Fine vita: l’ipocrisia della politica
Sul fine vita, e il diritto a decidere sulla propria morte, si combatte una triste battaglia. Non tra posizioni diverse, che sarebbe legittimo. Ma tra chi si assume le responsabilità del proprio lavoro – nel caso della politica, di decidere – e chi non lo fa.
La cosa più indegna è che non si tratta nemmeno di decidere su un principio, ma solo sulla tempistica della sua applicazione: certa politica conigliesca scappa persino da questo. Il principio infatti è già garantito: un paziente malato terminale ha il diritto di autosomministrarsi un farmaco letale. Si chiama suicidio assistito, e consente a chi ha una patologia irreversibile, sta vivendo sofferenze intollerabili, è totalmente dipendente da macchinari per sopravvivere (senza sarebbe già morto), ed è capace di intendere e di volere, di decidere se e quando somministrarsi il farmaco letale. Nessuna eutanasia: non sono altri a decidere. Ma una libera assunzione di responsabilità da parte dell’individuo. Si tratta solo di obbligare le strutture sanitarie a rispondere in tempi certi alle richieste dei diretti interessati (e, peraltro, possono anche rispondere di no, per fondati motivi).
Tale norma era già stata scandalosamente bocciata in consiglio regionale, con il voto decisivo anche di una consigliera del Partito Democratico, poco più di un anno fa. Eppure i sondaggi ci dicono che la società civile è in maggioranza a favore, lo è anche gran parte del centro-destra, e pure i cattolici sono divisi a metà. Anche perché – come sosteneva Giovanni Reale, filosofo cattolicissimo – chi affida alle macchine la vita delle persone non sacralizza la vita, ma la tecnica. Ecco perché dovremmo smetterla di chiamare pro vita militanti e associazioni che sono invece a favore dell’accanimento terapeutico: scelta legittima, ma molto meno valoriale di quanto amano pensare. Mentre chi è a favore del suicidio assistito non è affatto pro morte, ma a favore di una vita dignitosa, non dipendente dalle scelte altrui, consapevole che senza il progresso tecnico (non la volontà divina, o l’amore della propria famiglia) la morte sarebbe sopravvenuta già da un pezzo.
Inoltre, sono in maggioranza a favore gli ospedalieri, medici e infermieri, e molte famiglie di malati gravi e terminali. Su cui l’ignavia dei politici che si rifiutano di normare il principio scarica la responsabilità della scelta. L’ennesimo festival dell’ipocrisia, insomma, visto che poi, se agire bisogna, qualche mezzo si trova, ma sempre a rischio di essere perseguiti. La stessa ipocrisia che fa dire ai consiglieri regionali contrari che tocca al parlamento decidere. È vero: e non si contano le sollecitazioni della Corte costituzionale a legiferare. Peccato che chi non vuole farlo siano precisamente i parlamentari della stessa parte politica di coloro che dicono che allora non vogliono decidere a livello regionale. Mettetevi d’accordo con voi stessi: se volete una regolamentazione parlamentare, chiedetela ai vostri. Se accettate che non ci sia, adeguatevi al fatto che la decisione – per la quale, peraltro, siete pagati – allora spetta a voi.
Il presidente della regione Zaia ha il merito di porre anche i suoi di fronte a un dilemma che è etico ma anche politico. Volete l’autonomia? Praticatela. Decidendo, come hanno fatto anche Emilia-Romagna e, proprio in questi giorni, Toscana. Non scappando dalle decisioni. Non nascondendovi dietro all’ignavia di Roma, visto che avete la possibilità di decidere a Venezia. Invocare la sussidiarietà solo a giorni alterni, quando fa comodo ed è a costo politico zero, è uno spettacolo triste e persino volgare.
Zaia, in questo, ha il merito enorme e raro di una laica e testarda coerenza. Su questo come su altri temi etici, a cominciare dalle questioni di genere (omosessualità, transgender, ecc.). Merita rispetto, per questo: a maggior ragione, perché ha il coraggio di andare contro una parte dei suoi. In nome del principio per cui un leader non è chi segue gli umori di chi presume essere i suoi (secondo il principio per cui “je suis leur chef, il faut que je les suive”), ma chi li precede e li guida. E vedrete, finirà così. Che anche chi fa finta di dichiararsi contrario sarà contento del fatto che Zaia – con un regolamento o forse solo una circolare – gli tolga le castagne dal fuoco. Avrà mantenuto la verginità senza il bisogno di essere virtuoso. La più ipocrita delle vie d’uscita.
Il festival della ipocrisia, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 13 febbraio 2025, editoriale, pp. 1-7