Perché è legittimo – e necessario – dissentire
Nessuno di noi può sapere veramente e fino in fondo cosa è giusto e cosa è sbagliato, nelle decisioni del governo. Anche perché non sappiamo su quali basi sono state prese, se è vero – come qualcuno sta cominciando ad ammettere – che anche molti membri del governo hanno assunto decisioni senza avere potuto vedere alcun dato specifico, disaggregato, settoriale, o territoriale, sulla base del quale prendere le decisioni relative ai propri settori di competenza da chiudere o da lasciare aperti. Decisioni che – in mancanza di questa base razionale – rischiano di essere interpretate come una specie di lotteria, che decide, come un’antica divinità priva di pietas, o un’incarnazione del fato, chi può salvarsi e chi no, i sommersi e i salvati, sulla base del proprio cieco volere. Ecco perché una prima doverosa battaglia da vincere, se si vogliono davvero convincere dei cittadini maturi della bontà delle proprie scelte, e non solo imporre a dei sudditi recalcitranti le proprie imperscrutabili volontà, seppure per il bene dei sudditi medesimi, è quella della trasparenza e della qualità delle fonti sulle quali si fonda il processo decisionale. Altrimenti saremo legittimati al sospetto del pressapochismo e dell’incompetenza, a giustificazione della nostra critica e della nostra protesta. Questo vale a livello governativo, regionale, e locale. Occorre contezza delle fonti, degli studi: ma anche dei vari passi compiuti nel processo decisionale. Le riunioni svolte, i tavoli di coordinamento attivati, gli incontri con le parti sociali avvenuti. Per non dover scoprire ex post, come ora sta avvenendo – per esempio nel settore più esposto, e ritenuto più problematico nell’ambito della diffusione del virus, quello dei trasporti – che non ci sono stati, o sono stati tardivi, o inconcludenti, nel senso che non si sono conclusi con decisioni assunte e procedure attivate, o non sufficienti. Ancora una volta: a livello locale, regionale, nazionale.
Non siamo più alla prima ondata, alla novità e alla conseguente impreparazione come scusa. E giustamente, oggi, i cittadini, gli organismi di rappresentanza, i corpi intermedi, non si fidano più: vogliono capire, non necessariamente protestare. Ed è semplicemente giusto che sia così: il consenso va conquistato, e meritato. È per questo che, di fronte alle proteste, la reazione stucchevole e retorica dell’unità patriottica, o del ritrovare lo spirito di marzo, è un disco rotto, senza efficacia, e una veramente troppo comoda scappatoia. Occorre ri-legittimare – è ora – un dibattito aperto, franco e democratico tra opinioni contrapposte: dopo tutto, è il senso ultimo del ruolo dell’opinione pubblica, dei media, e in definitiva della democrazia. È inaccettabile la violenza organizzata, quella del controllo camorrista del territorio, del teppismo e del ribellismo neofascista intrecciato con il tifo organizzato (una malattia che avremmo dovuto debellare da tempo e a prescindere), quella degli antagonismi fini a sé stessi, buoni solo a distruggere. Ma è utile e necessario alla tenuta del sistema democratico che si esprima ora, anche in maniera organizzata e pubblica, e quindi in tutte le forme lecite, piazze incluse, il dissenso, anche, o almeno il diritto a un’informazione dettagliata e non unilaterale e paternalistica, solo dall’alto in basso, top-down: per il bene del governo stesso, occorre molto flusso al contrario, bottom-up, dal basso verso l’alto, se si vuole che le decisioni prese siano condivise e implementate. È questione di efficacia, anche senza voler evocare i sacri princìpi e fondamenti del vivere civile e della democrazia. Occorre legittimare un ampio spazio di commento, di critica, di protesta, di disobbedienza civile anche (che va distinta dal ribellismo facinoroso spontaneo o organizzato) e possibilmente un’arena di socializzazione di dati raccolti in maniera indipendente, e interpretazioni e proposte alternative: facendo diventare tutto questo un vero e anche vivace dibattito pubblico, anche legittimamente conflittuale, su come far uscire il paese dalla crisi. Serve oggi più che mai un’opposizione critica, costruttiva, propositiva, legittimata come tale. Per non lasciare il monopolio dell’opposizione di piazza a camorra, neofascisti e ultras, e il monopolio della rappresentanza del lavoro ferito a delle destre prive quasi sempre di proposta, ma abili nel cavalcare la protesta, e a trasformarla in futuro consenso. E in questo deve fare un passo serio proprio il governo, con le forze politiche che lo sostengono, quasi a contraccambio della richiesta di ulteriori chiusure e sacrifici. Non farlo sarebbe una forma di cecità imperdonabile.
Consenso e dissenso, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 29 ottobre 2020, editoriale, p.1