Il paradosso della cittadinanza. I destini opposti di oriundi e immigrati

Cittadinanza. C’è chi la vorrebbe, la desidera, la sogna, ma non riesce a ottenerla: come i ragazzi di seconda generazione nati qui, socializzati qui, istruiti qui, che parlano e pensano italiano (e non solo “in” italiano). E c’è chi è nato, socializzato e istruito altrove, non sa necessariamente l’italiano e non è detto che sia interessato a impararlo, ma la chiede per motivi spesso strumentali, e la ottiene senza sforzo, a seguito di una semplice richiesta al comune d’origine del proprio avo: i figli, nipoti, bisnipoti e trisnipoti di italiani emigrati altrove anche centocinquantanni fa.

Ecco, se si vuole cogliere l’insensatezza di un provvedimento esistente e di uno mancante, questo paradosso la fotografa bene. La legge esistente è quella in base alla quale può richiedere la cittadinanza italiana chiunque, discendente di italiani, lo voglia. Quella che manca è quella sulla cittadinanza per i figli di immigrati nati e/o cresciuti qui.

Solo che questa situazione non è frutto del caso, di un errore, di una svista, ma di una determinazione tutta ideologica, perseguita con convinzione per anni, che introduce un’idea forte anche se mitizzata di stirpe. Per dirla semplice, la legge per gli italiani all’estero è uno ius sanguinis allargato, anche a chi il sangue l’ha peraltro annacquato parecchio: considerando tutti i discendenti degli emigranti e di coppie miste (basta un avo) c’è chi stima per assurdo una platea potenziale di 60 milioni di persone, un’altra Italia fuori d’Italia. Su questo presupposto ideologico, si sono innestate alcune considerazioni strumentali: la destra era convinta, a torto, di avere un bacino di voti assicurato, che in taluni casi ha invece favorito la sinistra (così come è convinta, a torto, che gli immigrati siano un bacino di voti assicurato per la sinistra, mentre l’esperienza di molti paesi europei mostra che è un elettorato trasversale, come tutti). Una buona dose di demagogia, ha poi fatto sì che i provvedimenti relativi fossero votati da tutti, destra e sinistra insieme, facendo a gara per rivendicarne il merito. Motivo per cui, oggi che la legge rivela tutte le sue distorsioni, non si ha il coraggio di mettervi mano. Qualcuno la richiede infatti per tornare a vivere in Italia, per amore di una antica patria e della sua cultura. Ma molti invece solo per avere un passaporto che consenta loro di entrare negli Stati Uniti senza visto, o poter entrare, grazie alla libera circolazione garantita ai cittadini europei, in altri paesi dell’Unione. Con il risultato che il Brasile è al quarto posto tra le provenienze di coloro che ottengono la cittadinanza (dopo Albania, Marocco e Romania) pur non essendoci una significativa presenza di brasiliani in Italia, e l’Argentina è uno dei paesi con l’incremento maggiore di cittadinanze ottenute pur essendo pochi gli argentini residenti. Un’altra ragione per chiederla, come ha sottolineato di recente anche il presidente Zaia, è quella di utilizzare, alla bisogna, il sistema sanitario nazionale.

Questo mentre una legge un po’ più aperta sulla cittadinanza per le seconde generazioni non viene approvata, ancora una volta per motivi ideologici. Eppure della specularità dei diritti aveva un’idea forte persino un politico come Mirko Tremaglia, esponente del Movimento Sociale, poi di Alleanza Nazionale, infine del Popolo delle Libertà, ministro degli italiani nel mondo (figura che è esistita per una quindicina d’anni a cavallo del secolo) e instancabile sostenitore dei loro diritti, a partire da quello di voto, della cui relativa legge è il padre riconosciuto. Che, tuttavia, chiedeva per gli immigrati gli stessi diritti richiesti per i nostri emigranti, con queste parole: “Gli emigranti italiani hanno vinto nel mondo contro le discriminazioni ottuse, gli stereotipi che li volevano tutti mafiosi e delinquenti, le vere e proprie persecuzioni di cui sono stati oggetto. Con questa storia alle spalle, dare una chance a chi oggi è in Italia da straniero è qualcosa di più di un adempimento burocratico: è un dovere morale che tutti dovrebbero sentire”. Da uomo onesto, che aveva una visione e dei princìpi, si ritrovò isolato.

Tutto questo è materia sufficiente per fermarci a riflettere. E ragionare su quello che davvero vogliamo, quello che è davvero utile, e magari anche quello che è giusto, in materia di cittadinanza.

 

Che cosa vuol dire cittadini, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 25 settembre 2024, editoriale, pp. 1-5