L’autonomia non è per domani. Forse, per dopodomani.
Difficilmente l’autonomia sarà approvata nel primo consiglio dei ministri del nuovo governo, figlio del risultato elettorale prossimo venturo. Al contrario, è destinata ad allontanarsi nel tempo, anche se sarà solo uno slittamento provvisorio. Non perché non sia un obiettivo politico in sé: lo è e lo rimane, e le regioni interessate sapranno fare le dovute pressioni, a cominciare dal Veneto. Ma perché sarà inevitabilmente subordinata ad altri obiettivi politici, o meglio bilanciata con essi.
Con l’attuale governo tecnico, sostenuto da una amplissima maggioranza politica, l’autonomia differenziata era raggiungibile. La cosiddetta bozza Gelmini era già stata considerata accettabile dalle regioni interessate, e il sostegno partitico era trasversale, dunque l’approvazione sicura, perché sostenuta da tutti i partiti della maggioranza, Movimento 5 Stelle incluso. Ora non è più così. L’annunciato trionfo elettorale del centrodestra, al cui interno ci sono i partiti che più hanno a cuore l’obiettivo dell’autonomia, paradossalmente ne allontanerà almeno temporaneamente l’approvazione: per una dinamica legata agli equilibri interni alla coalizione, più che per il ruolo delle opposizioni. Non per le ragioni evocate in passato: le differenze tra una Lega autonomista e Fratelli d’Italia centralista. Di fatto non è più così: sia perché la Lega è diventata negli anni partito nazionale e non più solo territoriale, sia perché si annuncia per Fratelli d’Italia un plebiscito elettorale anche nelle regioni del nord che l’autonomia l’hanno sempre richiesta, come il Veneto, e quindi sarà una bandiera sostenuta anche da questo partito. Ma semplicemente perché Fratelli d’Italia in particolare (che, stando ai sondaggi, sarà di gran lunga il partito maggiore, e del governo otterrà la premiership) vuole arrivare ad approvare anche il presidenzialismo: e le due riforme – entrambe importanti ed entrambe di notevole impatto costituzionale – avranno bisogno della costruzione di delicati e complessi bilanciamenti, che richiederanno tempo e sapienza giuridica per essere approvati.
Non solo: poiché il governo non sarà più tecnico e in qualche modo di unità nazionale, i partiti che resteranno all’opposizione avranno meno interesse a giocare un ruolo costruttivo. Anche perché se sull’autonomia il Partito Democratico aveva assunto un indirizzo sostanzialmente favorevole (ricordiamo che l’autonomia differenziata è richiesta anche dall’Emilia-Romagna, governata dal PD), sul presidenzialismo le questioni saranno molto più complesse, e l’opposizione maggiore. Senza contare che il M5S, che nell’ambito del governo Draghi – che sosteneva – avrebbe votato a favore, in futuro, poiché la sua sopravvivenza sarà dovuta soprattutto al voto di protesta del Sud, è probabile che si sfili.
Non si tratta dunque di un abbandono del progetto, anche perché l’autonomia è nel programma elettorale della coalizione che verosimilmente governerà l’Italia dopo le elezioni, e oltre ai partiti maggiori la sostiene anche Forza Italia. Le regioni che la vogliono attiveranno inoltre le attività di lobbying necessarie. Ma di un rinvio temporaneo inevitabilmente sì. Ed è bene saperlo, per non alimentare aspettative che rischierebbero di essere disilluse. L’autonomia in qualche modo si farà: ormai è nella logica delle cose. Semplicemente, non sarà per domani. Probabilmente, per dopodomani.