Perché gli immigrati se ne vanno

I dati ufficiali sulle presenze di stranieri in Veneto, riproposti dal Dossier statistico sull’immigrazione del 2017, parlano di 485.477 immigrati, quasi il 10% della popolazione: più della media nazionale (8,3%), meno di quella del Nord-Est (10,4%). Il Veneto è la quarta regione per numero di immigrati, dopo Lombardia, Lazio e Emilia-Romagna. Ai regolari bisogna aggiungere una quota non facilmente stimabile di irregolari, tali per diversi motivi: giunti come tali, trattenutisi oltre la durata del visto, inottemperanti ai provvedimenti di espulsione, o infine non riconosciuti aventi titolo di richiedenti asilo, ma rimasti in regione.
Tuttavia, le tendenze in atto non rimandano all’immaginario di invasione riproposto dalla maggior parte dei media e della politica locale. Oltre a chi entra, c’è infatti chi esce: sempre di più. Da due anni a questa parte, infatti, il numero di immigrati residenti è in calo: di 12.444 persone solo nel 2016, rispetto al 2015. Un dato quasi identico a quello dei veneti che hanno lasciato la regione nel 2016 (e nelle uscite di residenti il Veneto è invece la seconda regione, dopo la Lombardia).
Il dato degli immigrati va in realtà interpretato: una parte significativa del calo è infatti dovuto agli immigrati che hanno acquisito la cittadinanza italiana, e non risulta quindi più tra gli immigrati (la regione Veneto è tra quelle che concede più cittadinanze, a testimonianza di un buon livello di integrazione e di una permanenza di lunga durata ormai consolidata), mentre una parte si è effettivamente spostata dalla regione, in prevalenza andando in altri paesi europei, e in piccola parte anche rientrando nei paesi d’origine. La tendenza a spostarsi verso altri paesi europei è ancora più forte tra gli immigrati arrivati irregolarmente, come testimoniano gli aumentati controlli alle frontiere dei paesi nostri confinanti.
E’ interessante notare che la presenza maggiore di immigrati, in Veneto, sia nella provincia di Verona, che è anche quella con il tasso di disoccupazione più basso: a testimonianza che non corrisponde al vero, se non per fasce minoritarie di lavori a bassissima qualificazione e a basso reddito, che ci portano via il lavoro. Il Veneto peraltro conta altre due province oltre a Verona (Vicenza e Belluno), tra le prime dieci in Italia per tasso di disoccupazione più basso.
Mentre va notato che il Veneto è in coda per quanto riguarda le classifiche sui richiedenti asilo, ovvero i nuovi arrivati a seguito degli sbarchi sulle nostre coste, quelli più mediatizzati: è solo al 7° posto per le presenze nei CAS, i centri di accoglienza straordinari, e addirittura all’11° posto (a pari merito con altre quattro regioni, per cui praticamente a fondo classifica) per i posti negli SPRAR, i centri istituzionali gestiti volontariamente dai comuni, sovvenzionati peraltro interamente dallo stato.
Nonostante l’opinione dei più, per i quali la diminuzione degli immigrati è considerata una buona notizia, in realtà è pessima. Molti di quelli che se ne vanno via sono qui da molti anni, e proprio qui hanno imparato un mestiere, le cui conoscenze metteranno a frutto altrove. E qui avevano provato ad integrarsi: in parte riuscendoci, in parte no, e non solo per motivi economici. La reazione alla presenza degli immigrati, il sentirsi stigmatizzati anche legislativamente (le leggi “prima i veneti”), il vedersi o meno riconosciuto il diritto di culto (legge contro le moschee, pratiche amministrative a livello municipale spesso discriminanti), difficilmente possono essere considerati neutri rispetto alla volontà di rimanere laddove ci si trova. E anche il fatto che tra coloro che acquisiscono la cittadinanza, una parte la consideri più come una tappa del proprio percorso migratorio in Europa, anziché come un punto di arrivo, costituisce una perdita netta. Non diversa da quella relativa agli autoctoni che se ne vanno: socializzati qui, formati qui a nostre spese, ma che mettono a frutto le loro capacità altrove.
Ma non è una buona notizia, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 26 novembre 2017, editoriale, p.1