Referendum: Le ragioni del Sì

Fino ad ora il dibattito sul referendum costituzionale è stato in gran parte su interpretazioni ideologiche o temi strumentali e secondari: colpire o sostenere Matteo Renzi, essere pro o contro il governo, dibattere su possibili rinvii e cavilli (come il contenuto del quesito a cui dovremo rispondere: che è lo stesso su cui sia il Sì che il No avevano raccolto le firme). Molto poco, in proporzione, si dibatte sui contenuti reali della riforma costituzionale: ma è su questi che saremo chiamati a votare.
Il 4 dicembre si vota per abolire (con il Sì) o mantenere (con il No) un bicameralismo perfetto che esiste solo in Italia, che fa fare a due camere diverse le stesse cose, e che tutti, ma proprio tutti, sono d’accordo nel voler abolire: con il Sì inoltre solo la camera dei deputati darà la fiducia al governo, evitando, come successo varie volte in anni recenti, che due camere con due maggioranze diverse paralizzassero l’attività di governo. Si vota sulla diminuzione del numero dei senatori a cento e la loro trasformazione in rappresentanti, in qualche modo, dei territori: che non dovendo dare la fiducia potranno essere più liberi di discutere le leggi di loro competenza. Si vota sulla possibilità per il governo di avere una corsia preferenziale per i suoi progetti di legge, per poterli discutere ed emendare prima che entrino in vigore con tempi certi, anziché andare avanti a colpi di fiducia come ora. Si vota sulla possibilità che le leggi di iniziativa popolare, se sostenute da centocinquantamila firme, debbano obbligatoriamente essere prese in considerazione dal parlamento, anziché raccolte con cinquantamila ma bellamente ignorate come accade oggi. Si vota sul fatto che i referendum, d’ora in poi, se saranno sostenuti da ottocentomila firme, anziché cinquecentomila come previsto dalla costituzione (nel frattempo la popolazione è aumentata di venti milioni rispetto al dopoguerra), potranno essere validi anche con un quorum ridotto alla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni (mentre ci vorrà il quorum della metà più uno degli elettori, come ora, se le firme saranno ancora cinquecentomila): aumentando quindi, con questi due punti, gli spazi di democrazia dal basso. Si vota sul ritorno di alcune competenze (oggi concorrenti tra stato e regioni: ciò che ha portato la corte costituzionale a dedicare la metà del suo tempo ai conflitti di competenze tra essi) in capo allo stato, ma con la possibilità per le regioni virtuose (come quelle del Nordest) di concordare bilateralmente un aumento delle proprie competenze in numerosi settori. Si vota per abolire un organismo inutile come il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, che la più parte delle persone non sa nemmeno che esiste, dato che non fa nulla, e definitivamente delle provincie, già svuotate di contenuto con la legislazione passata. E si vota su altre norme minori.
Non si vota invece sulla legge elettorale, il cosiddetto Italicum: che non fa parte della riforma costituzionale. Emendata più volte su richiesta e in base alle proposte tanto della sinistra del Partito Democratico che del centrodestra, e che potrebbe essere emendata ulteriormente con un’altra legge ordinaria: se solo ci fosse un consenso che non c’è, visto che i fautori del No, d’accordo tra loro su questo e sull’idea che ci sia un pericoloso ‘combinato disposto’ tra legge elettorale e riforma costituzionale, sono in totale disaccordo su quale legge elettorale vorrebbero, non sarebbero in grado di formare una maggioranza intorno ad essa, e in ogni caso non hanno intenzione di occuparsene prima del referendum (con il paradossale risultato che chi vota No alla riforma perché contrario alla legge elettorale, se vincesse il No si troverebbe senza riforma ma con la stessa legge elettorale…).
La scelta non è tra diversi progetti ideali di riforma (ognuno di noi ne ha in testa uno che reputa migliore), ma tra non riforma e una riforma frutto di compromesso, votata più volte anche da molti esponenti oggi nel fronte del No: del centrodestra (a cominciare da Forza Italia, sostenitrice della riforma fino allo sgarbo sull’elezione del presidente Mattarella, votato senza consultarla) come della sinistra del PD, che l’ha votata quattro volte per poi decidere che non era d’accordo.
I comitati per il Sì hanno chiesto che il giudizio venisse messo nelle mani dell’elettorato, del popolo (i comitati per il No non erano riusciti nemmeno a raccogliere le firme: il referendum lo votiamo perché l’ha voluto chi è promotore di questa riforma, non chi la avversa). Oggi tocca a quell’elettorato decidere se cambiare le cose o lasciarle come prima.
Il referendum e i temi ignorati. Tutti i motivi per cambiare, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 6 novembre 2016, p.1