La cultura dello scambio, in “Mattino Padova”, “Tribuna Treviso”, “Nuova Venezia”, “Corriere delle Alpi” (anche “Messaggero Veneto”, Il repulisti unica terapia per l’Italia, e “Piccolo Trieste”, 15 ottobre, p.1, Un reset delle facce contro gli scandali), 16 ottobre 2012, p. 1
L’impressionante serie di scandali che sta coinvolgendo, e a poco a poco travolgendo, le regioni italiane, da nord a sud, con equanime imparzialità, ci mostra quanto il comportamento dei ceti dirigenti italiani sia radicato in una solida cultura. E non si tratta solo di politica: deve ancora cominciare una pulizia vera negli enti, nell’associazionismo anche imprenditoriale, nelle camere di commercio, negli ordini professionali, nelle fondazioni bancarie, nella dirigenza della pubblica amministrazione, nelle municipalizzate, e via disboscando.
Di quale cultura si tratta? La cultura dello scambio, del favore, della raccomandazione, della protezione: un dato tradizionale dell’antropologia italica. Che però, almeno dagli anni ’80 a livello di massa, ma da molto prima a livello di élite, si è incrociata con la cultura dei soldi facili, della scorciatoia, della furbata, del vivere alle spalle degli altri, e in particolare del denaro pubblico e delle pubbliche istituzioni. Che ha finito per far assomigliare la politica e la pubblica amministrazione, ma anche molti altri ruoli associativi, né più né meno che allo spaccio di droga, al concorso o all’appalto truccato, alla corruzione: un modo rapido per fare soldi senza lavorare, per guadagnare senza impegnarsi. Come diceva Balzac: “Un uomo politico è un uomo che è entrato negli affari, o sta per entrarvi, o ne è uscito e vuole rientrarvi”. Laddove affari significa soltanto gli affari propri, naturalmente: anzi, i propri sporchi, loschi, lerci affari. E laddove uomo politico sarebbe categoria allargabile all’uomo pubblico in generale, delle associazioni e delle corporazioni, e non solo delle istituzioni. Continua a leggere