Trasformazione, innovazione, competizione: come cambia il loro significato

“Siamo in un’età di transizione. Come sempre”. Lo scriveva Ennio Flaiano, ironizzando sulla pretesa di essere sempre in tempi nuovi. E tuttavia chi opera nei mercati, chi ha a che fare con le tecnologie (e i cambiamenti che implicano: non solo in termini di processi di produzione e di novità di prodotto, ma di organizzazione del lavoro e della vita, e persino di mentalità), e pure chi si limita a osservare il mondo da semplice spettatore e consumatore, non può accontentarsi di questa constatazione. L’accelerazione del cambiamento è tale da avere ormai valore qualitativo, non solo quantitativo: non determina solo il plus di alcuni indicatori (e il minus di altri); ci mostra un altro mondo, una diversa realtà. La trasformazione, parola interpretativa chiave dell’oggi, è davvero in atto. Ed è bidirezionale nelle sue conseguenze. Gli uomini trasformano i processi di produzione, il mondo intorno a sé, e da questo sono trasformati. In senso letterale: dando nuova forma – alle cose, e alle persone. Continua a leggere

Le fragilità del decisionista: la caduta di Bitonci

Bitonci è caduto. Non per merito delle opposizioni: ha fatto tutto da solo, creandosi uno ad uno i nemici interni che l’hanno rovinosamente buttato giù dalla poltrona di primo cittadino. Senza nemmeno arrivare a metà mandato. E partendo da un’investitura elettorale fortissima, che rendeva l’opposizione poco più che un atto dovuto. Continua a leggere

Referendum: Le ragioni del Sì

Fino ad ora il dibattito sul referendum costituzionale è stato in gran parte su interpretazioni ideologiche o temi strumentali e secondari: colpire o sostenere Matteo Renzi, essere pro o contro il governo, dibattere su possibili rinvii e cavilli (come il contenuto del quesito a cui dovremo rispondere: che è lo stesso su cui sia il Sì che il No avevano raccolto le firme). Molto poco, in proporzione, si dibatte sui contenuti reali della riforma costituzionale: ma è su questi che saremo chiamati a votare. Continua a leggere

Lezioni da Goro: cosa imparare, cosa dimenticare

Quanto accaduto a Goro ci offre un insieme di segnali che vanno interpretati.
Certo, c’è l’elemento che è stato più sottolineato: quello del rifiuto degli immigrati, cui ormai ci stiamo abituando – e anche il rifiuto delle decisioni paracadutate dall’alto, che ha molte ragioni. Per qualcuno è anche rifiuto dell’odiato centralismo, magari. Forse si può parlare anche di ribellione, o più propriamente di pulsioni ribelliste: contro quelle che consideriamo ingiustizie. Ma che possono prenderci quando ci troviamo a gestire un problema più grande di noi, che non capiamo, di cui ci viene catapultato a casa solo l’ultimo anello della catena, senza spiegazione delle concatenazioni precedenti, e non sappiamo cosa fare. Ma non è tutto qui: ci sono altri segnali da cui è utile trarre qualche lezione. Continua a leggere

La Lega, le donne sindaco, i gay: come ti cambio una cultura

Con i matrimoni omosessuali celebrati, rispettando la legge ma disobbedendo alle posizioni ufficiali della Lega, da due sindache leghiste, Sara Susanna di Musile e Maria Scardellato di Oderzo, non si è aperto solo uno scontro politico interno, ma una vera battaglia culturale, che tocca il nucleo profondo dell’etica leghista. Grazie a questa presa di posizione forte e dissonante, infatti, si aprono non una ma due questioni tra loro collegate. Non solo la Lega scopre le donne attraverso i gay. Ma scopre i gay attraverso le donne. Entrambe – donne e gay – minoranze culturali, oltre che numeriche, nel partito. Entrambe novità nel panorama culturale leghista. Ed entrambe potenzialmente foriere di conseguenze significative e di lungo periodo, al di là della cronaca politica locale. Continua a leggere

Genere e lavoro: uscire dalla cultura dello spreco

Una o due generazioni fa eravamo ancora al “che la piasa, che la tasa e che la staga a casa”: forse non nella realtà (le donne hanno cominciato a entrare massicciamente nel mercato del lavoro mentre gli uomini erano occupati a fare la guerra; e per quanto riguarda il nordest hanno continuato nel periodo delle emigrazioni interne), ma nella percezione media del maschio nordestino. Oggi la presenza femminile nel mondo dell’istruzione ha rovesciato le proporzioni, con le donne che hanno superato gli uomini (si laureano molto di più, più velocemente, e con voti migliori), e quella nel mondo del lavoro è in costante crescita, anche se drammaticamente indietro rispetto ai paesi sviluppati a noi culturalmente vicini. Quella che non è cambiata abbastanza, probabilmente, è la mentalità (la donna fa comunque più fatica a farsi strada, a parità di merito); e soprattutto il sistema sociale che ne è l’espressione (il welfare, la scuola, l’organizzazione degli orari nei luoghi di lavoro e nelle città), ancora “nemico” del lavoro delle donne, nella sua organizzazione e nei suoi valori di fondo. Continua a leggere

La nuova emigrazione, tra fuga e opportunità

Sono più di centomila quelli certificati. Ma sono molti di più, gli italiani andati a vivere all’estero lo scorso anno: perché di solito ci si iscrive all’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) solo dopo anni, quando la partenza non è più un’avventura appena iniziata ma una fase nuova della propria vita. Oltre diecimila dal Veneto (seconda regione in cifra assoluta, dopo la Lombardia), oltre quattromila dal Friuli, quasi tremila dal Trentino. Continua a leggere

La laurea e la sua percezione: problemi e ritardi del Nordest

Abbiamo meno laureati di tutti i nostri diretti concorrenti europei: il venti per cento circa dei nostri giovani (il 13,9% della popolazione complessiva), contro percentuali che in Germania e altrove si avvicinano alla metà. Non solo: in questi paesi, dove già i laureati sono molti di più – dalla Francia alla Germania – il tasso di crescita è doppio che da noi. E abbiamo pure il tasso di abbandoni universitari più alto d’Europa: il 45%. Praticamente una persona su due che si iscrive all’università abbandona gli studi. In compenso i nostri laureati sono molto bravi, segno che gli studi da noi non sono poi pessimi: tanto che si sistemano benissimo – ma altrove. I dipartimenti universitari di altri paesi nostri concorrenti sono pieni di dottorandi, ricercatori e professori italiani; ha fatto rumore, pochi mesi fa, che la nazionalità più presente tra coloro che avevano ottenuto dei finanziamenti alla ricerca dell’ERC (European Research Council) fosse quella italiana, ma nella maggior parte dei casi per progetti di ricerca di università straniere. E il tasso di laureati tra chi abbandona il nostro paese – inclusa la nostra area di riferimento, il Nordest – è superiore alla media nazionale: almeno un quarto di coloro che stanno lasciando l’Italia in questi anni ha un titolo di studio universitario. Continua a leggere

#fertilityday: perseverare non è diabolico, è idiota

Non seguo i social network nelle loro forme di indignazione conformista e irriflessiva. Continua a leggere

L'imam, la cittadinanza e la parità di genere

La costituzione italiana sancisce la parità tra uomo e donna in maniera forte. Come recita l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Gli articoli 37, 51 e 117 specificano ulteriormente: sostenendo l’accesso al lavoro con “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni” (art 37);  e promuovendo l’accesso “agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza”, favorendo “le pari opportunità tra donne e uomini” (art 51 e 117). Continua a leggere