Per cosa votiamo? Scegliere, per non essere scelti
Si vota. E anche no: una stanca campagna elettorale lascia prevedere una significativa percentuale di astensione. Che ha tante ragioni. C’è chi lo considera un bene: se molti non eserciteranno il loro diritto di voto è perché in fondo pensano che, chiunque governi, nulla travolgerà veramente la propria vita. Ma mostra anche un male diffuso: è il segno che molti considerano la politica lontana, e pensano che il voto diventi progressivamente irrilevante, perché non si possono davvero cambiare le cose.
Se già il voto appare sempre meno significativo a livello locale, diventa semplicemente ridicolo considerarlo un test nazionale. Non lo sarà nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli o Torino: ognuna con le sue specificità locali, a cui l’esito del voto dovrà essere ricondotto. Dedurne grandi scenari è più un gioco per giornalisti e commentatori che un dato di realtà – piace molto, nei salotti televisivi, per sembrare addentro alle cose, ma non significa nulla. Figuriamoci in Veneto, che già a livello nazionale conta poco, e in gioco non ha città né figure di rilievo. Qui saranno soprattutto le elezioni del disincanto: locale, perché locale è la crisi di classe dirigente (che non può davvero scaricare le proprie colpe altrove), presente a tutti i livelli, che il disastro delle banche ha messo in luce, ma che va molto al di là di esse. Un disastro che ha messo in evidenza – in una regione dove pure le eccellenze ci sono: in campo imprenditoriale, culturale e altrove – l’inconsistenza di un sistema e i limiti grossolani dei suoi vertici: un’insipienza rara, talvolta accompagnata da grottesca boria paesana, un provincialismo desolante, una strutturale incapacità di confronto e competizione reale. Di tutto ciò la politica è stata ed è ancora parte e in certo senso vetrina, ma ha mostrato allo stesso tempo tutta la sua sudditanza, di fondo la sua irrilevanza. In fondo, oggi, in Veneto, molti elettori voteranno sull’inesistenza della propria stessa leadership: e se ne capisce la difficoltà, l’indecisione, lo sconcerto. Anche perché, se siamo onesti, dobbiamo dire che nel disastro degli istituti di credito (e nel dis-credito, letteralmente, che ha provocato), tutto, nel male e nel bene, nel tracollo e nel salvataggio, è stato deciso altrove che dalla politica locale e regionale. Solo che il tracollo è stato prodotto in loco, figlio purtroppo legittimo anche se fuori controllo del ‘sistema Veneto’, che la politica la include; e il salvataggio, in larga parte, è arrivato da altrove. E’ questo il vero, epocale fallimento del federalismo alla veneta: che nessun referendum sull’autonomia – alla luce di questi eventi, da guardare più con preoccupazione che con sollievo – potrà recuperare.
La politica veneta si mostra provinciale persino nelle ambizioni: con quelle improbabili liste ispirate a Brugnaro, a Bitonci, o a Tosi, proiettate fuori casa, altrove che nelle città da questi governate, come se si trattasse di leader nazionali, di potentati in espansione, e non di specificità chiuse nelle proprie città, di personaggi di commedie dialettali. In troppe città poi si vota un po’ così, tra gare a chi la spara più grossa e test sulla cocaina: e poco o nulla da proporre ai propri cittadini. Come potrebbe tutto questo interessare?
Eppure votare conta ancora. Votare contro. Ma ancora di più votare per. Votare contro un destino di sudditanza. E votare per una presa in carico di responsabilità. Comunque sia, vale ancora la pena farsi sentire. Con la testa, non solo con lo stomaco: che sa fiutare il peggio, ma non sa proporre il meglio; che sa vomitare il passato, ma non sa costruire il futuro. Vale ancora la pena di fare questo piccolo sforzo di pensiero, di responsabilità, di azione, invece di lasciarsi trascinare dalla corrente dell’indifferenza. E scegliere quindi con ragione, per la loro competenza e correttezza – e non per le loro sparate grossolane – le persone che governeranno le nostre città, che sono l’intorno di casa nostra, l’habitat delle nostre relazioni più significative. Può fare la differenza, in termini di qualità della vita e di etica diffusa: e ci farebbe stare meglio anche con la nostra coscienza. Sì, nonostante tutto, vale ancora la pena cercare di scegliere, e non limitarsi ad essere scelti da altri.
Il voto, test per la fiducia, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 4 giugno 2016, editoriale, p.1