Piazze, proteste, forconi e illusioni

La stampa fa il suo mestiere: per cui un pacifico presidio di qualche dozzina o centinaia di persone su un marciapiede diventa un blocco stradale, una manifestazione diventa una città paralizzata, il traffico brevemente interrotto in una via diventa un centro storico bloccato, e uno sciopero di pochi, e in alcune città, diventa l’Italia in ginocchio.

Detto questo, per contestualizzarne le dimensioni, quanto sta avvenendo in varie piazze italiane ha molti elementi di interesse, per più motivi. Innanzitutto perché, finalmente, è una protesta esplicita. Fino ad ora ci siamo stupiti che un paese in grave crisi, in sofferenza in molti comparti produttivi, letteralmente affamato in alcune sue fasce sociali, e comunque impoverito in denaro e servizi, non protestasse, e sembrasse più rassegnato che arrabbiato: al punto da prendersela più con se stesso (con i suicidi degli artigiani e imprenditori in crisi o la silenziosa emigrazione dei giovani) che con chi lo governa e l’ha portato in questa situazione. Oggi la rabbia si rivolge alle classi dirigenti, politiche in particolare, considerate, con molte ragioni, i principali responsabili della situazione: e, ancora peggio, quelli che stanno pagando meno di tutti il prezzo della situazione a cui hanno portato il paese, mantenendo privilegi, prebende e salari semplicemente intollerabili di fronte alla crisi e alla disperazione altrui.

Un altro elemento di interesse è che si tratta di una protesta che nasce dal basso. E che quindi, a seconda dei casi, intercetta simpatie disparate. E’ vero, c’è chi, come si diceva una volta, mesta nel torbido: l’estrema destra in molti casi, l’estrema sinistra in qualcuno, poteri corporativi non sempre commendevoli (e in qualche caso locale, in particolare nel sud, obliqui, oscuri e contigui alla malavita). E tuttavia non si può non riconoscere una dinamica dal basso, e non targata, né facilmente catalogabile politicamente. Non a caso in molti stanno facendo a gara per intestarsi la protesta: dagli ultimatum di Grillo alle melliflue strategie seduttive di Berlusconi alle alzate di voce della Lega, fino alla presenza di gruppi di opposizione più radicali. Ma, di fatto, si tratta di un sentimento di rivolta popolare, e sentito come tale, con volantini firmati da noi e cognomi, numeri di telefono di privati cittadini, o comitati locali o di settore, che man mano si aggiungono alla protesta: un movimento che vede con fastidio l’inevitabile ma irritante strumentalizzazione politica che se ne sta facendo. In questo sta la sua forza nel momento della fiammata che si accende, ma probabilmente anche la sua debolezza nel medio-lungo periodo, dove il fuoco rischia di spegnersi.

Non va sottovalutato, tuttavia, quanto gli slogan della protesta siano semplici e condivisibili: anche, per esempio, da giovani e studenti che non vedono altri sbocchi. Certo, ci sono ricette generiche e ambiguità preoccupanti in alcuni contenuti veicolati nella protesta: la giusta rabbia contro l’Europa dei tecnocrati diventa altra cosa quando si parla della discutibile ricetta della sovranità monetaria, ovvero del ritorno alla lira – come se funzionasse e se bastasse… Ma la maggior parte delle parole d’ordine sono di senso comune, e condivisibili dai più. E allora, se sono condivisibili, perché non dovrebbero essere condivise, partecipate, diffuse?

E’ difficile prevedere oggi il destino di questa protesta. Potrà rimanere una fiammata episodica di una malumore sotterraneo, che ogni tanto riemerge, senza veri obiettivi e quindi senza strategia. Se anche fosse solo questo, darebbe comunque voce a una rabbia e a una indignazione che hanno bisogno anche di sfoghi, oltre che di risposte. Per queste ultime, occorre tuttavia che la politica si metta in ascolto e in sintonia, e non ricorra a facili e vecchissime demonizzazioni, che ormai non fanno più paura a nessuno. Il suo compito, a questo punto, è fare. L’unico modo vero per disinnescare una protesta che, altrimenti, non si vede proprio perché dovrebbe fermarsi, finché perdurano le condizioni che la alimentano e, forse, la rendono necessaria.

Piazze e proteste da ascoltare, “Mattino” Padova, “Tribuna” Treviso, “Nuova” Venezia, “Corriere delle Alpi”, 12 dicembre 2013, p.1 (anche “Gazzetta di Reggio”, 13 dicembre 2013, p.1)

Quel malumore sotterraneo, “Messaggero veneto”, 12 dicembre 2013, p.1