Generazione Covid. La scuola senza scuola: un bilancio della didattica a distanza
Nessun Paese ha chiusa tanto a lungo la scuola come l’Italia. Segnale chiaro di una tradizionale sottovalutazione della formazione: che spiega perché abbiamo la metà dei laureati e il doppio degli analfabeti funzionali d’Europa. Un terremoto, la cui scossa principale è stata la didattica a distanza.
Le premesse erano pessime. Nessuna preparazione, dovendo rispondere a un’emergenza. Un’età media degli insegnanti molto elevata: oltre cinquant’anni nelle scuole di ogni ordine e grado. Strutture scolastiche per lo più vecchie e inadatte. E la mancanza di infrastrutture digitali adeguate. Eppure si sono manifestate anche capacità di recupero insospettate, che cambieranno per sempre la scuola. Per capire cosa è successo, occorre distinguere i diversi livelli di scolarità.
Nei nidi e materne la relazione è tutto, in proporzione i contenuti contano meno, e in assenza della prima c’era poco da fare. Non a caso in altri Paesi non hanno mai chiuso. Per consentire ai genitori di andare a lavorare, ma soprattutto perché considerati, giustamente, valore in sé: è dimostrato quanto cruciale sia la loro frequenza per le successive capacità di apprendimento, e per lo sviluppo complessivo della personalità e della capacità relazionale.
Elementari e medie – il nucleo della scuola dell’obbligo – hanno potuto fare un po’ di più. Molto diversamente, in relazione all’età e alla capacità già acquisita di usare gli strumenti informatici nel tempo libero. Era l’occasione di usare anche mezzi straordinari, come la televisione pubblica, da altri Paesi impiegata come canale di istruzione alternativo, e in Italia rimasta a comunicare il suo niente. Un salto di qualità non c’è stato. Non per mancanza di volontà o disponibilità dei docenti, ma per totale mancanza di un coordinamento, di un progetto, di un investimento anche formativo nei loro confronti. E soprattutto per i momenti di passaggio, come la terza media, è stato per molti un anno sprecato, di cui si pagheranno i prezzi negli anni successivi: per chi è passato alle superiori senza la preparazione di base necessaria, senza aver maturato una diversa capacità e modalità di apprendimento, senza un bilancio e una valutazione della propria preparazione. Misureremo il danno negli abbandoni scolastici prossimi venturi, e nei buchi formativi irrecuperati.
Le scuole superiori hanno retto meglio, per la maggiore maturità dei ragazzi, e la maggiore abitudine al mezzo. Più problematico il discorso per gli ITS, che prevedono laboratori ed esercitazione pratiche, in parte in alternanza scuola lavoro. Qui si è perso di più, e si dovrebbero immaginare modalità di formazione aggiuntiva brevi, concentrate, localizzate e tailor made, prima o accanto all’ingresso in azienda. È stato invece un grave errore anticipare la promozione per tutti alla maturità, e l’aumento di ‘centini’ con esame solo orale: un regalo avvelenato rispetto alle fasi successive.
Per l’università invece è stato diverso, grazie anche a una più accentuata autonomia statutaria ed economica. La didattica on line ha funzionato al di là delle aspettative, con effetti controdeduttivi. Si temeva il crollo delle iscrizioni, ed è stata invece l’occasione per fare un salto evolutivo: che ha prodotto un inaspettato e significativo aumento delle iscrizioni negli atenei meglio attrezzati.
Per tutti sono state invece una tragedia le debolezze strutturali, che incideranno pesantemente su una struttura delle diseguaglianze già troppo accentuata. Il prezzo maggiore, a tutte le età, lo pagheranno gli esclusi: molti – forse un terzo degli studenti e famiglie. Quelli che stavano in scuole o avevano docenti che non si sono attrezzati e non erano capaci di fare didattica a distanza, i moltissimi che non avevano i mezzi materiali (computer personale, banda sufficiente) o culturali (famiglie che sostenevano e aiutavano i figli) per seguire i programmi. Un dramma che lascerà cicatrici pesanti sul prosieguo degli studi di soggetti già deboli.
Quanto accaduto agevolerà necessariamente il percorso verso le flipped classroom (la didattica capovolta in cui, grazie a contenuti multimediali efficaci, lo studente studia per conto suo e in classe si svolgono discussioni ed esercitazioni), e una didattica riformata. Che presuppongono però massicci investimenti in formazione obbligatoria dei docenti stessi (su cui non si è visto ancora nulla) e una iniezione significativa di personale giovane. Altrimenti conteremo una massiccia ulteriore perdita di capitale umano, sociale, e culturale. Che non ci possiamo permettere.
Il salto evolutivo e la perdita sociale che non ci possiamo proprio permettere, in “Corriere della sera – Corriere Imprese Nordest”, 14 dicembre 2020, editoriale, p.1