Governare lo Zaiastan, tra innovazione potenziale e lenta decadenza

Il monarca Zaia dispone ormai di un potere assoluto. Non ha più nemmeno un’opposizione che possa non diciamo fare, ma dire qualcosa: in Consiglio regionale perché i regolamenti non glielo consentono; sul territorio perché resterà a lungo, rintronata dalla sconfitta, a rimuginarla e, possibilmente, a cercare di capirla. A questo punto si trova di fronte a un bivio: essere un monarca illuminato, o un satrapo, anche involontario e riluttante. Il primo è quello che usa il suo potere per innovare, cambiare le cose, potendosi permettere di percorrere strade non seguite prima, fare e far fare nuove esaltanti esperienze, accrescendo al contempo il suo stesso potere, il suo carisma, la sua aura, lasciando così un segno nella storia. Il secondo, anche quando non fa nulla di male o di sbagliato, è quello che si accontenta di andare avanti così, in compagnia dei soliti amici, per fare le solite cose, tanto la strada è in discesa, nessuno potrà dirgli niente, e il consenso gli si manterrà in ogni caso appiccicato come i vestiti fino alla fine del suo mandato. Il primo smuove le cose, il secondo le lascia andare avanti come prima.

In inglese c’è una parola che negli ultimi anni è diventata abbastanza di moda. Nasce come negativa, problematica, ma oggi la si usa sempre più spesso in chiave positiva, a proposito del management, della leadership, delle professioni, della ricerca, delle équipe di lavoro, dell’impresa, delle tecnologie: è l’aggettivo disruptive, che significa dirompente, disturbatore, trasversale, indisciplinato, sovvertitore – qualcosa che crea sì, inizialmente, disturbo, cambia l’ordine costituito e fa perdere un po’ il controllo della situazione, ma proprio per questo, facendo uscire dalle routine, dall’abitudine, dal tran tran quotidiano, dalla stanca ripetizione del passato, consente di produrre cambiamento in positivo, innovazione, miglioramento. Un po’ come la distruzione creatrice che si attribuisce all’imprenditore. È un aggettivo che si applica anche alle tecnologie, ma in realtà i suoi effetti sono soprattutto determinati dalle persone, che della disruption sono portatrici.

Ecco, quello che ci sentiremmo di consigliare a Zaia, per il bene del Veneto, è di costruirsi un po’ di di sana opposizione interna, ma opposizione creatrice, collaborativa, fatta di nuovi apporti e di nuove idee, circondandosi di un po’ di persone disruptive. Lo diciamo pensando anche alla futura Giunta di governo del Veneto, per la quale si leggono invece i soliti nomi: vecchi amici, compagni di tante battaglie, yesman e yeswoman, o anche solo garanti dell’ordine costituito, saldi controllori del territorio e di fette di elettorato.

Il Veneto non è più la locomotiva del modello Nordest degli anni migliori. Quel periodo è finito da un pezzo, anche se una parte della popolazione non se ne accorge perché ne gode ancora i benefici. Molti indicatori sono in declino, dalla demografia all’istruzione (non foss’altro perché i giovani li formiamo anche, ma li perdiamo in favore di altre regioni), per non parlare dell’economia e del lavoro, sulla cui etica, sui cui valori, oltre che sulle cui risorse, il modello Veneto è nato. Il tessuto sociale presenta sempre più segni di sfilacciamento, le diseguaglianze aumentano, e il Covid ha dato il colpo di grazia al mondo di prima. Abbiamo bisogno di risollevarci, ma non succederà se pensiamo di ricostruire il mondo che fu: occorre immaginare un mondo nuovo, una diversa terra promessa. Abbiamo bisogno di cambiare molto, se non tutto, in molti ambiti, se non tutti: dall’economia e dal lavoro all’ambiente e alla pianificazione urbana, dal sociale alla cultura passando per la pubblica amministrazione e l’organizzazione dei servizi. Non lo possono fare gli uomini e le donne di prima. Ma lo può fare un leader forte e visionario, capace e coraggioso quanto basta da circondarsi, oltre che di amici e sodali, anche di persone che possano dargli consigli anche inusuali, che abbiano esperienza di vita e di conoscenza in un qualsiasi altrove dove le cose funzionano diversamente e possibilmente meglio, che possano offrire spunti originali. Dopo tutto, quelle che stiamo descrivendo, sono le doti di un imprenditore di successo: un modello che non dovrebbe essere estraneo all’idea che il Veneto si è fatto di se stesso.

Occorre scegliere se fare dello Zaiastan un centro di sviluppo creativo o una remota tranquilla provincia, un hub di innovazione o un luogo di lenta decadenza, una Seattle o una Detroit. E la scelta di oggi peserà domani sulle future generazioni. Per questo richiede coraggio. Il coraggio di lasciare il segno. Il segno di Zaia?

 

Il leader di fronte a un bivio, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 29 settembre 2020, editoriale, p.1disruptive