Bruxelles, casa nostra. L'Europa e la risposta al terrorismo

E’ un salto di qualità. Potrebbe esserlo. Vorremmo che lo fosse. Non del terrorismo: ma della consapevolezza che abbiamo di esso. E della consapevolezza che di fronte ad esso dobbiamo fare fronte comune, perché apparteniamo alla stessa storia, allo stesso paese, alla stessa famiglia. Continua a leggere

Sugli attentati di Bruxelles

ANSAmed – intervista di Luciana Borsatti
I nuovi “cavalieri neri” dell’Islam in Europa nascono da una cultura di “separazione e auto-ghettizazione” di alcuni gruppi intrisi di ideologie neo-salafite, innestati in una cultura anti-sistema costruita in chiave islamica. E’ l’opinione del sociologo Stefano Allievi, direttore del Master sull’Islam in Europa all’università di Padova e autore di molti saggi sulle comunità musulmane nel continente.
Certo, riflette lo studioso dopo gli attacchi di Bruxelles, esiste “una quota non disprezzabile di simpatizzanti dell’Isis, e più in generale di giovani che si vivono in una situazione di contrapposizione frontale con il mondo”. Ma da qui a dire, aggiunge, che gli adepti al terrorismo “godano di una protezione omertosa nelle loro comunità, come negli ambienti mafiosi, ce ne vuole”. Certo, deve preoccupare il caso di Salah Abdeslam, il grande ricercato per gli attacchi di Parigi arrestato nel quartiere brussellese di Molenbeek, “lì nascosto e da qualcuno protetto perché lì era vissuto”, ma oltre a chi li protegge c’è anche chi li denuncia e collabora per catturarli. Del resto, “se bastasse vivere in quei quartieri per identificarsi con il terrorismo, di attentatori e foreign fighters ne avremmo molti di più”.
Per Allievi il problema è rappresentato dall'”idea di un mondo valoriale e culturale autosufficiente”, figlia appunto di una “separazione” e di un “neo-tradizionalismo” di derivazione salafita “che non è legato direttamente al terrorismo – prosegue – ma che culturalmente lo precede, e legittima la convinzione di una propria diversità quasi antropologica, che separa i ‘buoni musulmani’ rispetto agli altri. E che, anche se non ci sono automatismi, porta alcuni ad uccidere in nome di questa separatezza radicale, di questa diversità che riduce l’altro a mero simbolo, togliendogli lo statuto di persona”.
Nell’ambito di questa cultura della separatezza “c’è questa idea del puro contro l’impuro – osserva ancora il sociologo padovano – e una fascinazione per il ‘cavaliere nero’, secondo un immaginario non molto diverso da quello del ‘Signore degli anelli’, che qui trova una declinazione islamica efficace”.  Tuttavia, ribadisce più volte Allievi, “la separatezza culturale da sola non equivale alla legittimazione del terrorismo, anche se in questo terreno quest’ultimo può trovare le sue strade”.
Indubbio comunque il ruolo che la potenza wahabita saudita – attiva anche nel finanziare il terrorismo di Al Qaeda o dell’Isis che poi le si ritorce contro, osserva ancora Allievi – ha giocato nella diffusione di questa cultura neo-salafita, tramite l’influenza di certi imam e moschee, e anche finanziando corsi e borse di studio offerte a “pii musulmani che tornano a casa con le barbe lunghe, la moglie col niqab e motivazioni diverse rispetto al loro essere pii”.
Quanto all’Italia, sebbene la stessa analisi si possa applicare ad “alcune frange ultraminoritarie”, il fenomeno è molto meno presente che in altri paesi europei, e per vari motivi. “Perché la presenza islamica da noi è più recente – spiega – e meno numerosa”, oltre che dispersa in centri e quartieri urbani più piccoli rispetto a quelli di altre realtà urbane europee, dove la conoscenza personale e l’integrazione sono più facili.
Ma come può l’Europa rispondere a questi fenomeni? “Innanzitutto con ‘più Europa’”, risponde lo studioso, per esempio “facendo finalmente una vera Fbi europea”. Ma anche con “più cultura e integrazione reale”, coerenti con i più profondi valori europei, anche in momenti di crisi come quelli attuali. “Chiudere le frontiere non ha senso – conclude Allievi – se gli attentatori vengono da due fermate di metropolitana di distanza”. (ANSAmed).

L'imam a scuola e l'inaudita ingerenza della politica

Quella della scuola media di Pertile, ad Agordo, e della sua decisione di invitare prima, e di revocare poi, a seguito delle pressioni della politica, l’invito a un imam a parlare agli studenti, è un esempio al contempo ridicolo e folle di isteria collettiva, che spiega bene i tempi che stiamo vivendo. Continua a leggere

ISIS e foreign fighters

“Sull’ISIS e i foreign fighters”: una riflessione a margine degli incontri del festival Vicino Lontano, maggio 2015
dal minuto 27.58 (qui), dopo le riflessioni di Lucio Caracciolo, Marco Tarchi e del gen. Roberto Vergottini sul declino di USA e NATO

Meriem: quando la stampa diventa un'arma

Domenica 21 febbraio. Il Gazzettino pubblica a tutta (prima) pagina il seguente titolo: “Padovana nell’Isis: sono pentita”. Sottotitolo: “Drammatica telefonata alla famiglia: ‘Vorrei fuggire ma gli uomini del Califfo mi ucciderebbero’”.
Il titolo già dice perché la notizia c’è. Il sottotitolo, perché non si sarebbe dovuto darla. Continua a leggere

"Perché noi intellettuali chiediamo giustizia per Regeni"

Stefano Allievi: “Perché noi intellettuali chiediamo giustizia per Regeni” Continua a leggere

La generazione dei Giulio Regeni

Quella di Giulio Regeni è una generazione itinerante: mobile per necessità e per desiderio. Continua a leggere

Rohani e le statue coperte: la vera posta in gioco

I professionisti dell’indignazione un tanto al chilo, i benpensanti della dignità della nostra civiltà, hanno avuto modo di sfogare la loro libido sulla questione delle statue nascoste alla vista nei Musei Capitolini, durante la visita del presidente iraniano Rohani. Una vicenda perfetta, per condannare la vergognosa sottomissione all’islam del governo, e incitare alla rivendicazione della superiorità della nostra cultura. Continua a leggere

Legge anti-moschee anche in Veneto: perché è un errore

La legge si presenta come semplice revisione normativa sul piano urbanistico. Tuttavia la norma approvata ieri in commissione urbanistica dal Consiglio regionale del Veneto consentirà di fatto ai sindaci di rendere la vita assai difficile a qualunque progetto di adibire un edificio ad uso religioso, e dunque alle moschee, che sono quelle che fanno problema a molti amministratori (non per quello che fanno, ma spesso per la loro sola esistenza).
Non c’è dubbio che i luoghi di culto vadano regolamentati, sul piano urbanistico come su quello dell’ordine pubblico. La normativa c’è, e sul piano regolamentare si può fare di più. La cosa riguarda anche la possibilità di adibire a luogo di culto edifici nati per altro scopo: un fatto, quello del cambio di destinazione d’uso, accettato peraltro correntemente in tutti i comuni come prassi abbastanza ordinaria di gestione urbanistica, e utilizzato, oltre che da molti altri soggetti (privati, imprese, commercianti, associazioni), anche dalle più diverse confessioni religiose, musulmani come pentecostali, testimoni di Geova come – succede – cattolici (anche perché ha un senso, per dire, sia sul piano economico che su quello urbanistico, acquistare un capannone in disuso in una zona industriale, per farne un centro culturale o un luogo di aggregazione religiosa – costa meno, e non si disturba nessuno…). Lo scopo del progetto però è dichiarato: è una legge anti-moschee, nata come tale. Lo mostra il comunicato con cui il tosiano Bassi, tra i promotori della legge, ha salutato l’approvazione di ieri: “L’ultimo episodio contestato recentemente dai cittadini del Comune di San Giovanni Lupatoto, nel veronese è la notizia di una prossima apertura di un centro studi per imam. Un’iniziativa (…) che registra tra la cittadinanza pareri critici e diffidenze”. Come se bastasse la diffidenza di qualcuno per legittimare la negazione di un diritto di molti (già oggi residenti e produttori, e in numero sempre maggiore domani cittadini ed elettori) – e per giunta davanti a un centro di formazione di imam (che è nell’interesse di tutti, che si formino…), neanche di una moschea. L’intento discriminatorio rischia dunque di fare aggio sul diritto alla libertà di culto, che non solo è garantito dalla Costituzione, ma è un vanto dell’occidente, che su questo tema rivendica a giusto titolo la sua superiorità nei confronti di paesi, culture e religioni che la libertà religiosa non rispettano.
Capiamo che in questi momenti sia considerato argomento popolare porsi in maniera conflittuale nei confronti dei musulmani; ma se appena guardiamo alle cose con una prospettiva di ragionevolezza o anche solo di convenienza, capiamo che l’inclusione, la trasparenza della presenza, il suo riconoscimento, farebbero diminuire i conflitti sociali; mentre discriminare una comunità religiosa in quanto tale, oltre che essere discutibile di principio e in ultima analisi odioso, rischia di aumentare i conflitti sociali, di esacerbare i rancori, e di legittimare i pregiudizi, che non è mai una saggia strada da percorrere, e rischia anzi di condurci verso situazioni peggiori di quelle che si dichiara di voler sanare.
Eppure sembra che proprio in quella direzione si voglia andare. Perché se l’intento di trattare tutte le confessioni religiose in maniera eguale è da salutare con favore, l’esito, dando ampi margini di discrezionalità ai sindaci di rifiutare situazioni che non piacciano, rischia di andare nella direzione opposta.
C’è ancora tempo per modificare il progetto in aula, regolamentando quanto va regolamentato, ma davvero in una logica inclusiva, che favorisca l’associazionismo religioso, come attore capace di contribuire alla vita comune (per esempio, obbligando i comuni a garantire nei piani regolatori spazi per edilizia di culto che non servano solo al mondo cattolico, ma riconoscano il nuovo pluralismo religioso che ormai caratterizza irrevocabilmente anche il nostro paese). Altrimenti è più onesto limitarsi a una legge di un unico articolo: “Non vogliamo musulmani in regione”. Assumendosi le responsabilità del caso.
LEGGE ANTI-MOSCHEE: I PERICOLI DELL’ESCLUSIONE, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 13 gennaio 2016, editoriale, p.1

Colonia: scontro tra culture o guerra tra i sessi?

I fatti del Capodanno di Colonia sono ancora oggetto di discussione, a giusto titolo: perché non riguardano solo la Germania, e toccano temi che porteremo con noi a lungo. Ricordiamo il dato si partenza: gruppi di immigrati, in parte profughi, si sono dati appuntamento per festeggiare il nuovo anno per strada, in gruppi aggressivi, infastidendo, insolentendo, derubando, palpeggiando e in un paio di casi purtroppo violentando molte donne che giravano sole o in piccoli gruppi. Continua a leggere