Jihadismo nel Nordest: le tre vie della radicalizzazione
L’espulsione di Ridha Aissaoui, lo spacciatore tunisino radicalizzatosi in carcere e diventato un improvvisato imam tra le sbarre prima a Treviso e poi al Due Palazzi di Padova, riporta l’attenzione sul Veneto. Una regione interessata da significativi fenomeni di radicalizzazione, per la semplice ragione che è una di quelle con la maggiore presenza islamica, insieme alle altre regioni del centro-nord. Ne analizziamo alcuni casi, che ci aiutano a capire i percorsi di radicalizzazione e la loro genesi.
In passato il Veneto è stato al centro di una importante Balkan connection. Il caso più noto è quello del predicatore itinerante Bilal Bosnic, che transitato per alcuni luoghi di culto periferici (in particolare, a Ponte delle Alpi) è riuscito a convincere diverse persone a partire per combattere il jihad nello Stato Islamico: tra questi il bosniaco Ismar Mesinovic, partito con l’amico Munifer Karamaleski, lasciando la moglie e portandosi via il figlio di due anni. Mesinovic è morto in combattimento, mentre il figlio è stato ‘adottato’ da un’altra famiglia di jihadisti. Si tratta di un percorso tipico di un periodo ancora iniziale – era il 2013 – di attenzione al (e, da parte delle comunità islamiche, sottovalutazione del) fenomeno: che non a caso ha interessato centri minori, nei paesi più che nelle città, dove l’attenzione era già maggiore, e certi predicatori avrebbero fatto fatica a legittimarsi.
Un secondo caso è quello di Merieme Rehaily, teenager cresciuta dai nonni fino a 14 anni in Marocco: arrivata in Italia per raggiungere i genitori emigrati, amante dell’hip hop e delle moto, non religiosa (come del resto lo era poco anche il padre), non frequentava i connazionali, ma in poco tempo si è radicalizzata da sola, su internet, è diventata una predicatrice jihadista sul web, e appena maggiorenne è partita da sola per il Califfato.
Il terzo esempio è appunto quello di Ridha Aissaoui, passato in poco tempo da spacciatore nei pressi delle scuole di Treviso a imam fai-da-te, radicalizzatosi nel periodo trascorso in carcere, ed espulso prima che potesse nuocere.
Non si tratta dei soli jihadisti o loro simpatizzanti formatisi nel Nordest (anche Friuli e Trentino sono stati infatti interessati da importanti inchieste e significative espulsioni, sia verso i Balcani che verso il Maghreb) partiti per lo Stato Islamico, e anche tra gli espulsi figurano imam dai roboanti discorsi contrari alla cultura occidentale (dalle questioni di genere alla musica), che sfavorivano e stigmatizzavano i processi di integrazione, e dalle prediche fortemente anti-ebraiche. Ma, insieme, i casi di Ismar Mesinovic, di Merieme Rehaily e di Ridha Aissaoui, ci mostrano le tre traiettorie di radicalizzazione principali, presenti anche a livello nazionale, descritte anche in un report della Commissione sul jihadismo e la prevenzione della radicalizzazione presso la presidenza del consiglio – di cui faccio parte – che sarà presentato a Roma nei prossimi giorni: le moschee più marginali (soprattutto in una prima fase), internet e il carcere.
Questi casi ci dicono che il problema esiste. Ma ci raccontano anche di percentuali molto minori rispetto ad altri paesi europei (i foreign fighters italiani sono stati in tutto circa 120: i paesi europei comparabili, e molti tra quelli assai più piccoli, hanno numeri significativamente superiori), grazie anche alla maggiore dispersione sul territorio che ha per effetto anche una maggiore conoscenza reciproca e l’inesistenza di banlieues alla Molenbeek, la presenza più recente di seconde generazioni, la mancanza di risentimento postcoloniale, una efficace azione di intelligence e di contrasto che è anche effetto della specializzazione italiana sul terrorismo politico diffuso degli anni’70 e ’80, che ha lasciato segni anche nelle modalità di organizzazione e di presenza delle forze di sicurezza sul territorio, e infine di un soddisfacente livello di collaborazione con gli immigrati e le loro rappresentanze presenti sul territorio. Di cui è testimonianza anche l’espulsione di Aissaoui: segnalato agli investigatori da un mediatore culturale arabo che opera in carcere.
Jihadismo: tre vie a Nordest, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 27 dicembre 2016, editoriale, p.1