Immigration and Cultural Pluralism in Italy: Multiculturalism as a Missing Model

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34 Allievi S. (2010), Se il vuoto va al potere. Italia senza una guida, in “Il Piccolo”, 2 ottobre 2010, pp. 1-2 (anche messaggero veneto la lenta fine dell’impero) A P

Con l’ultima richiesta di fiducia, si è chiusa di fatto l’era Berlusconi. La caduta dell’impero potrà durare fino alla fine della legislatura, o consumarsi già in marzo, ma la sostanza non cambia. La maggioranza più ampia della storia repubblicana recente, quella che avrebbe dovuto ridisegnare radicalmente il volto del paese, ha partorito il topolino di un lasciapassare per tirare a campare. Nulla di rilevante sarà più fatto, nessuno dei veri problemi dell’Italia verrà seriamente affrontato.

E’ finita, ma non è una buona notizia per nessuno. Perché questo paese rischia di annegare nell’anomalia di una maggioranza che non è più tale e di una opposizione che non è in grado di sostituirla.

Al di là del risultato apparentemente positivo, la maggioranza è definitivamente implosa. Dovrà navigare a vista, inseguendo i mal di pancia interni e accontentando le peggiori clientele dei nuovi supporter appena acquisiti (il peggior Sud, per esempio). E, sempre più autocentrata nella contemplazione del proprio ombelico, sarà costretta a spacciare per vittorie le garanzie della propria sopravvivenza: a cominciare dalle prossime leggi di tutela del premier.

Le opposizioni tuttavia non stanno meglio. Anche perché la concorrenza nel ruolo è smodata. Vi sono almeno due opposizioni interne alla maggioranza, e già questa è un’anomalia non da poco. Quella di Fini, che marcherà a uomo il premier, si è già visto in con quali possibilità, se non altro di veto. E quella della Lega, che continuerà nel giochino di stare al governo facendo finta di stare all’opposizione: meccanismo che finora ha funzionato benissimo, ma che non potrà durare all’infinito (ed è precisamente il motivo per cui Bossi vuole andare all’incasso subito, puntando ad elezioni che Berlusconi non vorrebbe).

Vi sono poi i vari centri, centri-destra o centri-sinistra: che procedano da soli o insieme, Udc, Api di Rutelli, lo stesso partito di Fini, e gli altri micro partiti in gestazione, hanno ottenuto il risultato di dimostrare che anche il bipolarismo all’italiana è finito, ma non quello di porsi come alternativa credibile. E non avendo per ora come bussola un vero progetto politico, ma misurando la propria azione nelle tattiche più che nelle strategie, rischiano di essere percepiti, da tutti, come interlocutori indispensabili ma inaffidabili.

E, infine, si arriva a quella che dovrebbe essere la guida naturale dell’opposizione: il Pd, il solo a poter oggi aspirare ad essere il perno della futura maggioranza. In preda a un’assurda sindrome autodistruttiva – fatta di rivalità politiche e di idiosincrasie personalistiche – che non risparmia nessuno dei suoi leader storici, in caduta di immagine tra i propri stessi sostenitori per mancanza di identità riconoscibile. E questo nonostante la domanda di un’opposizione credibile e forte, che si qualifichi come prossima maggioranza, che sale dalla società, ma stenta a trovare un’identificazione adeguata.

Oltre, c’è un’altra opposizione, ma non spendibile. Le briciole della sinistra estrema, un Di Pietro ormai ridotto a un’autocaricatura che ripete con toni sempre più tonitruanti uno sdegnato nulla, costretto ad alzare retoricamente la voce dall’incalzare di Grillo. E i grillini, appunto: fenomeno dello stesso tipo e concorrente, ma che sarà bene guardare con minore sufficienza perché, a differenza del primo, destinato a crescere.

In sintesi: la maggioranza attuale non c’è più. Ma la prossima non c’è ancora. In questo interregno può succedere di tutto. Perché in politica il vuoto di potere non esiste: ma esiste, inafferrabile e inesorabile, il potere del vuoto.

Stefano Allievi

Allievi S. (2010), Immigration and Cultural Pluralism in Italy: Multiculturalism as a Missing Model, in “Italian Culture”, vol. XXVIII, n. 2, September 2010, pp. 85-103

Il coraggio dei cristiani

La strage di Natale in Nigeria è solo un fatto tra tanti. Più simbolico di altri, certo: morire perché cristiani nel giorno in cui si ricorda la nascita di Cristo. Ma un episodio insieme a molti altri: che dal Pakistan alla Somalia, dall’Iraq alla Cina, dalla Colombia alle Filippine, dalla Corea al Sudan, dall’Arabia Saudita all’Honduras, dal Congo alla Turchia, dal Brasile alla Palestina, dove Cristo è vissuto e si è annunciato al mondo, testimoniano di come essere cristiano oggi possa ancora essere un segno di contraddizione e, incidentalmente, un mestiere pericoloso.

Ce ne accorgiamo poco, e prestiamo a questi episodi una attenzione distratta. Dopotutto non ci riguardano: qui da noi essere cristiano, per molti, è troppo spesso una comoda identità, qualche volta persino un business o una rendita politico-culturale. E per quelli per cui è un costo, una scelta scomoda, c’e più spesso il silenzio. O le luci del martirio quando ormai è troppo tardi. Del resto da noi la Chiesa, nella sua parte più visibile, è istituzione, potere, denaro persino; è in quella invisibile, quella che non fa notizia, che bisogna cercare più spesso il lievito del pane, il sale della terra: chi si occupa degli ultimi, chi è vicino a chi soffre, o a chi ha fame e sete di giustizia.

Ecco, i massacri di cristiani qualunque in paesi qualunque ci ricordano che essere cristiani è, dovrebbe essere, potrebbe essere, una scelta radicale, una testimonianza esplicita, un richiamo forte. Non un dichiararsi tiepido, un ricordarsi appena appena, nei giorni comandati. O, come in certa politica nostrana, che in questo è specchio fedele della nostra società, baciare un anello cardinalizio, ossequiare una porpora, mendicare la stretta di mano di una qualche autorità ecclesiastica. Non per caso nel nostro Parlamento e nel nostro Governo il tasso di clericalismo è spesso inversamente proporzionale alla fede, e quelli che più ci tengono a dichiararsi cristiani sono quelli che meno bazzicano le opere pie, del resto assai scomode: non solo c’è da dare da mangiare all’affamato e da bere all’assetato (che si può risolvere in maniera moderna e pulita con un obolo a un qualche ente assistenziale), ma anche da visitare l’ammalato e il carcerato e peggio ancora ospitare il forestiero, come meno volentieri si ricorda.

Altrove è diverso. Altrove, per il semplice fatto di essere cristiani, si può morire. Come vittime innocenti, o come testimoni attivi di fronte all’ingiustizia: vittime di poteri economici, di potentati politici, di squadroni della morte, ma anche solo di invidie di vicinato, di gelosie strumentalizzate e sobillate ad arte. Con targa religiosa, islamica spesso (anche se quelle che scambiamo per guerre di religione sono più spesso guerre tra poveri), o semplicemente al soldo del potere. Gli episodi di persecuzione che ricordavamo non sono solo testimonianze che la Chiesa perseguitata esiste, che il martirio è d’attualità oggi come duemila anni fa. Ci ricordano anche che essere cristiani, se lo si vuole, significa davvero qualcosa. E qualcosa di importante, se il suo valore – non il suo prezzo – è ancora quello della vita.

Stefano Allievi

Allievi S. (2010), Il coraggio dei cristiani, in “Il Piccolo”, 29 dicembre 2010, pp. 1-2

anche come Allievi S. (2011), Essere cristiani, un mestiere pericoloso, in “Il Mattino”, 4 gennaio 2011, p. 39 (anche “La Nuova di Venezia” p. 34 e “La Tribuna di Treviso” p. 39)

Berlusconi, i paradossi della fiducia

Il paradosso è, etimologicamente, una asserzione “in contrasto con la comune opinione” (doxa). Il voto di fiducia incassato dal governo Berlusconi ne contiene almeno tre, che potremmo sintetizzare così: chi vince perde, chi perde vince, e chi non c’è continuerà a non esserci.

Il primo riguarda la maggioranza. Essa ha incassato, a metà del suo percorso legislativo, una attestazione di fiducia non necessaria, perché avrebbe dovuto proseguire il suo cammino naturale senza di essa, e non prevista, perché chi ha presentato la mozione di sfiducia era convinto di ottenerla, e non l’avrebbe fatto altrimenti. Ma quella che sembra una continuità (il governo prosegue) è in realtà una rottura radicale. Perché la maggioranza, dall’essere la più ampia della storia repubblicana, è diventata una delle più risicate e deboli, e il governo sarà d’ora in poi in balìa, oltre che dei comprati e venduti dell’ultima ora, di un qualsiasi raffreddore. E degli interessi dell’alleato leghista.

Il secondo paradosso riguarda chi la mozione di sfiducia ha presentato, il cosiddetto terzo polo. Perdente sul piano dei numeri, con diversi membri dei partiti che lo compongono che sono passati a sostenere il governo, dando uno schiaffo clamoroso alle aspettative dei rispettivi strateghi. E che tutti davano quindi allo sbando, e a rischio di ulteriori emorragie e cambi di casacche: che sempre vanno in direzione del potere. Ma che invece sembra rafforzarsi a seguito di un imprevisto colpo di scena: la sua unificazione, su cui pochi in questi giorni avrebbero scommesso. La promessa di un atteggiamento di responsabilità consentirà di far proseguire il governo tenendolo tuttavia sotto ricatto costante, conferendo ai terzopolisti un’aura di serietà che il Pdl non potrà mostrare, dovendo sostenere le leggi ad personam di Berlusconi che il terzo polo avrà buon gioco ad affossare, salvando invece quelle nell’interesse del Paese.

Il terzo paradosso riguarda il Partito Democratico. In teoria l’attore principale dell’opposizione, in pratica il più irrilevante. Ha giocato una partita non sua e non decisa da lui. Facendo le mosse giuste, e muovendosi compattamente e con serietà, a differenza di altri. Ma come attore, appunto, per quanto indispensabile, non come regista. Non solo: ogni volta che il governo, nella votazione di un articolo sgradito, verrà battuto in parlamento – cosa che accadrà spesso da ora in poi – chi ne otterrà visibilità e farà notizia sarà il terzo polo, non il Pd, nonostante sia esso a sobbarcarsi il grosso del lavoro e del peso dell’opposizione. La tentazione già emersa di immaginare il terzo polo come l’alleato moderato, lasciando la rappresentanza dei moderati ai centristi e implicitamente accettando che il Pd non rappresenti questa componente, è infine una rinuncia di fatto al suo progetto originario, che su questa commistione si fonda, e apre una questione politica interna non da poco.

Il risultato finale è che chi finirà per volere davvero le elezioni, con la possibilità di vincerle, e decidendone la data sulla base dei propri interessi, saranno i due attori minori sia della maggioranza che dell’opposizione: la Lega e il terzo polo. Mentre Pdl e Pd finiranno per subire le loro scelte. La rivincita dei piccoli.

Una nota a margine: l’ennesima mossa falsa della Chiesa come attore politico. Non solo il cardinal Bagnasco, come più alto rappresentante della chiesa italiana, dà il suo sostegno (e ci domandiamo in quanti altri Paesi europei tali esternazioni siano concepibili) al suo sempre più debole – e sempre più indifendibile, dal punto di vista cattolico – alleato berlusconiano, negando esistenza ed appoggio ai cattolici che stanno altrove. Ma risulta essere l’unica a non accorgersi di aver scelto come partner non il vincente di oggi, ma il perdente di domani. Una scelta che pagherà con una ulteriore perdita di credibilità, di influenza, e di potere.

Stefano Allievi

Allievi S. (2010), Berlusconi, i paradossi della fiducia, in “Il Mattino”, 17 dicembre 2010, pp. 1-5 (anche “La Nuova di Venezia” e “La Tribuna si Treviso”, e “Il piccolo” 19 dicembre “Lega Nord e terzo polo, la rivincita dei piccoli”)

Conflitto distante che crea disinteresse

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Allievi S. (2010), “Conflitto distante che crea disinteresse” (Afghanistan: per due su tre l’esercito deve andar via), in “Il Gazzettino”, 14 dicembre 2010, intervista di Annamaria Bacchin

Mosques in Europe. Why a solution has become a problem

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Allievi S. (2010) (ed.), Mosques in Europe. Why a solution has become a problem, London, Alliance Publishing Trust / Network of European foundations, pp. 402
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La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso

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Allievi S. (2010), La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso, Venezia, Marsilio, pp. 186
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Multiculturalism in Italy: The missing model

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Allievi S. (2010), Multiculturalism in Italy: The missing model, in A. Silj (a cura di), “European Multiculturalism Revisited”, London-New York, Zed Books, pp. 147-180
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Producing Islamic Knowledge. Transmission and dissemination in Western Europe

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Van Bruinessen M. e Allievi S. (a cura di) (2010), Producing Islamic Knowledge. Transmission and dissemination in Western Europe, London-New York, pp.196
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Berlusconia, fine impero a colpi di coda

Comunque vada a finire il 14 dicembre, che venga o meno votata la fiducia al governo Berlusconi, sul piano delle tendenze di fondo non cambierà nulla. Quel voto sancirà simbolicamente, in ogni caso, una cosa sola: la fine dell’impero. Un’epoca della storia italiana, per molti versi un’epopea personale, che nel bene e nel male ha segnato a tal punto questo Paese da non lasciare alcun dubbio sul fatto che il periodo dal ’94 (la famosa ‘discesa in campo’) ad oggi sarà ricordato come l’era berlusconiana, è all’inizio della sua fine.

Questa constatazione non toglie nulla alla tragedia di questi tempi inquieti. I periodi di fine impero sono sempre forieri di imprevedibili colpi di coda. Non sappiamo dunque ancora come avverrà. Quello che sappiamo è che la fine è ormai segnata, ma che potrà trattarsi di una morte subitanea o di una lunga devastante agonia. Potrà essere un Giulio Cesare assassinato da una congiura di senatori, pugnalato dall’abbraccio a tradimento dell’amico Bruto con l’aiuto di altri congiurati, o un Caligola che per estrema derisione delle istituzioni nomini senatore il suo cavallo. Potrà essere un Nerone che incendierà Roma distruggendola come cosa sua e per suo puro divertimento, o uno zar Nicola II dominato da un qualche subdolo Rasputin, per finire travolto dalla rivoluzione incombente. Potrà essere un Napoleone condannato ad un mesto esilio a Sant’Elena, o un Mussolini ignominiosamente impiccato a piazzale Loreto. Un Ludwig che si spegne lentamente nello sperpero, nel delirio e nella follia, o un Bokassa patologicamente criminale e tuttavia ancora circondato da una corte servile. Un Saddam Hussein mostrato impietosamente alle telecamere nel giorno della sua sconfitta finale, o un Idi Amin Dada crudele e assassino che finisce tranquillamente la sua vita in un dorato esilio saudita. Potrà essere infine un periodo di violenze personali all’interno della famiglia regnante, fitto di eventi traumatici incapaci tuttavia di interrompere una decadenza ormai avviata, e concluso con un fulmineo colpo di scena finale, come in tante tragedie di Shakespeare. O, come spesso accaduto nella storia, un prosaico periodo di assalto alla diligenza, di appropriazione indebita e di spoliazione delle ultime ricchezze pubbliche, di sordide pratiche clientelari, di cortigiani della peggior specie alla ricerca contemporaneamente degli ultimi favori del sovrano e delle possibili legittimazioni di fronte a un futuro potere inesorabilmente in arrivo: quei lunghi periodi di transizione in cui il peggio dell’essere umano emerge e si fa legge.

Qualunque cosa accada, siamo alla fine: forse “le comiche finali”, come preconizzava Fini qualche tempo fa; o forse invece la tragedia di un Paese su cui non c’è nulla, ma proprio nulla da ridere. Ci sarà tempo per i bilanci più pacati, per le condanne ideologiche o per le riabilitazioni revisioniste, per i rimpianti dei beneficiati e dei cortigiani e per la rabbia impotente di tutti gli altri. Quello che speriamo, per questo martoriato Paese, moralmente umiliato e materialmente impoverito all’interno e ridicolizzato all’estero, è che la fine sia la più breve possibile, e che il nuovo sistema politico e il nuovo edificio istituzionale, speriamo non il nuovo ‘uomo della Provvidenza’, quale che sia, emerga presto. Solo così, solo da allora, questo Paese potrà cominciare a rinascere davvero.

Stefano Allievi

Allievi S. (2010), Berlusconia, fine impero a colpi di coda, in “Il Mattino”, 12 dicembre 2010, pp. 1-7 (anche “La Nuova di Venezia”)

anche come Allievi S. (2010), Il cavaliere all’ultimo atto. Comunque vada, la fine è iniziata, in “Il Piccolo”, 14 dicembre 2010, pp. 1-2 (anche messaggero veneto L’era di Silvo. All’inizio della fine, pp.1-2)