Renzi e il governo post-partitico

Nasce il governo Renzi. In mezzo alle polemiche, come inevitabile, ma nasce. Con le sue facce nuove, e le sue facce vecchie. Con le discontinuità non solo simboliche, e le continuità deludenti. Con pochi ministri, i più giovani della storia d’Italia, e la presenza femminile più massiccia, la metà. Eppure non sono queste le novità vere. Continua a leggere

La giusta protesta delle imprese

Anche nei modi, la protesta di artigiani e commercianti è pacata. Educata nei cartelli. Morigerata nel linguaggio: giusto qualche inevitabile “vaffa…”. E contenuta nei tempi: un paio d’ore e via, che c’è da tornare al lavoro. Ma i cinquantamila artigiani e commercianti che hanno manifestato a Roma, proprio perché poco abituati a farlo, sono un segnale forte, drammatico. Continua a leggere

Cosa penso della scelta di Renzi

Lo sappiamo tutti: lo scenario previsto era un altro. Un governo che governa per un anno, l’approvazione della legge elettorale e un paio di riforme economiche fondamentali, e poi al voto. Con Renzi che forse vince, o forse no (il nostro auspicio, ovviamente, era sì): ma in ogni caso con un vincitore chiaro e dotato di una legittimazione popolare ampia, per governare finalmente sul serio. Continua a leggere

Le conseguenze del referendum anti-immigrati in Svizzera

Il referendum anti-immigrati approvato di misura in Svizzera, con il 50,3% di voti favorevoli, imponendo l’introduzione di tetti massimi e quote anche per i cittadini comunitari e i richiedenti asilo, pone numerosi problemi che vanno al cuore della convivenza nelle società globalizzate, e democratiche. Continua a leggere

Modello riforma elettorale o modello Imu: due modi di essere riformisti

L’accordo sulla legge elettorale, se confermato nelle aule parlamentari, costituirà un elemento di svolta assai più importante della semplice approvazione di un nuovo sistema di voto. E non solo nel merito. L’accordo, pur con alcuni limiti evidenti, riconsegna al cittadino una maggiore sovranità nella scelta dei suoi rappresentanti, rende più complicati gli inciuci e gli accordi sottobanco, consente di sapere il giorno delle elezioni chi governerà, e rende sostanzialmente impossibile (anche se la creatività della politica italiana ci ha abituati a tutto) che le larghe intese – in cui tutti governano, rischiando che non governi nessuno – siano l’unica via d’uscita all’impasse elettorale. Per quanto perfettibile, come tutte le cose umane, l’accordo è quindi positivo.

Ma la novità vera sta nel metodo. Se davvero si riesce a mostrare e a dimostrare (come ogni cittadino, ogni famiglia, ogni impresa sa, ma la politica ha pervicacemente ignorato per decenni) che, a fronte di un problema, è possibile trovare una soluzione in poche settimane, basta mettersi d’impegno per farlo, è la fine di un’epoca: è, davvero, il passaggio dal medio evo all’età moderna, dall’età feudale all’età dei diritti, dall’epoca dei sudditi a quella dei cittadini, dall’economia pre-industriale a quella post-industriale.

La vera vittoria di Renzi, e del metodo che ha imposto, sta tutta qui: ed è molto più ampia del pur ragguardevole risultato raggiunto. Se si può su un tema, non si vede davvero perché non sia possibile su tutti gli altri. La riforma elettorale non era la principale urgenza del paese: tutti sappiamo che la crisi, la mancanza di lavoro, la chiusura delle aziende, la perdita di competitività, il rischio povertà che sempre più famiglie si trovano davanti, è la vera drammatica emergenza di questo paese. Ma era la posta più altamente simbolica e più sensibile, dal punto di vista politico: perché era la dimostrazione che la politica era incapace di riformare se stessa – figuriamoci di riformare il paese. Ora, se la politica riesce finalmente a dimostrare che è capace di fare qualcosa, e qualcosa di così sostanziale come rivedere i principi stessi del sistema elettivo-rappresentativo, ovvero della ragion d’essere stessa della politica in età democratica, è il segnale che può finalmente occuparsi anche dei problemi di interesse generale. La fine di un ciclo di incapacità, di immobilismo, di conservazione. L’inizio di un ciclo di capacità di intervento, di rimessa in gioco delle energie disponibili, di riforma. E’ per questo che appare – e apparirà ancora più chiaro nelle settimane a venire – come tutti coloro che hanno lavorato contro l’accordo (dalla minoranza interna del PD alla Lega, dai piccoli partiti di centro o di sinistra al Movimento 5 Stelle) risulteranno e risalteranno come i veri soggetti conservatori del quadro politico, e in definitiva i rappresentanti, i figli e i campioni di quell’immobilismo che, a parole, dicono di combattere.

Ci sono momenti storici in cui è necessario fare delle scelte, anche radicali e costose. Accettare almeno – se non accompagnare o ancora meglio guidare, come Renzi si propone di fare – il cambio di passo che il paese domanda, sarebbe un segnale di maturità, di generosità e di intelligenza politica: che tuttavia, come si vede, non tutti sono in grado o sono capaci di fare.

Dunque, se la riforma passerà, sarà il paradigma di nuove, ulteriori e più incisive riforme: del lavoro, del sistema fiscale, dell’istruzione, e di altro ancora. Se sciaguratamente non dovesse passare, il paradigma dell’incapacità di riformarsi della politica e del paese sarebbe l’infinita revisione dell’Imu, con i suoi continui passi avanti e indietro, le modifiche irrilevanti, le incapacità di previsione, l’incertezza, la perdita di tempo, lo stillicidio burocratico, senza mai un intervento radicale e risolutivo. Ecco, siamo davanti a questa alternativa: il modello Imu o il modello riforma elettorale. Non c’è dubbio su quello che il paese vorrebbe. C’è ancora invece molto dubbio su quello che una parte della politica sia capace di dare.

L’inizio d’un nuovo ciclo, in “Piccolo” Trieste, 31 gennaio 2014, p.1

Basta con il cumulo di cariche. Gli scandalosi privilegi dei boiardi di stato

La vicenda del presidente dell’Inps, Alfio Mastrapasqua, e del suo incredibile cumulo di cariche, mette in luce una delle scandalose costanti del declino italiano: il suo aspetto feudale, l’utilizzo del denaro e delle cariche pubbliche come sinecura (letteralmente: un appannaggio sganciato da qualsiasi cura, da qualsivoglia lavoro), la sistematica privatizzazione del bene pubblico al di là di ogni reale funzione, merito e proporzione, l’appropriazione predatoria delle fonti di reddito statali, nelle loro varie forme. Continua a leggere

Riforma elettorale e dimissioni di Cuperlo: la necessità e l'equivoco

Non è con la proposta di riforma elettorale oggi in discussione, ma è adesso, che la democrazia non è garantita, che le minoranze sono fuori dal parlamento, che gli eletti sono imposti dai capipartito, che partiti con ricette opposte sono obbligati a governare insieme, che di conseguenza il governo non riesce a produrre decisioni e vive di compromessi. In sostanza, con il sistema attuale non c’è né democrazia, né governabilità, né chiarezza. Con la riforma emersa dall’incontro tra Renzi e Berlusconi, con la semiapprovazione di Alfano, ci sarebbero più democrazia, più governabilità, e più chiarezza. Alla maggior parte degli elettori questo basta. Continua a leggere

Perché sì a una legge sulle unioni civili

La famiglia è cambiata. Non c’è più un solo modello familiare, se mai c’è stato, ma molti. E non esiste la famiglia ‘tradizionale’, perché anch’essa è cambiata: nel numero dei suoi componenti, nei suoi ruoli e in come vengono assunti (sia quelli di genere che quelli parentali e filiali), nella sua capacità economica, nei suoi obiettivi. Continua a leggere

La logica dei diritti e il bisogno di riforme

La nostra è una società impantanata, soffocata dalle caste e dalle corporazioni dei privilegiati e dei garantiti, oppressa da adempimenti legislativi, burocratici e fiscali intollerabili che ne imprigionano le forze e la creatività, con tassi di mobilità sociale bassissimi, più simili a un feudalesimo temperato che a una moderna democrazia europea. La sua priorità è quindi liberare le sue energie e sottrarsi al giogo dei legami che le impediscono di svilupparsi. Continua a leggere

La forma è il contenuto: Renzi, le parole e le cose

Quando diciamo, di una persona, che ha stile, intendiamo il suo carattere peculiare, ciò che la distingue, che la caratterizza, e che è di solito tutt’uno con una certa visione della vita, e con alcuni valori: fossero anche quelli fatui e non durevoli delle mode passeggere.

Lo stile di Renzi è poco paludato, un po’ guascone, con un gusto forse eccessivo della battuta, talvolta superficiale, ma anche diretto e comprensibile. Comunque è il suo e, nell’opinione dei più, è probabilmente più apprezzato dello stile abbottonato, un po’ soporifero, mortalmente noioso, allusivo, apparentemente profondo e spesso incomprensibile di molti altri politici. La serietà della proposta politica, in ogni caso, non si desume da questo, ma dai contenuti. E i contenuti sono in qualche modo paralleli alla forma, che li rappresenta: anzi, per dirla con Karl Kraus, “la forma è il contenuto”, esattamente come lo stile rappresenta la persona. Agilità, accelerazione, velocità di risposta ai problemi, orecchie attente sintonizzate sulle diffidenze della società e sui suoi malumori, assunzione in prima persona delle responsabilità delle scelte, nello stile politico di Renzi. Lentezza pachidermica, scarsa capacità di reazione, disinteresse ai problemi della gente, scaricabarile (sul partito, sul governo, sull’opposizione, sull’Europa, sulla globalizzazione…) come alibi per non affrontare i problemi scomodi e rinviare la proposta di soluzioni, nell’idea media che gli italiani si sono fatti dei politici.

Certo, ci sono esagerazioni, presunzioni, e cadute – per l’appunto – di stile, nell’approccio renziano: che tuttavia, nel notoriamente poco elegante dibattito politico nostrano, restano largamente nella media. Un male evitabile, ma minore, rispetto a molti altri. Fanno discutere i giornali e i commentatori: molto meno, probabilmente, gli elettori. Che, verosimilmente, sono invece interessati ad altro: ai contenuti di cui un determinato stile è foriero.

Renzi, con il suo stile irruento, sta terremotando alcune abitudini diventate col tempo istituzioni, e poco amate come tali. “La rivoluzione non è un pranzo di gala”, diceva Mao: giustificando con questa scusa anche le peggiori nefandezze. Ma non lo è nemmeno proporre una più blanda e moderata riforma, a quanto pare, in questo paese che non vi è abituato, ma che ne ha un disperato bisogno: le riforme sono infatti una prepotente urgenza, per usare le parole del capo dello stato a proposito di una di esse. Renzi affronta questa esigenza accelerando sui tempi, e cercando di portare a casa risultati concreti e in fretta: il contrario di quello che è successo negli ultimi anni. Le sue scelte sono infatti significative: anche nel voler giocare contemporaneamente su più tavoli, tanti quanti sono i principali problemi del paese.

Riforma elettorale vuol dire infatti occuparsi della principale emergenza politica del paese. Jobs act vuol dire occuparsi della sua principale emergenza economica, il lavoro. Diritti civili vuol dire adeguarsi a degli standard minimi di decenza europea. Anche la scelta di de- romanizzare la politica, cambiandone orari (con le riunioni al mattino presto), sedi (con le riunioni decentrate), e rituali (linguaggio e modalità), corrisponde a un desiderio sentito e trasversale, forse persino a Roma, dove probabilmente non ne possono più di sentirsi identificare con i peggiori vizi della politica italiana. Su tutti questi temi, non solo su alcuni di essi, il paese attende risultati in fretta, e non tollera ulteriori perdite di tempo.

Questo naturalmente significa, nell’assenza o nella lentezza di iniziativa dell’esecutivo – costretto dal suo carattere coalizionale a mediazioni inevitabili quanto estenuanti, che troppo spesso si esauriscono in un rinvio – incalzare il governo: cioè costringerlo ad accelerare fortemente il passo, o farlo cadere se non si adegua. Entrambe eventualità più gradite all’elettore medio di un governo lento e che decide troppo poco. Esigenza di cui Renzi si fa forte. Per ora, più in sintonia con il paese dei suoi oppositori, interni ed esterni al Partito Democratico.

Lo stile del sindaco d’Italia: dopo le parole, i contenuti, in “Piccolo” Trieste, 6 gennaio 2014, p. 1

Renzi, uno stile in sintonia col paese, in “Messaggero veneto”, 6 gennaio 2014, p. 1

Uno stile in sintonia con il paese, in “Mattino” Padova, “Tribuna” Treviso, “Nuova” Venezia, “Corriere delle Alpi”, 6 gennaio 2014, p. 1