Libertà di stampa e democrazia (a proposito dei giornalisti arrestati a Cuba. E d'altro)

L’informazione alimenta la libertà, in “Messaggero Veneto”, 30 settembre 2012, p.1
“Un giornale è un testimone, non soltanto un raccattatoio di notizie”, diceva lo scrittore e giornalista Guido Morselli. La vicenda dell’arresto di quattro giornalisti italiani, tra cui l’inviato del Messaggero Veneto Domenico Pecile, a seguito del loro lavoro di testimoni dell’omicidio di Lignano, e di inchiesta su di esso, mostra che non sempre quello del testimone è un mestiere agevole.
I quattro reporter avevano appena intervistato Reiver, il fratello di Lisandra, rea confessa complice dell’omicidio dei coniugi Burgato, in quel di Cuba. Un paradiso esotico, certo, ma anche un paese tuttora chiuso, dittatoriale al suo interno, lontano dagli standard della democrazia occidentale, per non dire da quelli della libera stampa e del dissenso politico e intellettuale.
Ma l’arresto dei quattro, anche se poi rilasciati dopo qualche ora di interrogatorio (non prima tuttavia di aver cancellato le tracce del loro lavoro, ripulendo le schede di memoria delle macchine fotografiche e delle cineprese, e sequestrando i cellulari), sorprende. Anche perché non stavano indagando sui punti deboli di ogni regime totalitario – il dissenso politico o le inchieste sul funzionamento reale del paese, sulla sua povertà e le sue iniquità, magari sui suoi intellettuali e giornalisti in galera – ma su un fatto di cronaca nera, accaduto per giunta in un altro paese, nella lontana Italia. Continua a leggere

Dopo Monti, Monti? No, grazie

Il governo tecnico è stata una necessità: non può diventare un destino. Specie se non è eletto.
In questo senso è stata una pesante caduta di stile la scelta di Monti di offrire, con la vetrina di una platea internazionale, la propria disponibilità a rimanere al governo anche dopo le elezioni. Ma di non sottoporsi al vaglio elettorale. Peccato: avevamo apprezzato l’understatement che lo aveva caratterizzato fino ad ora su questo tema, e avevamo considerato un segno di stile prezioso aver sempre detto che non si sarebbe ricandidato alla guida del governo. Ora eccolo lì, ‘disponibile’: come i peggiori cacicchi della prima e della seconda repubblica, come i tanti deretani di bronzo che non riusciamo a far schiodare dalla sedia.
No, grazie. Per questioni di principio fondamentali. Quando questa parentesi sarà finita, il paese ricorderà Monti come un salvatore della patria, come una di quelle ‘riserve della Repubblica’ che sono state così preziose nella storia italiana, prestando i propri civil servants migliori alla politica. E aiutando una politica incapace di azione, prima ancora che di riforma, a fare quello che avrebbe dovuto fare. Grazie, quindi, Monti. Grazie governo tecnico.
Ma ora basta. La supponenza tecnocratica rischia di andare oltre un limite sopportabile a una qualsivoglia dinamica politica. Deve crescere una politica nuova, altra, diversa: e sta crescendo, nonostante tutto. E dobbiamo liberarci di tutta la vecchia politica, che ci ha portato al disastro attuale. Ora, mentre il governo Monti ha rappresentato una benvenuta discontinuità, la sua reiterazione anche dopo nuove e democratiche elezioni (purché lo siano davvero, purché si consenta ai cittadini di scegliere) sarebbe una jattura e un freno, proprio per i processi di modernizzazione del paese che il governo Monti ha cercato di introdurre, o avrebbe dovuto farlo, o avrebbe voluto, o comunque era chiamato a promuovere. Perché dietro di esso, sotto ad esso, mimetizzati da esso, ci sono e ci saranno i peggiori continuisti della storia repubblicana: quelli che, come al solito, vogliono cambiare qualcosina perché niente cambi sostanzialmente; quelli, soprattutto, che vogliono continuare ad esserci, a qualunque costo.
Ebbene, no. Abbiamo bisogno di una nuova classe politica e di un nuovo ceto dirigente, anche fuori dalla politica. Con facce, idee, azioni nuove. Non può la politica, nemmeno in un paese gerontocratico come il nostro, essere guidata da un ceto dirigente over seventy.
Grazie, presidente Monti, senatore a vita. Cercheremo di utilizzarla al meglio, in futuro. Ma, per favore, non si autocandidi, come un Berlusconi, un D’Alema o un Casini qualsiasi. Abbiamo già dato, con quelli come loro.

Le parole di Bagnasco e la giunta Polverini

E’ stata una coincidenza assai significativa quella che ha visto, in contemporanea, le dimissioni di Renata Polverini a causa del malaffare e degli scandali alla Regione Lazio, e, nello stesso momento, la lettura della prolusione del cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che sui temi del malcostume politico si è soffermato a lungo. Significativa per entrambi.
Polverini si è dimessa, anche se non toccata personalmente dagli scandali, di fronte a una situazione non più sostenibile, esteticamente prima ancora che eticamente (e l’estetica è la madre dell’etica, diceva il premio Nobel Iosif Brodskij: anche se è difficile andarlo a spiegare a ‘er Batman’ o agli altri improbabili gladiatori del consiglio regionale laziale, o al Formigoni in barca ai Caraibi a spese di chi è lautamente finanziato dalla regione Lombardia, o a tanti altri, anche di opposta sponda politica). E peraltro si è dimessa solo perché sfiduciata di fatto dalle dimissioni dei consiglieri di opposizione e dell’UDC, dopo una lunga ed estenuante sceneggiata, giocando finché ha potuto il ruolo dell’innocente tradita. Continua a leggere

Occidente e rabbia islamica

Forse dovremmo darci una regolata. Forse dovremmo cominciare a dire che i patetici pseudo-Voltaire del giornale francese Charlie Hebdo non sono degli eroici rivoluzionari o dei libertari anticonformisti senza macchia e senza paura, ma degli egocentrici intellettuali molto parigini, con il vizio della propria visibilità e dell’autopubblicità, e nessuna virtù specifica in termini di libertà di pensiero. Perché non è che la impariamo da loro. E non è che mostrare Maometto nudo sia un gesto eroico, come non lo era la maglietta di Calderoli: sono semplicemente delle stupidaggini infantili e insulse, che a scuola butteremmo nel cestino senza nemmeno l’abbozzo di un sorriso. Lo stesso dicasi dell’operazione, più volgare e sospetta, del filmetto sul profeta islamico postato su You Tube, “L’innocenza dei musulmani”. Niente di interessante. Niente, nemmeno lontanamente, di assimilabile all’opera di Salman Rushdie, per dire, che una dignità letteraria e culturale del tutto legittima invece ce l’aveva eccome. Continua a leggere

La ressa di candidati alle primarie

Le primarie del centrosinistra cominciano ad essere un luogo discretamente affollato. L’ultimo candidato in arrivo è Pippo Civati, popolare consigliere regionale lombardo, leader del gruppo Prossima Italia.
Con il segretario Pierluigi Bersani, lo sfidante sindaco di Firenze Matteo Renzi, la capogruppo in consiglio regionale veneto Laura Puppato (e, fuori dal PD, Nichi Vendola e Bruno Tabacci), i candidati in lizza sono già sei, e potrebbero aumentare se si candidassero, come si ventila, il deputato Sandro Gozi, o l’assessore milanese Stefano Boeri, che l’aveva annunciato tra i primi.
Le ironie di alcuni già si sprecano: dal morettiano “facciamoci del male” alle riflessioni sull’eterno complesso frazionistico della sinistra. Ma non è così.
E’ intrinseco alla logica delle primarie che coloro che ritengono di averne le capacità, e abbiano possibilmente un progetto di società cui ispirarsi, si autocandidino alla guida del paese: perché questo devono decidere le primarie, almeno per lo schieramento riformatore, anche se qualcuno sembra più convinto che si tratti di decidere chi è il segretario del PD. Dopodiché decideranno gli elettori. Che sono capaci e maturi a sufficienza per farlo.
Se le primarie si svolgeranno con il doppio turno (che è la proposta di legge del PD per le elezioni politiche: sarebbe coerente la applicasse anche al suo interno), correrà quindi chi vuole, con quel minimo di regole necessarie, e i due candidati più forti si scontreranno nel duello finale. E’ il bello della democrazia. Non a caso questo metodo viene invocato anche, senza successo, nel centrodestra, dove, come riportano le cronache, gli iscritti accolgono il segretario Alfano – segretario dimezzato, per la verità, dal ruolo preponderante di Berlusconi – al grido di: “primarie, primarie”. Perché, nelle primarie, si può scegliere: ciò che non consente l’attuale sistema elettorale. E neanche la vita interna di molti partiti.
Sorprendono un po’, quindi, e sono un segno evidente di nervosismo, gli anatemi che vengono lanciati ai nuovi candidati da alcuni dirigenti dell’apparato democratico: specie se già schierati in favore delle prime due candidature emerse, Bersani e Renzi, e del primo in particolare.
Mentre sarebbe utile lo sforzo dell’ascolto: più diffuso tra l’elettorato, che pare assai interessato ad ascoltare i vari candidati e a capire cosa dicono e cosa vogliono, che nell’apparato, più impegnato a schierarsi a prescindere. Non giova in questo senso il clima da tifo calcistico, che non aiuta la riflessione, come mostra il fioccare degli insulti: che vanno un po’ in tutte le direzioni, ma forse con foga particolare, a giudicare da ciò che circola in rete, nei confronti di Renzi. Da un lato questo evidenzia come, per alcuni, le primarie siano vissute più come una fastidiosa costrizione che come un metodo innovativo di scelta della leadership, e le preferirebbero a risultato garantito: per cui ogni sfidante, e tanto più quanto più pericoloso, è un nemico. Dall’altro mostra la passione con cui il gioco è seguito: che è una buona notizia, in tempi di antipolitica. Del resto, lo schierarsi fa parte del gioco, e la politica è anche lotta, e sangue (metaforicamente parlando), e botte da orbi, ed è parte del suo fascino. Ma dovrebbe essere anche fair play: spirito sportivo, potremmo dire, visto che siamo freschi di olimpiadi.
Perché lo sia fino in fondo, si attende ancora la formulazione di regole che rispondano ai principi di apertura e di contendibilità reale che le primarie presuppongono. E queste mancano ancora.
La ressa di candidati alle primarie, in “Il Mattino”, “Nuova Venezia”, “Tribuna Treviso”, “Corriere delle Alpi”, 21 settembre 2012, p.1

Le prime primarie vere?

Con Renzi e gli altri saranno le prime primarie vere?, in “Reset”, 16 settembre 2012, articolo di apertura
Con la sfida di Matteo Renzi la questione delle primarie, da discussione astratta e un po’ asettica, diventa una partita concreta e reale: un duello, con quell’elemento di passione e di gusto per la partecipazione che la politica può dare.
Certo, è una partita problematica, e per certi aspetti surreale, visto che non se ne conoscono ancora le regole e, date le incertezze sul prossimo sistema elettorale, nemmeno la coalizione di riferimento. E c’è quindi il rischio che chi deciderà le regole – l’establishment di partito – lo faccia a uso e consumo del proprio candidato di riferimento, il segretario. Ma la partita è decisiva, anche per il futuro dello schieramento riformatore.
Renzi parte svantaggiato, come ovvio: il Partito Democratico – che le primarie le ha introdotte per volontà di vertice e con il consenso entusiasta dell’elettorato, ma subìte in parte dell’apparato – non ha ancora interiorizzato che esse servono per scegliere il leader, e quindi non ci dovrebbe essere, di default, un candidato di partito, per il semplice motivo che anche lo sfidante appartiene allo stesso partito. Ma tant’è, le inerzie dominano, e per i più il candidato di partito sarà Bersani. Continua a leggere

Alle radici d'una ferocia banale. Sul delitto di Lignano

Oggi è persino facile ragionare sul profilo degli assassini dei coniugi Burgato. Sull’unica rea confessa, per ora, la cubana Lisandra Aguila Rico, e sul complice, il fratello Reiver. E c’entra poco la provenienza etnica, o il fatto di essere immigrati.
C’entra soprattutto altro, che non è l’immigrazione, e che assomiglia dannatamente alla nostra vita quotidiana. Basta dare un’occhiata non superficiale al profilo facebook di Lisandra. Che fa persino tenerezza, nella lunga serie di stereotipi che riesce a collezionare. Il corpo formoso e il seno prorompente bene in vista. I ‘mi piace’ dedicati a due marchi del lusso più glamour: Gucci e Roberto Cavalli, maestro in eccessi. Le fotografie di machos in locali notturni, o davanti a un Hummer giallo posteggiato da chissà chi, i body leopardati, gli occhiali scuri da diva, cantanti, attori, auto e moto da corsa, scarpe di lusso e altri oggetti del desiderio. I caricamenti dal cellulare: locali, bibite, bottiglie di liquore, feste, coppe di gelato. Gli autoscatti davanti allo specchio, con tanto di flash, da adolescente, con mossette, pose sexy, vestiti provocanti, tatuaggi. L’immaginario televisivo o da rivista voyeuristica sui vip. E il gioco innocuo su facebook, che tanti provano a fare: “A quale celebrità assomigli?” Con l’esito delle foto affiancate e il risultato del tutto implausibile: l’attrice spagnola Blanca Suarez, al 75%, le cui foto senza veli rinviano invece a una inequivocabile e impietosa dissomiglianza. Continua a leggere

Primarie: la sfida che parte dal Veneto

Per una volta, il Veneto anticipa l’agenda politica nazionale. Perché partono da qui, di fatto, le primarie. E perché anche una veneta corre per vincerle. Vero, Bersani ha fatto il suo discorso d’investitura alla festa del PD di Reggio Emilia. Ma il suo passaggio alla festa regionale di Padova due giorni prima della discesa in campo, venetissima, di Renzi, consente un confronto in diretta significativo, sullo stesso palco.
Molta gente, per Bersani: ma età media elevata. Molta attenzione, anche: c’è domanda di sapere e di capire. Ma applausi contenuti: non come segno di dissenso, ma di maturazione dell’elettorato. C’è la crisi: non è più tempo per le liturgie. Lui, il segretario e candidato, è diretto, affabile, capace anche di autoironia. Sa di giocare in casa, e che il consenso è acquisito: il grosso dell’apparato è con lui e glielo mostra. Lo stile è sobrio e privo di polemiche: nessuna bassezza facile, nessun attacco agli avversari esterni ed interni, Renzi incluso. Parla a lungo, con partecipazione, di posti di lavoro e crisi, citando Alcoa, Sulcis e Ilva, sottolineando la sua vicinanza ai drammi del lavoro e la sua esperienza da ministro dell’industria, rivendicando le sue liberalizzazioni. Afferma che bisogna andare oltre Monti, aggiungendo al rigore, necessario, più lavoro, più equità e più diritti: anche quelli che non è popolare rivendicare, come quelli degli immigrati. Ma non parla di modernizzazione della pubblica amministrazione, il cui malfunzionamento è una tara che rende difficile la vita dei cittadini e allontana gli investitori, né di riduzione delle tasse e dei vincoli all’impresa, né di questione settentrionale e federalismo, e quindi di riforme strutturali. Dimenticanze che pesano e si pagano, in Veneto più che altrove: terra di piccola e media impresa (e anche di quella grande che compete nella globalizzazione) che produce tessuto e tenuta sociale. Continua a leggere

A cosa serve la 'nuova' UDC? Le inutili etichette di Casini

Nei giorni scorsi si è riunito alla festa dell’UDC un pezzo significativo di ceto politico detto moderato: proponendo una serie di tratti equivoci che vale la pena approfondire.
Il primo è il rilancio sul nome del partito. Non si sa ancora il nome definitivo, ma si sa che conterrà la parola ‘Italia’. Non solo non originalissima: ma trasparentemente pensata in maniera un po’ furbesca (del resto, il soprannome di Casini è Pierfurby) per rubare qualche voto a qualche cittadino sprovveduto che crederà di votare la vecchia Forza Italia di Berlusconi. Continua a leggere

Quelle domande a cui non riusciamo a rispondere. In morte di una dodicenne

Trieste, primo giorno di scuola. Una ragazzina di dodici anni, appena alzatasi, ha lasciato un messaggio sul suo cellulare: “Odio la scuola”, e “Odio la famiglia”. Poi ha accostato una sedia vicino alla finestra, ha messo a posto le sue ciabatte, l’ha aperta, e si è buttata dal quinto piano, uccidendosi. Mi hanno chiesto di ragionarci sopra. E’ uno degli articoli più difficili che abbia mai dovuto scrivere
Non si può, non si può proprio, commentare – e ragionare meno ancora – di una ragazzina che a soli dodici anni decide di darsi la morte, invece di darsi la vita, il futuro, nell’età in cui il futuro è ancora tutto da inventare. Non c’è nulla da ragionare, perché non c’è ragione al mondo per accettare che ci si possa sentire così male da uccidersi, quando la vita è appena ai suoi albori, e dovrebbe essere ancora leggera: non così pesante da pensare di doverla lasciare.
Di fronte alla tragicità di un ineluttabile con cui ci è così difficile immedesimarci, possiamo solo lasciarci prendere dalla commozione: com-muoverci, cioè muoverci con, emozionarci insieme; quell’umano sentimento che ci fa sentire ancora, almeno nel dolore, comunità, che con-divide il peso del vivere. E, con infinito rispetto, possiamo farci delle domande. Noi, adulti. Noi, genitori. Noi, grandi: così ci chiamano, a quell’età, senza sapere quanto ci sentiamo piccoli anche noi di fronte a eventi, questi sì, davvero grandi. Continua a leggere