La logica dei diritti e il bisogno di riforme

La nostra è una società impantanata, soffocata dalle caste e dalle corporazioni dei privilegiati e dei garantiti, oppressa da adempimenti legislativi, burocratici e fiscali intollerabili che ne imprigionano le forze e la creatività, con tassi di mobilità sociale bassissimi, più simili a un feudalesimo temperato che a una moderna democrazia europea. La sua priorità è quindi liberare le sue energie e sottrarsi al giogo dei legami che le impediscono di svilupparsi. Continua a leggere

La forma è il contenuto: Renzi, le parole e le cose

Quando diciamo, di una persona, che ha stile, intendiamo il suo carattere peculiare, ciò che la distingue, che la caratterizza, e che è di solito tutt’uno con una certa visione della vita, e con alcuni valori: fossero anche quelli fatui e non durevoli delle mode passeggere.

Lo stile di Renzi è poco paludato, un po’ guascone, con un gusto forse eccessivo della battuta, talvolta superficiale, ma anche diretto e comprensibile. Comunque è il suo e, nell’opinione dei più, è probabilmente più apprezzato dello stile abbottonato, un po’ soporifero, mortalmente noioso, allusivo, apparentemente profondo e spesso incomprensibile di molti altri politici. La serietà della proposta politica, in ogni caso, non si desume da questo, ma dai contenuti. E i contenuti sono in qualche modo paralleli alla forma, che li rappresenta: anzi, per dirla con Karl Kraus, “la forma è il contenuto”, esattamente come lo stile rappresenta la persona. Agilità, accelerazione, velocità di risposta ai problemi, orecchie attente sintonizzate sulle diffidenze della società e sui suoi malumori, assunzione in prima persona delle responsabilità delle scelte, nello stile politico di Renzi. Lentezza pachidermica, scarsa capacità di reazione, disinteresse ai problemi della gente, scaricabarile (sul partito, sul governo, sull’opposizione, sull’Europa, sulla globalizzazione…) come alibi per non affrontare i problemi scomodi e rinviare la proposta di soluzioni, nell’idea media che gli italiani si sono fatti dei politici.

Certo, ci sono esagerazioni, presunzioni, e cadute – per l’appunto – di stile, nell’approccio renziano: che tuttavia, nel notoriamente poco elegante dibattito politico nostrano, restano largamente nella media. Un male evitabile, ma minore, rispetto a molti altri. Fanno discutere i giornali e i commentatori: molto meno, probabilmente, gli elettori. Che, verosimilmente, sono invece interessati ad altro: ai contenuti di cui un determinato stile è foriero.

Renzi, con il suo stile irruento, sta terremotando alcune abitudini diventate col tempo istituzioni, e poco amate come tali. “La rivoluzione non è un pranzo di gala”, diceva Mao: giustificando con questa scusa anche le peggiori nefandezze. Ma non lo è nemmeno proporre una più blanda e moderata riforma, a quanto pare, in questo paese che non vi è abituato, ma che ne ha un disperato bisogno: le riforme sono infatti una prepotente urgenza, per usare le parole del capo dello stato a proposito di una di esse. Renzi affronta questa esigenza accelerando sui tempi, e cercando di portare a casa risultati concreti e in fretta: il contrario di quello che è successo negli ultimi anni. Le sue scelte sono infatti significative: anche nel voler giocare contemporaneamente su più tavoli, tanti quanti sono i principali problemi del paese.

Riforma elettorale vuol dire infatti occuparsi della principale emergenza politica del paese. Jobs act vuol dire occuparsi della sua principale emergenza economica, il lavoro. Diritti civili vuol dire adeguarsi a degli standard minimi di decenza europea. Anche la scelta di de- romanizzare la politica, cambiandone orari (con le riunioni al mattino presto), sedi (con le riunioni decentrate), e rituali (linguaggio e modalità), corrisponde a un desiderio sentito e trasversale, forse persino a Roma, dove probabilmente non ne possono più di sentirsi identificare con i peggiori vizi della politica italiana. Su tutti questi temi, non solo su alcuni di essi, il paese attende risultati in fretta, e non tollera ulteriori perdite di tempo.

Questo naturalmente significa, nell’assenza o nella lentezza di iniziativa dell’esecutivo – costretto dal suo carattere coalizionale a mediazioni inevitabili quanto estenuanti, che troppo spesso si esauriscono in un rinvio – incalzare il governo: cioè costringerlo ad accelerare fortemente il passo, o farlo cadere se non si adegua. Entrambe eventualità più gradite all’elettore medio di un governo lento e che decide troppo poco. Esigenza di cui Renzi si fa forte. Per ora, più in sintonia con il paese dei suoi oppositori, interni ed esterni al Partito Democratico.

Lo stile del sindaco d’Italia: dopo le parole, i contenuti, in “Piccolo” Trieste, 6 gennaio 2014, p. 1

Renzi, uno stile in sintonia col paese, in “Messaggero veneto”, 6 gennaio 2014, p. 1

Uno stile in sintonia con il paese, in “Mattino” Padova, “Tribuna” Treviso, “Nuova” Venezia, “Corriere delle Alpi”, 6 gennaio 2014, p. 1

Renzi vs Fassina: evitare l'ipocrisia

Renzi fa una battuta forse di troppo. Fassina, compiendo un gesto forse di troppo, se ne va, dicendo che è un fatto politico, non personale. Salvo lamentarsi dell’offesa personale.

Renzi, forse, qualche battuta potrebbe risparmiarsela. Fassina, forse, qualche intervento politico, che esula dal suo ruolo, pure. Continua a leggere

Società concava, politica convessa: geometrie a confronto

Non ci sono più spazi di manovra. L’ultima indagine Demos sul rapporto tra gli italiani e lo Stato fotografa questo dato in maniera impressionante. Non solo si sta peggio (tutti i principali indicatori sono in negativo, nel 2013, per percentuali variabili tra il 50 e l’80% degli italiani): non si crede più che le cose potranno migliorare, almeno a breve termine. Continua a leggere

Per un rilancio democratico: un nuovo inizio, una nuova speranza

Per un rilancio democratico: un nuovo inizio, una nuova speranza

Con le elezioni europee, gli elettori hanno dato un forte e inequivocabile mandato di governo al Partito Democratico: il 40,8% di voti ottenuti è il segnale di una grande speranza e di una grande fiducia, che il PD ha ora il grande compito di dover onorare, per il bene dell’Italia.

Nella città di Padova, ma anche in altre realtà della provincia, le cose non sono andate nello stesso modo. Se alle europee il PD ha comunque ottenuto grandissimi risultati (a Padova addirittura superiori alla media nazionale, con il 41,4% dei voti), quando si è trattato di mettere il proprio voto sulla scheda delle comunali, il PD è precipitato, e solo il 24,9% dei votanti ha scelto lo stesso simbolo: ben il 16,5% in meno che alle europee. In cifra assoluta il confronto è ancora più impressionante: 45.841 voti alle europee, solo 26.700 voti alle comunali. Questi risultati sono il segno di una evidente mancanza di fiducia nel PD locale: gli elettori hanno premiato il PD nazionale, la sua nuova leadership, la sua attuale linea politica, il suo stile innovativo e aggressivamente riformista, e hanno punito un PD locale evidentemente non percepito in linea con questi cambiamenti.

Crediamo che gli elettori abbiano ragione. Crediamo che a livello locale non ci sia stata quella discontinuità forte, di persone e di proposte, e quel cambio di marcia che hanno premiato il PD nazionale e la maggior parte delle realtà locali: e questo rende ancora più evidente la sconfitta padovana, e il fatto che il vento di cambiamento che soffia nel paese, a livello locale sia stato intercettato, con molto maggior convincimento, dal centrodestra e dal suo candidato Bitonci. Una sconfitta ancora più bruciante, in una città che non è mai stata leghista.

Crediamo tuttavia che dalle sconfitte si possa imparare molto: purché si sia disposti ad analizzarne con serietà le ragioni, e ci si metta nell’atteggiamento dell’ascolto e della riflessione. Con umiltà e con rispetto: degli elettori, innanzitutto. Se errori anche clamorosi sono stati commessi, se una evidente incapacità di ascolto c’è stata, occorre farsene carico. Le responsabilità non sono né di una sola persona, né di una sola area politica: anche se è evidente, nel governo del partito di questi anni, una chiara continuità di linea, stile e personalità politiche, in radicale contrasto con le discontinuità e le svolte sperimentate dal livello nazionale in giù. Ma, appunto, le responsabilità, in un partito, sono collettive, seppure non suddivise equamente.

Per questo crediamo che la prima risposta da dare al nostro elettorato debba essere un gesto di scuse, l’assunzione piena della responsabilità della sconfitta, e l’apertura di un dialogo con il nostro elettorato in città e in provincia: su quello che non si è fatto, su quello che si poteva fare, ma soprattutto su dove si vuole andare ora – con quale progetto, con quale visione, con quale entusiasmo, con quale tipo di partito, anche.

Per questo chiediamo che il primo gesto da compiere, per aprire con dignità e senza forzature di potere la discussione, sia quello di procedere all’azzeramento contestuale dei vertici del partito cittadino e provinciale, entrambi fortemente coinvolti nella sconfitta padovana. Di tutti: a prescindere da ruoli, responsabilità – che sono diversificate – e appartenenze. Solo così si potrà aprire una discussione franca, aperta, non chiusa dentro ristretti cenacoli politichesi, con il coinvolgimento dei nostri iscritti e dei nostri elettori: per primi proprio quelli che ci hanno dato la fiducia alle europee ma non alle comunali (e quelli che ce l’hanno data senza convinzione, considerandoci non il meglio ma il meno peggio), che sono precisamente coloro che ci hanno mandato un forte segnale di sfiducia, ma anche di spinta al cambiamento.

Crediamo che questo voto sia tutto recuperabile, se si saprà costruire un partito aperto, coraggioso, fortemente innovatore: e il PD potrà in questo modo recuperare e radicare il consenso e la fiducia che ha perso in questi anni, per propria responsabilità.

Non chiediamo processi, epurazioni, caccia ai colpevoli. Ma valutazioni oneste, assunzioni di responsabilità forti, ricerca di alternative convincenti e per questo vincenti. Senza acrimonie. Senza la ricerca di inutili rivincite interne. Ma con l’obiettivo di capitalizzare anche nella provincia e nella città di Padova quel consenso che il PD nazionale ha saputo ispirare: per consentire anche al PD locale un nuovo inizio e una nuova speranza.

Con questo spirito – noi elettori, iscritti, militanti e dirigenti – chiediamo che nelle direzioni cittadine e provinciali già convocate il primo atto da compiere sia quello delle dimissioni in blocco delle rispettive segreterie.