittadinanza avrebbe perso. Tutt’altro.
.
Se, poi, si modificasse, grazie a una iniziativa bipartisan oggi doverosa, il meccanismo stesso del referendum e le sue modalità (nel modo e per le ragioni che ho cercato di spiegare qui ), potremmo in futuro avere non poche sorprese. Il referendum, insomma, non è morto. È solo usato male, e quindi dà risultati discutibili. Ragione di più per migliorare la situazione. C’è margine per farlo.