L’anno che verrà. Le trasformazioni sociali a venire

Immaginare come cambieremo nell’anno che verrà è come imbarcarsi in un oroscopo collettivo. L’importante è che nessuno controlli, alla fine del 2021, come è andata veramente. Come accade agli astrologi: ciò che costituisce la loro fortuna. Noi, che viviamo anche troppo nel presente, vogliamo conoscere, divinare, profetizzare, o almeno intuire il futuro: più raramente ci confrontiamo con i bilanci e i raffronti con il passato. Ecco, qui faremo uso di un po’ di intuizione: osservando le trame del presente per cercare di cogliere qualcosa sulle tendenze dell’immediato futuro. Scusandoci in anticipo: perché, a differenza che negli oroscopi, scritti per dare almeno qualche soddisfazione al lettore, qui le notizie iniziali non saranno affatto buone.

La demografia, che ci offre il materiale umano su cui si fonda, si forma e si trasforma la società, ci dà la prima cattiva notizia: nasceranno meno bambini, come sempre avviene nei periodi di crisi economica e incertezza sociale, caratterizzati da un clima psicologico depressivo – come già avvenuto quest’anno; avremo dunque una società più vecchia, più fragile e malata. Il rimbalzo ci sarà, ma non sarà immediato: avverrà alla ripresa, quando sarà il momento della ricostruzione, che sempre si accompagna a nuove speranze, a un’idea di miglioramento – quindi, se va bene, nella seconda metà dell’anno (se non in quello successivo), non nella prima, che sarà quella in cui la crisi colpirà più duro (il peggio purtroppo è davanti a noi, non alle nostre spalle: la mortalità maggiore delle aziende ci aspetterà quando i ristori saranno finiti, i licenziamenti di massa aspetteranno la possibilità legale di farli – e la contrazione dei consumi sarà l’effetto inevitabile del calo del PIL e della minore disponibilità economica delle famiglie). In più non potremo contare sull’apporto dell’immigrazione, che è già diminuita anch’essa, e a cui siamo diventati – essendo in crisi – ancora più insofferenti. Il fatto che la valvola di sfogo dell’emigrazione abbia anch’essa prevedibilmente numeri inferiori rispetto al passato, a causa della chiusura dei confini di diversi Paesi, rischia di portare nelle nostre case, e tra i nostri giovani, un maggiore tasso di insoddisfazione e di frustrazione.

Naturalmente questa situazione aprirà a maggiori bisogni socio-assistenziali: da quelli di base (buoni pasto, spesa solidale, contributi per bollette da pagare, con un ruolo crescente tanto del volontariato quanto dei servizi sociali, soprattutto dei comuni) ai problemi legati a tensioni familiari e sociali, con la conflittualità conseguente, di cui faranno le spese i soggetti più deboli delle famiglie, a cominciare dai bambini. Occorrerà dunque attrezzarsi con servizi a misura di queste e altre fasce di popolazione meno tutelate, comprese quelle a cavallo tra lavoro regolare e irregolare: chi ha lavorato in nero o in grigio avrà meno ammortizzatori sociali, e tra costoro ci saranno fasce significative di autoctoni, e maggiori di immigrati.

Meno incontri, più intensi? Bisogna re-inventarsi motivi diversi per incontrarsi con altri, dato il bisogno di relazionarsi. Il che potrebbe portare a una nuova riflessione sul senso stesso dell’incontrarsi, come in parte già successo, in modo più brusco, quest’anno. La prevista contrazione dei consumi avrà anche effetti sociali imprevisti. Data l’impossibilità tecnica dovuta alla diminuzione delle risorse disponibili, si osserverà la progressiva rarefazione del rituale del consumo come bisogno compulsivo e come scusa per la socialità: aprendo forse al recupero di altre modalità di incontro, con più attenta selettività. Lo stesso effetto dovrebbe avere anche l’impossibilità o comunque la diminuzione degli incontri occasionati dagli sport di massa, sia praticati che supportati in termini di tifo, e dagli spettacoli ed eventi. Un effetto simile si potrebbe avere sul comportamento religioso: lo stop forzato agli incontri rituali più ‘larghi’, potrebbe portare ad altre forme e modi di incontrarsi, per piccoli gruppi, forse con qualche effetto sull’intensità della relazione e sull’approfondimento dei contenuti. Lo stesso – per quanto di per sé meno di interesse per molti – potrebbe accadere persino in politica. In parte ha già cominciato a succedere anche nel vasto mondo delle relazioni occasionate da altre motivazioni: dai congressi di categoria e scientifici, alla convegnistica. Comunque vada, nell’immediato futuro le occasioni di incontro di massa diminuiranno e saranno scelte con maggiore attenzione: il che produrrà una selezione relativamente alla loro importanza.

La scuola dovrà certamente continuare a convivere con la didattica a distanza, intervallando attività in presenza e in remoto: in questo caso sarà una trasformazione di lungo periodo, ormai acquisita, che investirà tutto il mondo della formazione, inclusa quella professionale e il lifelong learning. Da misura emergenziale diventerà elemento strutturale della futura organizzazione scolastica: che dovrà prevedere significativi investimenti formativi e tecnologici, e immissioni di forze giovani e fresche, per poter raggiungere anche le fasce più marginali della società ed evitare che anche l’istruzione divenga un ulteriore fattore di diseguaglianza sociale. Che è già aumentata significativamente, dividendo la società attraverso nuove fratture, sempre più visibili: tra garantiti e non garantiti, tra generi e tra generazioni – le “3 G” che segneranno le fratture sociali future, quelle maggiormente sensibili e significative.

Ci sarà più conflitto sociale. O forse no: perché a fronte di un bisogno che potrebbe radicalizzare ed esacerbare le posizioni, la depressione diffusa non è mai stata un fattore di mobilitazione. Con il problema ulteriore che la rabbia non incanalata è meno pericolosa in termini di conflitto sociale esplicito, ma più dannosa per gli individui e la micro-conflittualità nelle relazioni primarie, a cominciare da quelle familiari. Ci sarà molto da fare per psicologi e psicoanalisti, per aggiustare la fisiologia delle relazioni prima ancora che per affrontarne la patologia.

Queste che di primo acchito appaiono come cattive notizie, contengono anche il germe di un cambiamento da volgere in positivo. Dopo tutto le crisi servono a questo, se diamo retta – e dovremmo farlo – all’etimologia della parola, che significa distinguere, separare, scegliere, discernere, giudicare. La crisi – anche nelle nostre biografie individuali – è sempre anche il momento in cui ci si rende conto che le cose potrebbero andare diversamente.

In positivo, si attiverà la ricerca di nuove strade, aiutati dal fatto che molte di quelle vecchie si riveleranno vicoli ciechi. Anche in economia, dove la mortalità prevedibile di molte aziende produrrà la nascita di nuove, pronte a rispondere a nuovi problemi, nuove sfide, nuovi bisogni. Dovremo del resto ingegnarci a trovare nuove forme di reddito, e quindi intraprendere nuove attività, attraverso un salto di qualità obbligato che avrà come effetto un maggiore tasso di innovazione. Sono gli ambiti in cui si potrà vedere maggiore entusiasmo, e capacità di resilienza.

Più recupero, riuso e riciclo, meno spreco e più innovazione volta a risparmiare, dovrebbero innescare un circolo virtuoso di sobrietà e responsabilità, non solo in ambito economico. Così come la ricerca di nuove forme di socialità, online e offline: volte maggiormente all’essenziale, anche se questo rischia di essere solo un auspicio.

Certamente nuovi servizi alla persona e di cura, molti dei quali a domicilio e forniti in maniera più elastica e meno burocratica, dovranno essere approntati: medici, psicologici, ma anche la fornitura di servizi (anche pubblici, comunali, ecc.), oltre che ovviamente quelli legati alle consegne di beni, dal cibo ai libri a molto altro. Ma molti servizi ritorneranno nel domicilio, poiché con lo smart working l’espressione “andare a lavorare” perderà di senso, e più frequentemente si resterà a lavorare: sia per le attività artigiane, che per i lavori già oggi fattibili in remoto, fino agli asili in casa. Anche perché il diminuito pendolarismo, il necessario ripensamento dei quartieri, il loro trasformarsi dalla monofunzione (dormitorio, o lavoro, o terziario, o legato a consumi e loisirs) alla multifunzione, darà nuovo ruolo ai negozi e alle attività di prossimità, producendo nuovi tipi di relazione di vicinato, orari urbani differenti – anche per i servizi – e altro ancora, costringendoci a ripensare alle città e alla loro vivibilità. Inducendo nuovi modi di gestire e passare il tempo, l’alternanza lavoro-famiglia-hobbies, ecc.

Abbiamo già imparato a tenere maggiormente conto delle nostre fragilità. Sarà necessario – e benefico – cominciare ad avere una diversa idea dell’insuccesso; imparare ad accettare il fallimento (e sarà più facile, dal momento che sarà più diffuso e non più individuale, e quindi meno oggetto di stigma), la temporaneità e reversibilità dei destini, in futuro sempre meno lineari e necessariamente ascendenti. Anche nelle relazioni familiari, visto che dovremo fare famiglia a nuove condizioni, più impegnative – e quindi forse a farla meno spesso: o con maggiore necessità di supporti relazionali e territoriali, esterni dunque al nucleo familiare.

Il diverso rapporto con la morte – molti se ne sono già dovuti accorgere – cambia la vita. È probabile che se ne abbia in futuro una nuova e differente consapevolezza: anche della dignità e della consapevolezza che è giusto accompagni il morire.

Di salute si parlerà in altra puntata di questa riflessione collettiva sull’anno che verrà. Qui accenniamo solo a una conseguenza che forse dividerà il nostro anno – dal punto di vista della socialità – in due: l’arrivo e la somministrazione del vaccino, che dal momento in cui avrà raggiunto coperture significative della popolazione ci aprirà progressivamente gli orizzonti. Ma non ci farà tornare alla vita di prima. Oggi sappiamo che questa pandemia potrebbe non essere l’ultima, ma la prima di una serie, progressivamente meno letali e drammatiche man mano che impareremo a conoscerle meglio. Potremmo doverci abituare dunque, non solo a un’economia, ma a una società intermittente, che alterni momenti di apertura e di chiusura, di intensità e di rarefazione. Ciò che ci spingerà a ripensare non solo l’idea di salute, ma di tante altre cose: in ambito sanitario implicherà il ritrovato ruolo della medicina territoriale e della prevenzione, ma influenzerà pervasivamente altri ambiti della vita sociale. Trasformandoci radicalmente. Crediamo in meglio.