Guerra in Ucraina e russi d’Italia. Riflessi sul fronte interno.

Abbiamo parlato molto degli ucraini in Italia. E di come la loro presenza ci aiuti ad avere maggiore consapevolezza di cosa significa la guerra, questa guerra: anche per noi. Del dolore che provoca. Delle reazioni che innesca. Ma la globalizzazione è trasversale. Da noi ci sono 225mila ucraini. Ma anche 40mila russi. E nelle nostre scuole ci sono 20mila ragazzi e ragazze ucraini, e oltre 4mila russi. Dobbiamo evitare di cadere nella trappola di considerare amici gli uni e nemici gli altri. Sono tutti innocenti, gli uni e gli altri. Non c’entrano con la guerra, né gli uni né gli altri. Ne sono vittime: tutti.
Il conflitto ci chiama sempre allo schieramento: stare con gli uni o con gli altri. La guerra, che è un conflitto all’ennesima potenza, ci chiede ancora con maggiore forza: con chi stiamo? Siamo chiamati a rispondere: ma senza cadere nella trappola del bellicismo. Noi, che non siamo direttamente coinvolti, ancora meno delle parti in causa.
Con chi stiamo? Con la vittima, certamente. Con l’aggredito. Che in questo caso è senza ombra di dubbio il libero stato sovrano dell’Ucraina, invaso dai carri armati russi. Stiamo oggi con l’Ucraina come nel ’68 stavamo con Praga, invasa dai carri armati sovietici, con gli studenti di piazza San Venceslao, con Jan Palach. Lo ricordo bene, perché avevo solo dieci anni, ma quelle immagini, quelle fotografie che ritagliavo dalle pagine del “Corriere della sera” e appendevo sull’armadio di camera mia, sono state la molla della mia socializzazione politica. Ho pianto allora, bambino, come piango oggi, da adulto. Ma oggi abbiamo una consapevolezza diversa. Oggi abbiamo potuto e saputo reagire. E nel frattempo, il mondo è cambiato. Queste cose non accadono più solo altrove: accadono (anche) qui. Grazie alle immagini in tempo reale, ai social network, e alle persone che stanno vicino e intorno a noi. Per questo sappiamo con chi stare. Ma anche contro chi non vogliamo stare.
Stare dalla parte dell’Ucraina, e degli ucraini, vuole dire stare contro la Russia? Sì: cercando di fermarla, e pagando il prezzo della responsabilità, delle scelte che dovremo fare, che non sarà basso – non lo è mai. Ma non vuol dire stare contro i russi. Tanto meno i russi che abitano tra di noi. Non dobbiamo commettere gli errori che sono stati commessi durante la seconda guerra mondiale: quando i cittadini dei paesi nemici sono stati arrestati, fatti prigionieri, i loro beni confiscati. Anche nelle democrazie: si parla spesso dell’esempio statunitense, maggiormente studiato, ma è accaduto anche in Europa. Semmai, possiamo chiedere anche a loro di mobilitarsi per la pace, in solidarietà con gli aggrediti. Sapendo tuttavia che ci sono memorie diverse nei vari gruppi etno-nazionali: ognuno rivendica le proprie vittime e i propri vittimismi, spesso fondati, almeno nel quadro delle narrazioni di riferimento, fortemente selettive, dimenticando accuratamente vittime e vittimismi altrui. Occorre evitare dunque di mettere gli uni contro gli altri, ucraini contro russi, come già è accaduto in qualche tv, come rischia di accadere nelle scuole e nei quartieri se non si governano le discussioni. I russi in Italia sono come gli ucraini in Italia: lavoratori e lavoratrici, mogli e mariti in coppie miste, figli di lavoratori e lavoratrici. Vanno trattati come tali.

Gli ucraini, ma anche i russi, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, “Corriere di Verona”, “Corriere di Bologna”, “Corriere del Trentino”, “Corriere dell’Alto Adige”, 1 marzo 2022, editoriale, p.1