Cosa c'è dietro all'odio nei confronti dei profughi

Il danneggiamento degli appartamenti destinati ad accogliere una decina di profughi all’Arcella, quartiere di Padova ad alta densità di popolazione immigrata, non è una notizia minore. E’ un segnale che trascende la cronaca locale, per diventare specchio dei tempi che stiamo vivendo. Un simbolo, sul quale vale la pena riflettere. Continua a leggere

Tempo sacro, tempo profano: festività, aperture, orari

La polemica sulle aperture domenicali e festive di negozi e centri commerciali ci dice molto, sulle trasformazioni della nostra società.
La questione, contrapponendo i servitori di dei differenti (Dio o il denaro), è mal posta: ideologica. Proviamo a vederla laicamente, analizzando i processi in atto. Continua a leggere

Unità/diversità: ambivalenze culturali del Nordest

Unione deriva da uno. E’ un auspicio, non una descrizione, se applicato non a concetti matematici ma ad esseri umani: che nella società sono chiamati a unirsi, e spesso si richiamano vicendevolmente ai vantaggi e magari ai doveri dell’unione, per poi contestualmente dividersi. Continua a leggere

Dopo il referendum: si può ancora cambiare?

Domenica, giorno del voto, avevo scritto su queste pagine che, comunque fosse andata, si sarebbe posto il problema dell’innovazione: istituzionale, costituzionale, e anche d’altro genere. Il paese ha bisogno di essere liberato da molte cose: da una classe politica inadeguata e impreparata (nazionale e locale), da prassi governative novecentesche, da un sistema legislativo complicato e inconcludente, da un sistema giudiziario imbalsamato e inefficiente, da un sistema fiscale oppressivo e farraginoso, da burocrazie che – nonostante qualche miglioramento – continuano a trattare il cittadino come un suddito, da lacci e laccioli e impedimenti d’ogni genere. Ma anche dai suoi mali antichi, condivisi dal popolo e non solo dalle sue classi dirigenti, dalle sue prassi ancestrali, dai suoi vizi di fondo, dai suoi familismi amorali, dalla sua propensione alla corruzione e alla raccomandazione (tutto, insomma, tranne che la meritocrazia e la concorrenza), dal suo torpore e dalla sua stasi, insomma. Continua a leggere

Lettera a me stesso sul referendum: il giorno dopo

Padova, 5 dicembre 2016

Non ho letto i giornali, oggi. Dopo le dichiarazioni dei leader politici, e dopo l’annuncio delle dimissioni di Renzi, non ho più guardato le tv. Dopo gli ultimi post della notte, ho abbandonato i social network.
Come tutti, c’è la vita che mi richiama ai miei doveri: nel mio caso, di docente, di marito e padre, di persona con degli obblighi, dei problemi, delle cose da fare. Come tutti, appunto.
Ma sento il bisogno e l’urgenza, anche, di riflettere su questo esito referendario: a freddo, ma non troppo – con la lucidità necessaria. Continua a leggere

Le lezioni di una sconfitta

C’erano dei problemi? C’erano.
L’onda lunga internazionale, la paura, la rabbia, l’insicurezza, il senso di rivalsa – più che di rivolta – almeno verbale nei confronti del potere, qualunque fosse, giocavano contro la vittoria del Sì. Brexit, Trump… Continua a leggere

Comunque vada…

Oggi si vota per cambiare la costituzione, o per decidere di non farlo. Il nocciolo della questione è tutto qui: e la palla – in forma di scheda elettorale – è in mano agli elettori. Continua a leggere

Referendum costituzionale: le ragioni per cambiare

Non esistono ottime riforme. Forse non esistono nemmeno riforme buone. Esistono riforme che migliorano: che ri-formano, che danno nuova forma appunto, a ciò che conosciamo.
Perché ciò che conosciamo, perché noi tutti, perché qualunque cosa e qualunque persona, ha bisogno di cambiamenti, anzi vive di cambiamenti: la stasi, infatti, è la morte.
Aggiornare, cambiare qualcosa: vuol dire semplicemente vivere, crescere.
Pensate alle vostre coppie e alle famiglie. Il patto sociale cambia continuamente. Non accettare di cambiare vuol dire non crescere, non accettare la responsabilità di essere adulti. Continua a leggere

Ancora sul bilinguismo in Veneto: la lettera di un sindaco, la mia risposta

A seguito di un mio editoriale sulla proposta di legge sul bilinguismo (che si trova qui), ho ricevuto la lettera di uno dei promotori del progetto, il sindaco di Santa Maria di Piave Riccardo Szumski. Di seguito, il testo della lettera e la risposta che il giornale mi ha chiesto.
Gentilissimo signor Allievi,
nessuna presunzione da parte di Santa Lucia di Piave ne mia di dettere L’ agenda a chicchessia. Il sostegno al PdL 116 con il numero di abitanti minimo previsto dalla legge e invece un tentativo previsto dalla legge,l’ennesimo , di portare al centro del dibattito la questione del Veneto. Continua a leggere

Veneto: La follia del bilinguismo per legge

Premessa. Il veneto, inteso come lingua, lo si tramanda di padre in figlio, e anche da padre non veneto a figlio nato in Veneto: a testimonianza del fatto che è una lingua forte, come ci insegnano glottologi e linguisti – il dialetto percentualmente più diffuso in Italia. Già questo dovrebbe insegnarci qualcosa: se si tramanda anche ai nuovi venuti, e a differenza di altri è parlato non solo dai ceti popolari ma anche dalle classi colte, pur senza essere insegnato a scuola, è perché non ne ha bisogno. A che serve allora un patentino veneto e una legge sul bilinguismo? Passi per il doppio nome sui cartelli dei comuni (che già non serve a molto, ma a volte è sufficiente a spostare qualche voto). Ma se si dovesse mettere in questione insegnamento, pubblica amministrazione, lingua veneta negli atti pubblici, riserva di posti di lavoro nel pubblico impiego, telegiornali e quant’altro, oltre a coprirci di ridicolo ci creeremmo problemi a non finire. E, incidentalmente, introdurremmo una discriminazione nei confronti dei non venetizzati (non solo gli immigrati, pure il dieci per cento della popolazione, ma i moltissimi residenti provenienti da altre regioni, e persino i veneti che il veneto non lo parlano e non lo vogliono parlare, che esistono, sono molti, e rischierebbero di diventare a loro volta una minoranza da tutelare). Continua a leggere