Società concava, politica convessa: geometrie a confronto

Non ci sono più spazi di manovra. L’ultima indagine Demos sul rapporto tra gli italiani e lo Stato fotografa questo dato in maniera impressionante. Non solo si sta peggio (tutti i principali indicatori sono in negativo, nel 2013, per percentuali variabili tra il 50 e l’80% degli italiani): non si crede più che le cose potranno migliorare, almeno a breve termine. Continua a leggere

Renzi segretario. Parola d'ordine: accelerazione

Accelerazione. Non è la parola che ha usato Matteo Renzi, ma è quella che meglio riassume il suo discorso di insediamento come segretario, e il suo progetto sul Partito democratico e per il paese.

Accelerazione: perché non c’è più tempo, perché bisogna fare in fretta, perché niente basta più. Il paese ha bisogno di andare velocemente in una nuova direzione: cambiare verso, come recitava lo slogan di Renzi. Rapidamente: come la sua parlantina svelta, e come la battuta pronta che lo caratterizzano. Solo che non si tratta più solo di parlare: questo andava bene durante la campagna elettorale per le primarie. Adesso che è il leader del primo partito del paese, si tratta di fare. E le cose saranno evidentemente più complicate.

I primi segnali sono chiari. Bisogna fare in fretta le riforme: quella elettorale in primo luogo. Da qui il passaggio subitaneo dell’iniziativa dal senato, che l’aveva fatta finire nella palude dell’inutilità e della mancanza di iniziativa, alla camera. Il decreto sull’abolizione, per quanto parziale e a scoppio ritardato, del finanziamento ai partiti, va nella stessa direzione, come segnale mandato a un’opinione pubblica che vuole vedere azioni positive da subito. Certo, è stata voluta da Letta: ma sarebbe stata impensabile, in tempi così rapidi, senza il pungolo di Renzi. La concorrenza diventa virtuosa, in questo senso: se la corsa è a chi fa più in fretta, se il governo o il principale tra i partiti che lo sostengono, il paese non ha che da guadagnarci, visto che finora erano immobili entrambi.

La stessa elezione di Renzi a furor di popolo è un segnale di accelerazione che gli elettori hanno mandato agli eletti. Come lo è, sul piano simbolico, l’aver nominato una segreteria di men che quarantenni, e una direzione ugualmente molto giovane, entrambe con una fortissima presenza femminile: anche questo un segnale che bisogna rendere più visibili processi di emancipazione presenti nella società, ma che tra le sue classi dirigenti fanno fatica ad esprimersi. In fondo, anche aver convocato la segreteria alle sette e trenta del mattino, rompendo con i rituali di infinita lentezza della politica romana, è un segnale di accelerazione, di dinamismo, che si traduce sui contenuti: riunioni operative, rapide, con obiettivi precisi e tabelle di marcia accelerate. Anche la ritualità del modo di fare politica ne risente: e non è male, visto che si è fermata a mezzo secolo fa – e non solo a Roma.

Tutto questo però non basta. Il paese ha fretta. Perché la crisi morde, e perché non ne può più persino culturalmente della politica del rinvio, che ha caratterizzato anche il primo periodo del governo delle larghe intese, paralizzato come era dai litigi nella propria maggioranza. Adesso che, con l’uscita di scena di Berlusconi, la conflittualità interna è scesa, l’azionista di maggioranza del governo, il PD, potrà servire da stimolo, come si è visto. Ma non basta.

Renzi, nel suo discorso, ha puntellato le iniziative che ha promesso – da quelle, molto attese, sul lavoro a quelle sull’Europa e sulla cultura, oltre quelle sulle riforme istituzionali – di scadenze immediate: “nelle prossime settimane”, non mesi. Perché sa che l’elettorato che si è mosso così numeroso per portarlo sul ponte di comando, non gli ha firmato una cambiale in bianco, ma un mandato a termine: e con un termine assai breve. La politica è stata ferma, ma la società è matura per il cambiamento, e anzi lo richiede e cerca di imporlo: ieri votando Grillo, oggi sostenendo Renzi, domani forse, se non vedrà segnali chiari, allargando in direzioni oggi imprevedibili il movimento di protesta. Ecco perché l’accelerazione diventa una categoria politica Perché, come diceva Lord Keynes – e oggi ne abbiamo una consapevolezza assai più palpabile e urgente – “nel lungo periodo saremo tutti morti”.

Parola d’ordine: accelerazione, in “Il Piccolo”, 17 dicembre 2013, p.1

Piazze, proteste, forconi e illusioni

La stampa fa il suo mestiere: per cui un pacifico presidio di qualche dozzina o centinaia di persone su un marciapiede diventa un blocco stradale, una manifestazione diventa una città paralizzata, il traffico brevemente interrotto in una via diventa un centro storico bloccato, e uno sciopero di pochi, e in alcune città, diventa l’Italia in ginocchio. Continua a leggere

Valanga Renzi: cosa cambia per PD e governo

I partiti dovrebbero avere maggiore fiducia nei propri elettori: loro, il paese lo vogliono salvare. E’ per questo che hanno affollato i seggi per poter esprimere il loro voto alle primarie, dando ancora una volta una lezione di democrazia alle persone per cui hanno votato. Continua a leggere

Le primarie di oggi e il destino del paese

E’ raro che le vicende interne di un partito possano appassionare, o lasciare intravedere segnali di cambiamento di interesse generale. Di solito si tratta di rituali stantii, spesso con un risultato già preordinato, non rilevanti per la vita del paese: che servono a sancire la geografia delle nomenclature, non certo a individuare direzioni di marcia alternative.

Le primarie del Partito Democratico, che si svolgeranno oggi, costituiscono una significativa eccezione. Paradossalmente, forse più all’esterno che all’interno del partito. Continua a leggere

Berlusconi, il golpe inesistente, la rivoluzione mai esistita

Forza Italia grida al colpo di stato. E intanto lo prepara. O almeno lo minaccia, con una manifestazione contro la decadenza di Berlusconi che è, di fatto, una manifestazione contro chi fa le leggi e chi le fa rispettare: il Parlamento e la magistratura. O lo evoca, dicendo che ad attuarlo sono altri: il presidente Napolitano, che non accetta di concedere una grazia del tutto irrituale, non dovuta e peraltro non richiesta, su tutti. Continua a leggere

Il nuovo PD e la genetica dei partiti

Oggi, per capire come funzionano i partiti, in particolare come nascono e come si riproducono, occorre rifarsi più alla biologia che alla politica: è lì che si trovano le metafore più pertinenti.

Il centrodestra, come certi organismi monocellulari, si riproduce per scissione: da una singola cellula, nascono due nuovi organismi. E’ il caso del PDL: da cui sono nati oggi Forza Italia e il Nuovo Centro-Destra. Risultato? In natura, due cellule con il medesimo apparato genetico, con identico DNA. In politica, due nuovi partiti. Anche per loro il DNA è lo stesso: solo che uno starà in maggioranza e l’altro all’opposizione, salvo poi rimettersi insieme alle elezioni, probabilmente. Un’astuzia della natura, e una furbizia della politica.

Il centro si riproduce invece per frammentazione. Come sempre nella storia repubblicana. E’ il caso, oggi, di Scelta Civica. Si unisce, va in frantumi, talvolta si decompone in pulviscoli inaggregabili, poi si riunisce (che non è sinonimo di rinnovarsi), si spezza di nuovo. In questo caso i frammenti non hanno lo stesso patrimonio genetico. Alcuni sono laici, altri cattolici (e tra questi, alcuni appartengono a una chiesa nella chiesa: la comune storia ciellina – il che può far pensare a qualche forma di unificazione con qualche cellula del centrodestra di medesima provenienza). Alcuni sono in politica da decenni, altri sono neo-arrivati. Questa specie di caleidoscopio in continuo movimento ha, come tutti i caleidoscopi, un destino segnato: i frammenti al suo interno disegnano forme incessantemente nuove, ma nessuna di essa ha una qualche stabilità, né l’avrà in futuro. Continuerà a decomporsi e a ricomporsi. Centrifugo e centripeto allo stesso tempo.

Il centrosinistra, oggi rappresentato dal PD, ha scelto una forma diversa, inusuale rispetto alla propria storia, e anche alla natura propria dei partiti. Consultando la propria base per decidere la propria leadership. Chiedendolo in prima battuta ai propri iscritti (la cui consultazione è appena terminata), e in seconda battuta al proprio elettorato (con le primarie vere e proprie, che si svolgeranno l’8 dicembre). Ottenendo forme di fecondazione e di ricomposizione genetica significative, e più rapide. Al di là del balletto sulle cifre, infatti, è emerso con chiarezza, anche solo dalla consultazione degli iscritti, che il partito è spaccato: tra una parte che vorrebbe riprodursi geneticamente identica a se stessa (o più propriamente, all’organismo cui apparteneva prima di fecondarsi con altri all’interno del PD), e una parte che vorrebbe rinnovarsi, dando luogo a un organismo geneticamente modificato, ma per via naturale, interna, anziché per innesto. Ed è questo che mostrano i primi risultati. Di fatto, coloro che vogliono cambiare pelle, pur con progetti non identici e non sovrapponibili, costituiscono una larga maggioranza. Mentre coloro che vogliono riprodursi come prima, secondo le medesime filiere genetiche, sono risultati in minoranza. E forse la notizia sta proprio qui: che il PD, in quanto organismo diverso da quello composto dai principali apporti che gli hanno dato i natali (la tradizione PCI-PDS-DS e quella DC-Popolari-Margherita), è nato davvero solo ora. Riconoscendo, o almeno accorgendosi, che fin dall’inizio, in realtà, era presente un’altra componente, con un diverso patrimonio genetico (che pesava per un terzo, all’incirca, anche se è stata fortemente sottovalutata), cui solo oggi si da’ veramente voce e si riconosce un ruolo: quella di chi, non venendo da quelle tradizioni – o venendoci, ma con la voglia di voltare pagina – credeva fin da allora che avrebbe fatto nascere qualcosa di diverso.

Il pargolo, frutto di apporti genetici complessi – in sintonia con quanto accade nei modelli familiari e nelle tecniche di fecondazione, oggi in una fase di cambiamento turbolenta – si trova, apparentemente in buona salute, al reparto maternità. Diverso, e autonomo, rispetto ai suoi vari genitori. Si tratta adesso di vedere quale sarà la sua evoluzione.

Il nuovo PD e la genetica dei partiti, in “Piccolo” Trieste, 19 novembre 2013, p.1, “Gazzetta di Reggio”, 20 novembre 2013, p.1, Genetica e crescita dei partiti in “Mattino” Padova, “Tribuna” Treviso, “Nuova” Venezia, “Corriere delle Alpi”, 20 novembre 2013, p.1

Partiti che non sanno ascoltare

Proprio mentre la fiducia degli italiani nei partiti e nelle istituzioni della rappresentanza politica crolla ulteriormente, i partiti, che rappresentano tuttora il mezzo principale di canalizzazione del consenso, fanno di tutto perché la sfiducia aumenti. Continua a leggere