Unità/diversità: ambivalenze culturali del Nordest
Unione deriva da uno. E’ un auspicio, non una descrizione, se applicato non a concetti matematici ma ad esseri umani: che nella società sono chiamati a unirsi, e spesso si richiamano vicendevolmente ai vantaggi e magari ai doveri dell’unione, per poi contestualmente dividersi.
Già la cultura popolare si contraddice a giorni alterni: a seconda di come gira, “l’unione fa la forza”, ma “chi fa da sé fa per tre”. Eppure è una gigantesca ambizione, forse il senso stesso del processo di civilizzazione, aspirare all’unione: nel microcosmo dei nostri affetti, dove definiamo unione, per eccellenza, un rapporto di coppia (che sia un matrimonio o un’unione civile: ed è significativa la commistione delle due parole – è la divisione che è considerata incivile…); fino al macrocosmo delle grandi sintesi politiche, dall’Unione Europea all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Unione indica insomma una relazione tra diversi, non tra omogenei (a cominciare da quella tra uomo e donna, la diversità primaria, dopo tutto, ma anche la forma primaria di congiungimento – parola usata non a caso anche per definire l’unione sessuale), e il desiderio di completamento reciproco, la proposta di coesione, di connessione, di cooperazione, di condivisione, di continuità protratta nel tempo.
Il Nordest, come tante altre parti del mondo, vive oggi un’ambivalenza strutturale. Tra la ricerca spesso nostalgica di una coesione interna che non c’è più, e il bisogno di creare vincoli, legami, collaborazioni, anche al di là dei propri confini. Tra l’approfittare delle opportunità offerte da unioni più grandi, come quella europea, e la paura di lanciarsi in un mondo percepito come troppo lontano, e talvolta l’incapacità di farlo. Tra una razionalità centripeta che spinge ad unire (capacità interne e forme di cooperazione esterne) e pulsioni centrifughe, egoistiche, autocentrate, che rinviano alle declinazioni della paura, del timore, della chiusura. Tra la seduzione del grande e la rassicurazione del piccolo. Tra lo slanciarsi dell’espansione verso il sempre più lontano (il mercato e il mondo globale), e il timore di perdersi che spinge a rinchiudersi nel porto protetto – ma anche privo di risorse sufficienti e dopo tutto di attrattività e di avventura – di una identità intesa come chiusura. E’ la dialettica infinita e inevitabile tra globalizzazione e protezionismo, tra apertura a nuovi mercati e nuove opportunità (anche per chi da queste terre ha ripreso ad emigrare) e la paura del diverso, tra il sì ai fondi europei e il no all’euro, tra il bisogno di inglese e la reinvenzione dall’alto della lingua veneta, tra il desiderio di produrre frutti sempre diversi e sempre più lontano e la ricerca delle proprie radici in orticelli sempre più ristretti, tra lo sguardo aperto sull’orizzonte, con il desiderio e il coraggio di guardare oltre ciò che è familiare, e la contemplazione della propria interiorità quando non del proprio ombelico. Pulsioni per niente contraddittorie, ed anzi fruttuose, se combinate nella consapevolezza della propria rispettiva necessità e delle proprie rispettive virtù: ma che, essendo vissute in maniera schizofrenica ed oppositiva anziché essere portate a sintesi (per la quale ci vuole un livello di consapevolezza che non pare appartenere né alla politica né alla cultura diffusa, ma pur presente in sottogruppi ed individui), ci lasciano preda del combattimento tra tensioni diverse, anziché della capacità di coglierne i rispettivi vantaggi. L’una viene usata contro l’altra: e in questo modo si indeboliscono entrambe.
Proprio il contrario del motto statunitense “E pluribus unum” (dai molti, l’uno), l’unità dalla pluralità. L’unità è – dovrebbe essere – l’aspirazione, il punto d’arrivo auspicato, ma anche il livello di equilibrio contingentemente di volta in volta raggiunto; mentre la pluralità, la divisione, che dovrebbe essere il punto di partenza, sempre più spesso diventa l’obiettivo da perseguire. Così, invece di fecondarsi, le tensioni opposte si contraddicono e si intralciano. Indebolendosi entrambe.
Aspirare all’unione: le ambivalenze di questo territorio, in “Corriere della sera – Corriere imprese Nordest”, 12 dicembre 2016, p.3, rubrica “Le parole del Nordest”