La scelta di Cloe: il ruolo della scuola e le scomposte reazioni delle istituzioni

La scelta di creare il caso c’era tutta, e la volontà di provocare in fondo anche, nella scelta dell’insegnante Luca Bianco di diventare, pubblicamente, Cloe: il cambio da un giorno all’altro dei vestiti, il look sopra le righe, la modalità non concordata, il momento scelto (durante l’anno scolastico anziché durante le vacanze, per iniziare direttamente in modo diverso). E le cose potevano andare diversamente: parlando prima con la dirigenza scolastica, con i colleghi, con i ragazzi e le ragazze, e solo poi finire sui giornali, come inevitabile. L’elemento anche narcisistico (nel senso proprio di pensare essenzialmente a se stessi e alla propria immagine, di guardare solo a sé e non alle conseguenze al di fuori) è dunque innegabile; ma è anche vero che in questo clima culturale è difficile fare altrimenti, e forse andare avanti a colpi di rotture è l’unica pratica possibile. Pro-vocare vuol dire allora, come da etimologia, chiamare fuori, far uscire – costringere alla riflessione, se si vuole.
Perché, in fondo, qual è davvero, il problema? Le persone che non si sentono bene all’interno del proprio sesso esistono. Coloro che vogliono cambiarlo, o cambiare la propria immagine di genere, anche. Già si è smesso, e per fortuna, di sanzionare l’orientamento sessuale, dei docenti come degli studenti, che è problema loro e non delle istituzioni; forse è il caso di riflettere anche sull’identità di genere delle persone. Ci sono due modi di farlo. Uno – più frequente di quel che non si creda e ampiamente praticato, ma non detto – è relegare ipocritamente la questione alla sola attenzione morbosa dei padri di famiglia che vivono l’incontro con il mondo transgender e transex come trasgressione peccaminosa: insomma, la buona vecchia prostituzione, solo un po’ aggiornata. L’altro è semplicemente parlarne senza scandalismi e con un po’ di ragionevolezza e riflessione, possibilmente evitando il riflesso condizionato di far funzionare gli organi della fonazione prima di quelli dell’ascolto. E in questo il caso di Cloe, che con la morbosità non ha nulla a che fare (quella c’è solo nello sguardo di chi giudica, ammicca, e fa commenti salaci), può aiutare.
Viste le reazioni della politica, ci sarebbe da essere pessimisti, sulla possibilità di farlo: confermando che l’unica scelta possibile è la provocazione e la rottura. Per fortuna ci sono state le reazioni della scuola, intesa come suoi dirigenti e come suoi utenti: i giovani, gli studenti. Che ci hanno mostrato come, ancora una volta, il mondo risulti migliore di come viene rappresentato.
La scuola ha reagito come poteva unicamente fare: riflettendoci sopra, in maniera accogliente ed empatica, come fa con tutte le diversità – culturali, di capacità, di abilità – che tutti i giorni è chiamata statutariamente a gestire ed educare. Gli studenti pure: non saranno mancate le battute e le ironie, che sono spesso anche un buon mezzo, assai meno volgare e aggressivo di altri, di includere anziché escludere, di cercare di capire anziché rifiutare anche solo di affrontare; ma è prevalsa l’intelligenza delle cose. Semmai, vorremmo aggiungere che è inutile sminuire, limitarsi a dire che si tratta di una brava insegnante. Cloe pone anche un altro problema, che è giusto affrontare in quanto tale: come si fa con le differenze razziali e religiose, culturali e di vestiario, gastronomiche ed etiche.
Il problema viene dalle istituzioni, e ancora una volta dal comportamento assai fuori dalle righe del proprio compito istituzionale dell’assessore Donazzan: che da tempo ci ha abituato ad uscite decisamente improvvide, per chi svolge un ruolo addirittura di guida (o presume di farlo, anche al di là di ciò che il suo mandato stabilisce) delle istituzioni educative regionali. Siamo abituati alle sue prese di posizione, sul gender, sul presepe o sull’islam (come la vergognosa lettera alle scuole dopo i fatti di Charlie-Hebdo), e tutte le volte ne notiamo la modalità eccessiva, un po’ troppo in favore di telecamera, più attenta alla visibilità che all’utilità.
Vorremmo semplicemente che capisse che il suo ruolo non è promuovere un superficiale ma non meno dannoso maccartismo all’amatriciana, o in saor, se si preferisce. E che il ruolo dell’assessore non è diffondere una goffa visione neo-guelfa della società, ma far funzionare il comparto di cui è responsabile: esattamente il contrario della drammatizzazione inutile, dello scontro ideologico continuo, della sistematica pratica divisiva cui ci ha abituati. Che fanno capire quanto non ci sia alcuna voglia di risolvere i problemi, ma solo di cavalcarli politicamente, e di schierarsi: non propriamente quello di cui la scuola, e la società, ha bisogno.
Cloe, narcisismo e “inquisizione”, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 4 dicembre 2015, editoriale, p.1
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