Leghismo e cattolicesimo popolare

La Lega, nel suo rapporto con il cattolicesimo, si trova a vivere un’ambivalenza profonda. Da un lato il contrasto polemico aperto, quasi una sorta di volontà di rivincita, e persino di concorrenza sui valori: che ricorda da vicino, nelle forme, certo anticlericalismo risorgimentale (anche se ne è lontanissimo nei contenuti, allora di ricostruzione e riconciliazione nazionale, mentre oggi l’enfatizzazione è sulla frattura nazionale). Dall’altro l’aver di fatto ereditato il largo parco elettorale cattolico, assumendolo, inglobandolo ma in larga misura anche riorientandone le pulsioni.

Non c’è dubbio che la Lega si inserisce nel mondo elettorale della ‘balena bianca’, la vecchia DC del nord, lombarda e veneta in particolare. E in apparenza, se ci accontentiamo di guardare i numeri e sovrapporre le carte elettorali, l’ha sostanzialmente sostituita. In realtà le cose sono più complesse. Nel voto alla Lega c’è certamente una componente cattolica, ma spesso quella con pratica e conoscenza più tiepida. Del resto da tempo il voto cattolico, in particolare proprio a seguito del crollo della DC, si è articolato nelle sue manifestazioni. Le ricerche misurano nell’elettorato cattolico a blanda partecipazione un netto orientamento verso il centro-destra, mentre in quello più impegnato e attivo – quantitativamente minoritario – vi è spesso un maggiore orientamento verso il centro-sinistra. Ma la Lega in parte sfugge a questa classificazione: essendo alleata, sì, con il centro-destra, ma non essendo, per i temi forti di cui è portatrice, troppo facilmente collocabile sul continuum destra-sinistra. Parte del voto cattolico di centro-destra d’altronde continua a votare per altri partiti conservatori, anch’essi eredi, in forma e modi diversi, del lascito democristiano: il PDL da un lato, e l’UDC, più riconoscibile come erede della vecchia DC, dall’altro.

Se si enfatizza l’elemento di concorrenza sui valori, non stupisce trovare nella storia della Lega il continuo riaffiorare di un anticlericalismo anche molto forte nei toni. Spesso la chiesa di Roma è stata tratteggiata nel suo essere, per l’appunto, di Roma, e quindi accomunabile nella polemica al più forte dei messaggi leghisti: quello contro “Roma ladrona”. Sarebbe sufficiente sfogliare gli albori di Lombardia autonomista, organo dell’allora neonata Lega Lombarda, per ritrovare le stesse polemiche di oggi, e persino la proposta culturale di far passare il Nord, in toto, al protestantesimo.

E’ quindi apparentemente contraddittorio osservare come la Lega sia anche il partito che per certi aspetti più di tutti insiste retoricamente sull’identità cristiana del Paese, specie se c’è da usarla come arma contro gli immigrati magari musulmani; ma lo è meno se osserviamo come sia anche quello che meno la frequenta e la conosce. Chi scrive ‘Padania cristiana’ a caratteri cubitali sui muri del Nord di solito in parrocchia non si vede o non è attivo. E chi rivendica crocefissi in ogni aula, scolastica e municipale, spesso a casa sua non ce l’ha e non lo prega. La stessa dirigenza storica leghista è lontana anni luce dalla pratica cattolica. Bossi non ha mai fatto mistero della sua felice ignoranza in materia; ministri ed ex-ministri come Calderoli e Castelli preferiscono, a quello cattolico, il matrimonio celtico, che consente tra le altre cose più rapide separazioni; e un dirigente come l’europarlamentare Borghezio, che non perde occasione per ergersi a paladino della cristianità italiana contro l’invasione islamica, l’unica croce con cui ha realmente dimestichezza, fin dal suo passato politico pre-leghista, è quella celtica. L’unico momento di visibilità cattolica all’interno della Lega è stato quando un’oscura e giovanissima militante delle Acli milanesi, avendo inviato al senatur un documento sul voto cattolico in Lombardia, si vide chiamata a fondare la consulta cattolica della Lega, e in pochissimo tempo fu catapultata al vertice della terza carica dello Stato: ci riferiamo alla presidente della Camera, Irene Pivetti, poi finita a percorrere una triste parabola da modesta presentatrice di programmi di intrattenimento sulle tv Mediaset, contenutisticamente assai poco cattolici. Per non parlare delle politiche che si pongono in conflitto diretto con il cuore del messaggio cattolico: e non si tratta solo di quelle sull’immigrazione o sui rom. L’antisolidarismo militante, l’enfasi sulla separazione e sulla divisione dalle aree più povere (l’egoismo dei ricchi), il rifiuto di logiche minime di riconoscimento universale dei diritti, la critica alla difesa della costituzione propugnata dal cattolicesimo democratico, per non parlare della polemica diretta contro quelli che vengono definiti da Bossi “i vescovoni” e contro la Caritas, sulle finanze della Chiesa, su quelle che vengono definite contraddizioni tra il predicare bene e il razzolare male (“che li accolgano in Vaticano, gli immigrati”), la definizione del cardinal Ruini “ruina d’Italia”, secondo una nota battuta bossiana, o le grevi ironie sul ‘perdonismo’ wojtyliano e la sua presunta debolezza (che ha trovato un rispecchiamento e dunque una legittimazione culturale nella polemica fallaciana) – tutto questo nella Lega è regola, non eccezione. Queste polemiche fanno parte della storia culturale della Lega: e ne sono, anzi, una matrice coerentemente reiterata nel tempo.

Un capitolo specifico riguarda le polemiche contro la chiesa ambrosiana, considerata la punta di diamante della Chiesa che si presenta o viene presentata, probabilmente a ragione, come nemica e alternativa in termini di valori rispetto a certa cultura leghista: ieri contro il card. Martini e oggi contro il card. Tettamanzi. La curia milanese è stata sempre un obiettivo prediletto: non amata dai leghisti, anche perché essa non ha mai fatto mistero di non amare la Lega, e gli egoismi che rappresenta. Peccato di lesa maestà doppiamente grave, essendo la diocesi ambrosiana anche la culla del leghismo e del suo capo indiscusso. Da qui battaglie politiche che assomigliano molto a tentativi di ingerenza, che a qualcuno hanno fatto ritornare in mente i tempi delle nomine vescovili caldeggiate dall’imperatore di turno: e oggi, non c’è dubbio, nel Nord comanda, sempre più, la Lega.

D’altra parte c’è anche una Lega alla disperata ricerca di benedizioni, se non di benemerenze, ecclesiali. E’ la Lega che difende il crocifisso – seppure considerato simbolo identitario e non religioso, e quindi più facilmente trasformabile in arma contundente – proponendone persino l’apposizione sulla bandiera nazionale, singolarmente proposta dall’ex-ministro Castelli, di cui abbiamo già ricordato le nozze celtiche. Del ministro Zaia che al meeting di Rimini va a proporsi, e a proporre la Lega, come il vero bastione della cristianità e il nuovo interprete dello spirito crociato. Del ministro Calderoli e del gran capo Bossi, in visita al patriarca Scola, primo alto esponente ecclesiale a riceverli per un’ora e mezza di colloqui, forse favoriti dalla comune origine lombarda e dalla strategica collocazione nel Nord. O dell’incontro ancora più autorevole con il cardinal Bagnasco (3 settembre 2009): un quarto d’ora forse più simbolico che di contenuto, e probabilmente, almeno nel breve periodo, più utile alla Lega che alla Conferenza Episcopale. Incontri volti a proporre un improbabile volto conciliante e filo-clericale della Lega, ma anche, probabilmente, a tentare di suggellare un patto di egemonia culturale condivisa e non più concorrenziale su un Nord sempre più saldamente in mani leghiste, e il cui elettorato è in parte significativa cattolico.

Difficile intravedere gli scenari che questi tentativi mettono in luce. Sul lato ecclesiale la Lega si manifesta boccone indigesto. Tanto che lo stesso cardinal Bagnasco, nei mesi successivi all’incontro, non ha mancato di polemizzare duramente con la Lega, sulla questione della moschea genovese come sul caso Tettamanzi; e il cardinal Scola è portatore di una visione del ‘meticciato delle culture’ molto più complessa e problematica, e certamente più ‘alta’, delle semplificazioni leghiste. La Lega di governo al Nord diventerà tuttavia un fatto compiuto sempre più difficile da ignorare, e si può presumere che questo porterà a una normalizzazione progressiva dei rapporti. Anche se si può ipotizzare che resteranno, nel mondo ecclesiale, tanto alla base quanto al vertice, forti sacche di resistenza culturale all’assalto leghista. Ma si sa: anche Mussolini aveva cominciato la sua carriera politica anarco-socialista con infuocati comizi in favore dell’ateismo, intimando a Dio, se esisteva, di incenerirlo all’istante, e ha finito per firmare i Patti Lateranensi. La piroetta leghista dal folklore neo-celtico al bacio dell’anello cardinalizio non sarebbe, dopo tutto, più estrema.

Eppure, nonostante una certa estraneità culturale diffusa tra il sentire leghista e quello cattolico, che si cerca talvolta di mascherare con qualche malcerto riferimento al federalismo di don Sturzo, il voto cattolico si è riversato nel contenitore leghista apparentemente senza soffrire alcuna contraddizione. Anzi, il prodotto piace. Piace perché propone un cattolicesimo di pura etichetta, poco esigente sul piano morale e religioso, riducibile a pochi elementi (identitari, appunto), familiari ma non invasivi, nostalgici ma innocui. E piace anche per l’elemento di critica allo strapotere vaticano, vissuto come lontano ed estraneo, in nome magari del richiamo alle care vecchie parrocchie in cui si parlava dialetto.

Su questo, più che la Lega, è la Chiesa a trovarsi in difficoltà e in contraddizione. La difesa dell’identità, un pilastro della politica culturale leghista, non può non piacere, laddove l’identità è supposta essere cattolica (ma talvolta sarebbe saggio ricordarsi del vecchio adagio popolare che recita: “Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”). Sulla base di questo presupposto non poco clero, ma soprattutto moltissima base cattolica, si sono fatti felicemente sedurre dalla sirena identitaria leghista, talvolta flirtando con essa laddove sembrava rafforzare una identificazione con la Chiesa che, secondo tutti gli indicatori (pratica religiosa, frequentazione dei sacramenti, aumento di matrimoni civili e divorzi), è in realtà in calo. Ma il problema è che questa identità, fin dalle origini, cattolica non lo è affatto: e non solo per i richiami al folklore celtico e al dio Po. Oggi quei nodi vengono nuovamente al pettine. Ma è probabile che resteranno, come per il passato, ambiguamente sospesi, e irrisolti. Perché il problema vero non è quanto è cattolica la Lega: ma quanto sono cambiati i cattolici, e quanto sono disposti a mettere in mora le loro convinzioni morali, quando agiscono in politica. La crescita della Lega ci dice che lo sono, e molto. In un certo senso è un segno di laicizzazione ulteriore, non solo dell’elettorato, ma della società.

Stefano Allievi

Allievi S. (2010), Leghismo e cattolicesimo popolare, in “Missione Oggi”, n. 10, dicembre 2010, pp. 18-21