Un anno fa, Giulia Cecchettin: cosa è cambiato?

Il caso di Giulia Cecchettin è stato uno spartiacque. C’è un prima e c’è un dopo. Nel cupo orrore e nella tragicità dell’episodio di violenza, purtroppo ripetutosi così tante volte da essere banalizzato, la luce è stata il fatto che sia diventato caso esemplare – paradigmatico, se si vuole, di un paradigma che era necessario superare. E i tempi erano maturi per farlo, anche se gran parte del merito è stato della famiglia di Giulia, della sorella e del padre, della capacità che hanno avuto di gestire in pubblico un dolorosissimo fatto privato: rendendolo con dignità narrazione collettiva, e motivo di ripensamento delle dinamiche di genere, della cultura diffusa nella società. Da qui la grandissima e forse inaspettata partecipazione emotiva, la forte mobilitazione, la commossa partecipazione di tanti ai funerali, trasmessi anche – fatto non scontato per una sconosciuta – in diretta tv, i “minuti di rumore”, diventati ore e ore di incontri e assemblee, come suggerito dalla sorella Elena Cecchettin contro la debolezza del segnale del minuto di silenzio, persino l’innovazione prodotta nel vocabolario comune: il termine patriarcato, che prima era di pochi, sdoganato dai messaggi della sorella, e diventato patrimonio diffuso.

Questo, per quanto riguarda il sentimento popolare. E le istituzioni? Di tutto questo cordoglio sviscerato in pubblico, di tutto questo slancio propositivo, di questa apoteosi di buone intenzioni e determinazione affinché non accada mai più, delle molte mirabolanti parole che preannunciavano corsi, programmi, formazione permanente e quant’altro, che cosa è rimasto? Certo, c’è stata l’approvazione bipartisan del disegno di legge contro la violenza sulle donne, poche settimane dopo, sull’onda emotiva della morte di Giulia. La magistratura ha potenziato gli organici di chi si occupa di violenza di genere. Sono aumentate le denunce e le richieste di aiuto, e questo è certamente uno degli effetti positivi della risonanza mediatica del caso. Sicuramente c’è più attenzione nelle forze di polizia, e tra gli assistenti sociali, anche in termini di prevenzione, dopo alcuni casi anche clamorosi di sottovalutazione e di mancato intervento che sono stati letali per alcune vittime che pure avevano avuto il coraggio di denunciare – anche dopo il caso di Giulia Cecchettin, purtroppo.  Ma che ne è stato degli annunci del Ministro dell’istruzione e della Ministra per la famiglia e per le pari opportunità? Quali nuove procedure, progetti, programmi stabili e non episodici, per produrre il cambiamento culturale che allora tutti abbiamo giudicato essenziale? Si erano spese, allora, grandi promesse da parte di tutti: di cambiare, di fare, di educare, di migliorare il nostro ecosistema morale. Si era parlato di iniziative, di corsi, di educazione civica allargata, di coinvolgimento delle istituzioni – e della scuola in particolare – nel creare nuove attività, nuovi contenuti, che prendessero in considerazione l’educazione ai sentimenti, che contribuissero a educare in particolare la metà maschile del mondo, che il femminicidio è quella che lo pratica, in nome di una virilità, anzi, di una maschilità che abbiamo imparato a definire tossica.

Certamente è cambiato qualcosa nella mente di molti, che quello che è successo l’hanno lasciato filtrare nelle loro vite, nel loro rapporto con gli altri e soprattutto le altre, con maggiori attenzioni, con iniziative semplici, discrete, di evidenziazione del tema, di discussione. Molti insegnanti hanno oggi un’attenzione diversa, e utilizzano le occasioni che l’attualità anche interna a gruppi e classi offre per discutere di più: e il loro ruolo è centrale, dato che il problema è soprattutto culturale, e quindi eminentemente educativo. Molte famiglie fanno certamente altrettanto: per proteggere le figlie, e forse anche per prevenire il rischio che comportamenti oppressivi e violenti si ripetano tra i figli. Ma di pubblico, di generalizzato, di permanente, di diffuso, che cosa è stato proposto, fatto, attuato, applicato? Quali sono i segnali dati all’opinione pubblica che lo spartiacque del caso Cecchettin è stato davvero tale? E non parliamo di singole iniziative, alle quali peraltro ha partecipato spesso e generosamente lo stesso Gino Cecchettin. Parliamo di qualcosa di stabile, e strutturale. Diteci che c’è. Fateci sapere che non è stato invano. Chi ha contezza di progetti istituzionali non occasionali, realizzati o in corso di realizzazione, li racconti, li condivida, anche per suggerire buone pratiche a tutti noi: il dibattito pubblico e la maturazione della coscienza collettiva sono fatti anche di questo.

 

La politica batta un colpo, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 27 ottobre 2024, editoriale, pp. 1-3