Le piazze e i partiti. La società reagisce, la politica ancora no

Il paese si trova di fronte a un governo inedito: che si fa opposizione da solo, in cui il livello di divisione interna non ha precedenti, ma che è capace di superare le divisioni non mediando ma scambiando (io approvo una cosa che interessa a te se tu approvi una cosa che interessa a me), cercando di portare a casa più risultati simbolici possibili prima delle elezioni europee, senza troppo preoccuparsi della loro reale efficacia. Ma di fronte a una crisi che si aggrava sempre di più, con tutti gli indicatori (debito, occupazione, produzione, reputazione internazionale) negativi, e scelte di politica economica in corso che rischiano di aggravarli ulteriormente, il paese non si può permettere di zigzagare senza prospettiva. Continua a leggere

Demografia e migranti: come l'Italia spreca il proprio capitale umano

L’Italia ha due saldi fortemente negativi: quello demografico (più morti che nati) e quello migratorio (più emigranti che immigrati). Il primo è una tendenza recente ma ormai stabilizzata perché già nel 1995 eravamo il paese con la più bassa natalità al mondo. Il secondo è un fenomeno antico, ma è ritornato d’attualità negli ultimi anni. Solo che oggi, per la prima volta, queste due tendenze si sommano, provocando un corto circuito drammatico.
Ma c’è un rapporto di causa/effetto tra questi fenomeni? Siamo costretti a emigrare perché «gli immigrati ci portano via il lavoro»? Sarebbe facile se fosse così: ma vale solo per pochissimi. Per i più, se non ci fosse immigrazione, l’emigrazione ci sarebbe comunque. Perché chi parte, nella stragrande maggioranza dei casi, cerca lavori diversi da quelli che trova chi arriva (che peraltro sono in numero minore: l’anno scorso, meno della metà di chi è partito). La piccola percentuale che rimarrebbe è dunque solo quella senza titoli di studio e senza qualificazione: che è stata effettivamente danneggiata dal dumping sociale prodotto da immigrati disposti ad accettare salari più bassi.
Gli stranieri sono occupati soprattutto in settori non qualificati: colf e badanti; braccianti agricoli (soprattutto stagionali); manodopera non specializzata in edilizia, manifattura a basso valore aggiunto e servizi; logistica (che è il nome chic per intendere chi scarica le merci nei magazzini e guida i mezzi di trasporto). Tutti lavori che i nostri giovani diplomati e laureati (quasi l’80% del totale) per lo più non farebbero: ciò spiega in parte i Neet (not in education, employment and training: i giovani che non lavorano né studiano) e molto l’emigrazione. C’è dunque un gigantesco problema di mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, a sua volta dovuto a una certa arretratezza (maggiore di quella che ci piace pensare) di alcuni settori del mercato del lavoro (ciò spiega perché la percentuale di laureati sia il 18,7%, ma tra gli «expat» salga a quasi il 30%). E di questo dovremmo parlare, più che di immigrazione. Ma, per la politica, sarebbe più scomodo, perché richiede impegno e competenze: molto più facile scaricare su un capro espiatorio.
All’interno di questa situazione c’è poi un doppio paradosso, che produce un enorme spreco di capitale umano. Da un lato, molti stranieri svolgono lavori meno qualificati rispetto al titolo di studio che possiedono. Dall’altro, molti italiani emigrati finiscono per ritrovarsi nella stessa situazione: a svolgere, a Berlino o a Londra, lavori che in Italia non accetterebbero. Giustificati da una attrattiva culturale più che strettamente economica: l’essere in luoghi interessanti, con maggiori potenzialità di mobilità sociale, lontani dal controllo parentale, ecc. Ciò spiega il curioso fenomeno per cui, per alcuni di essi, le rimesse, che di solito accompagnano l’emigrazione e arricchiscono il paese di provenienza, spesso viaggiano al contrario: dalle famiglie in Italia ai loro figli all’estero, che per fasi più o meno lunghe non ce la fanno a mantenersi. Un dato che dice più sull’arretratezza culturale o la poca appetibilità delle zone di provenienza che sull’immigrazione.
Demografia e migranti: come l’Italia spreca il proprio capitale umano, in “La Stampa”, 23 febbraio 2019, p. 13
https://www.lastampa.it/2019/02/23/cultura/demografia-e-migranti-come-litalia-spreca-il-proprio-capitale-umano-yzGOkJgp2sKxmaCurybTmJ/premium.html?fbclid=IwAR3DFZxqWeB2bOrjaRPbLsMQ81c30Xn39hZadzMld1-4HSPaQZiL7nzby2A

Da regolare a clandestino. Per niente.

Soumaila è un richiedente asilo. Era passato per il progetto “Cultura e accoglienza” dell’Università di Padova, per imparare l’italiano. Aveva trovato un lavoro regolare, e – con fatica, e qualche aiuto, perché si affitta malvolentieri agli stranieri – una casa. Adesso è un clandestino. Due anni di accoglienza, di impegno (suo e di altri), di soldi, buttati via. E, come lui, tanti altri. L’Italia non ci guadagna niente: un lavoratore regolare, che si integra e paga le tasse, in meno, e un irregolare in più. Lui, ha perso tutto.
La domanda è inevitabile: che senso ha tutto questo?
Di seguito, la storia, raccontata da una ragazza italiana, Linda Zinesi, che l’ha conosciuto. Continua a leggere

Filantropia e impresa: aiutare come mestiere

Il Nordest è economia, produzione, mercato: dalla manifattura al turismo, e tutto quanto ha a che fare con i mitici schei. Ma è anche altro: che ha anch’esso a che fare con gli schei, ma in altro modo, o è capace di produrre e scambiare anche altre cose – tempo, condivisione, sostenibilità, umanità. Ci riferiamo alla grande ricchezza del volontariato, del terzo settore, delle organizzazioni non governative. Ci aggiungiamo l’impegno pervasivo del mondo religioso: dalle parrocchie agli ordini religiosi e missionari. E ci mettiamo pure l’impegno civico che passa per molti altri canali locali: dalle pro loco alle società sportive, dalle sagre ai doposcuola ai tornei di gioco. Ce lo dimentichiamo, ma anche questa è economia: anzi, lo è di più, nel senso profondo, etimologico, di nomos dell’oikos, di legge e organizzazione della casa (in casa abitano piccoli e grandi, sani e malati, persone produttive e no, dopo tutto). E può diventare (e spesso diventa) impresa: anche qui, nel senso etimologico e più nobile della parola, con tutte le sue implicazioni (impresa vuol dire attività, compito da affrontare, ma anche difficoltà). Il fatto che queste numerosissime attività non vengano contabilizzate nelle statistiche, e non contribuiscano al PIL, dimostra solo la povertà esplicativa di questo indice di misurazione, ormai datato e sempre più fuorviante, man mano che i beni relazionali e le attività sociali acquistano sempre più importanza e peso nella vita delle persone, delle economie, degli stati. Continua a leggere

Gli sgomberi dei centri di accoglienza per richiedenti asilo: come sbagliare facendo una cosa giusta

Il ministro dell’Interno l’ha già preannunciato: dopo Castelnuovo di Porto, il prossimo passo sarà la chiusura del Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo)  di Mineo, il più grosso e discusso d’Italia. Continua a leggere

La Sea Watch e l'emergenza infinita. Come NON si gestiscono le migrazioni

Il dilemma non è tra porti chiusi e porti aperti. I porti restano aperti per definizione: le chiusure occasionali alle navi delle ONG straniere (ma anche della Guardia Costiera, come nel caso della Diciotti: e qui il paradosso della chiusura – governo italiano contro nave italiana – si fa stringente) non sono fondate, per ora, nemmeno su atti formali di governo, ma solo su decisioni estemporanee, spesso nemmeno messe per iscritto, se non nella forma del tweet e del post su Facebook. Continua a leggere

"La questione migranti alla prova dei fatti"

Il Corriere della sera recensisce “5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare)”
26 gennaio 2019
recensione
Recensione Corriere

Perché non li vogliamo?

Solo un italiano su tre è «pro migrazioni». L'intervista di Open a Stefano Allievi

IL MONDO

Solo un italiano su tre è «pro migrazioni». L’intervista di Open a Stefano Allievi

Riccardo Liberatore – 20/01/201921:26Aggiornato 21/01/2019 15:09

Secondo i dati del «Forum economico mondiale» in Italia la percezione degli immigrati è molto più negativa della media europea. L’intervista di Open al Professor Stefano Allievi Continua a leggere

A proposito del manifesto di Calenda (e del PD)

Sto osservando uno strano dibattito, in queste ore.
Alcuni dicono: ma no, il listone non va bene, diventa un fronte che fa involontaria propaganda ai sovranisti. E poi alle europee c’è il proporzionale, meglio moltiplicare l’offerta…
Modesta opinione di un firmatario della prima ora (che poi, ne sono passate solo 48, e già ci sono più di 60.000 adesioni, e forse qualcosa vuol dire, e ascolterei il messaggio…). Continua a leggere