Non andrà (più) tutto bene

Non andrà (più) tutto bene. Perché non è più la prima volta. Con la prima ondata del virus eravamo tutti inevitabilmente impreparati: governo nazionale, governi locali e cittadini. Si è improvvisato, ci si è contraddetti, si è andato avanti per tentativi ed errori, ma lo si è percepito come accettabile, e lo era, in una situazione obiettivamente eccezionale. E pur tra qualche mugugno si è obbedito, persino con l’entusiasmo iniziale di farlo e di farlo vedere, inventandosi rituali di condivisione a distanza, con una disciplina che persino gli osservatori internazionali (ma anche noi stessi, ammettiamolo) hanno giudicato sorprendente: dagli italiani non ce lo si aspettava.
Ma ora, con la seconda ondata, le cose stanno diversamente. Perché la crisi ha già fatto sentire il suo morso – famelico e ineguale – sui cittadini. A migliaia sono falliti, o hanno visto ridimensionati con drammatica brutalità stili di vita e aspettative sul futuro: obiettivi sfumati, progetti arenati, i sogni – e qualche volta i risparmi – di una vita svaniti, distruzione non solo di ricchezza, ma di tessuto sociale e di speranza. Benessere economico che tramuta rapidamente in malessere anche esistenziale, rabbia, impotenza. Questo per i non garantiti, per molte imprese e lavoro autonomo, per i giovani e per le donne in misura molto maggiore che per altri. Il tutto mentre per un’altra metà del paese le cose andavano esattamente come prima, senza perdita alcuna di reddito, solo le scomodità del lockdown. Producendo così diseguaglianze diffuse mai viste prima in questa entità: tra parenti, famiglie, amici, vicini, all’interno dello stesso stabile, non più solo quelle tradizionali tra quartieri bene e quartieri popolari. Questo ha fatto emergere anche nuove forme di solidarietà, ma soprattutto debolezze e fragilità di sistema.
E poi, ora, c’è la disperazione sociale, e con essa la rabbia inconsulta. Perché l’impoverimento che si prospetta con nuove chiusure va a colpire fasce sociali già ampiamente ridimensionate, impoverite, in qualche settore produttivo decimate. E perché non si può più perdonare l’inefficienza e l’impreparazione: non è più la prima volta. Molte cose hanno cominciato a funzionare molto meglio, in particolare nel comparto sanitario: che, in prima linea, e sottoposto ad alta visibilità, ha subìto la maggiore pressione a cambiare, in meglio e con maggiore efficienza. Non così in altri settori. Non nell’efficienza dei rimborsi, e nella barocca complessità delle richieste di indispensabili prestiti, sussidi o anticipazioni, per aiutare gli operatori economici in difficoltà. Non, soprattutto, in due settori che balzano all’occhio di qualunque cittadino: il trasporto pubblico e la scuola. Nel primo si sta scoprendo solo ora – a scuola e lavoro in presenza già iniziati da un pezzo, e pandemia ripartita – che con l’intero settore del noleggio pullman in ginocchio, e la conseguente larga disponibilità di bus inutilizzati e aziende in crisi, c’era a disposizione un possibile pezzo di soluzione in maniera relativamente semplice: che non si è saputo intravedere prevedendo e organizzando scenari alternativi – con responsabilità ampiamente condivise tra livello nazionale, regionale e locale (una delle cose che il cittadino non sopporta più, peraltro, è il continuo scaricabarile e rimpallo di responsabilità tra istituzioni). Nel secondo è evidente che il pur encomiabile e doveroso sforzo di ripartire in presenza ha oscurato tutta la parte relativa alla didattica a distanza, nel caso ci si dovesse ritornare: non tanto a monte, dove diverse scuole si sono attrezzate acquisendo competenze durante il precedente lockdown e qualche macchinario di supporto dopo, ma soprattutto a valle, approntando misure per i più demuniti (per mancanza di computer e tablet, di capacità di banda e risorse per acquistarla, di accompagnamento e di supporto nelle lezioni e nei compiti per chi – e sono molti – non può essere seguito a sufficienza dalle famiglie, ecc.). Sono settori in cui è evidente, oltre tutto, e si aggrava, la struttura delle diseguaglianze: tra chi può (essere accompagnato a scuola e altrove in auto dai genitori, avere mezzi informatici e supporti familiari o stimoli alternativi nel percorso di istruzione e approfondimento culturale) e chi non può e non ha.
Per questo non andrà più tutto bene, o quanto meno facilmente, con un buon grado di accettazione popolare, e consenso diffuso. Occorrerà ancora più polso, e chiarezza di obiettivi, ed efficienza. Ma anche porre mano con politiche che dovranno essere sostanziose e di lungo termine alla struttura delle diseguaglianze sociali, tra garantiti e non garantiti, tra generi e tra generazioni, mai così elevate e preoccupanti, con conseguenze di lungo periodo devastanti. Indicandole alla pubblica opinione come obiettivi da condividere per equità, giustizia e coesione sociale. In modo che anche i cittadini – e tra questi chi finora ha sofferto di meno – si responsabilizzino. Il problema è di tutti, non solo delle istituzioni. E dovremo farcene carico tutti.

Non andrà tutto bene, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 25 ottobre 2020, editoriale, p.1