CPR in Albania e emigranti di ritorno. Le decisioni del governo
I taxi del mare li ha inventati il governo. Sono le navi che porteranno avanti e indietro dall’Albania i richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta in Italia. Tutto per dare un senso a dei centri vuoti, costruiti in tutta fretta e mai utilizzati, per i quali il governo rischia – e meriterebbe – l’accusa di danno erariale, a causa di un investimento enorme quanto insensato.
Nati per altri motivi (selezionare i migranti all’arrivo e respingere i non aventi diritto), ma fondati su basi giuridiche zoppe e malpensate, tanto che sono ancora inutilizzati, i centri in Albania verranno riconvertiti in CPR, ovvero Centri per il rimpatrio. Cambio di destinazione d’uso, insomma, per consentire un’attività diversa da quella originaria. Il tutto, al solo scopo di giustificare un investimento sbagliato, ma senza voler ammettere che l’utilità pratica fosse nulla già nella prima progettazione, quando comunque avrebbe portato a un aumento dei costi rispetto all’analisi delle pratiche in Italia. Il progetto infatti, fin dall’inizio, aveva solo due obiettivi: a) uno scopo ideologico, ovvero dire che si fa qualcosa contro gli immigrati impedendo loro di rientrare (un vecchio refrain delle forze politiche che sostengono questa maggioranza, in passato articolato in formule come ‘frontiere chiuse’ o ‘blocco navale’, non a caso non più sollevate per impossibilità tecnica, ma grazie alle quali si sono presi milioni di voti); b) uno scopo propagandistico, ovvero dare l’impressione ai cittadini di fare qualcosa, esternalizzando alcune funzioni di gestione dei flussi migratori. Il problema è che il cittadino ne esce buggerato e malconcio: perché il conto di questa inettitudine da dilettanti allo sbaraglio lo pagherà lui, e perché quanto accade è mera cosmesi. Si porteranno dei richiedenti asilo denegati, o persone soggette a provvedimento di espulsione per altri motivi, dall’Italia all’Albania, li si lascerà cuocere al sole del Mediterraneo per tutto il tempo che si vorrà, senza alcun diritto (e fino a un massimo di 18 mesi: senza alcun capo di imputazione!), per poi, se li si vorrà e potrà rimpatriare, riportarli in Italia, e se non li si potrà rimpatriare pure (a meno che non li si lasci liberi in Albania, autorità albanesi permettendo: il che significherebbe ritrovarseli alle frontiere dell’Italia lungo il corridoio balcanico o perché ritentano la traversata verso le coste del Belpaese).
Molto rumore per nulla, verrebbe da dire: e molto denaro, e molte parole inutili e azioni imbarazzanti. Senza nel frattempo aver fatto nulla per (ri-)costruire flussi di ingresso regolari, né aver firmato accordi di rimpatrio, né – ancora meno – aver attuato politiche di integrazione, per le quali i soldi investiti in Albania sarebbero stati assai meglio spesi, con maggior vantaggio per gli italiani, dato che più integrazione equivale a più sicurezza. Ma il sospetto è che non sia questo l’obiettivo reale: è solo lo slogan grazie al quale prendere i voti, ma senza implementare politiche che la producano davvero.
Doveroso, invece, e semmai tardivo, l’annunciato intervento sulle cittadinanze dei discendenti di italiani (poteva chiederla anche l’intera famiglia di un antenato emigrato centocinquantanni fa), che ne limita la possibilità di richiesta agli emigrati da due generazioni. Si blocca finalmente un’attività insensata, che sovraccaricava di lavoro ambasciate e uffici anagrafi dei comuni, per persone che nella stragrande maggioranza dei casi nemmeno sapevano l’italiano e non avevano alcuna intenzione di tornare in Italia, ma semmai intendevano usare il nuovo passaporto, che è anche comunitario, per andare altrove, in particolare negli USA, senza visto, o usufruire di cure presso il sistema sanitario nazionale: legittimo, ma non ha nulla a che fare con la presunta italianità, su cui pure si sono spesi fiumi di retorica (bipartisan, va pur detto, dato che queste leggi sono state approvate dal parlamento tutto, con pochissime eccezioni a titolo personale).
Gli espulsi sui taxi del mare, in “L’Altravoce. il Quotidiano nazionale”, 29 marzo 2025, p.13