Come non capire i giovani. La politica che diventa farsa su Tik Tok
Tutti su Tik Tok. Con sei anni di ritardo sulla sua invenzione (a dimostrazione del loro tempismo), quando già ha raggiunto in Italia il tetto di una decina di milioni di iscritti, i politici italiani scoprono improvvisamente il social network cinese su cui si possono caricare brevi video, che, si dice, spopola tra i giovani. E in una settimana o giù di lì aprono tutti (tutti quelli che già non ce l’avevano) il loro account: con l’idea di raggiungere i giovani dove stanno, ovvero nei social network per loro più interessanti (Facebook di iscritti in Italia ne ha 35 milioni, ma è roba da boomer; Twitter 11 milioni ma è una bolla di adulti che si presumono addetti ai lavori della politica).
Il problema è come i nostri politici si rivolgono ai giovani. Fondamentalmente, prendendoli per scemi (o scambiandoli in blocco per pre-adolescenti ottusi con meno neuroni di un’ameba), ci vanno con contenuti pseudo-spiritosi, triviali, perfino imbarazzanti (per chi li pubblica), finendo per farsi prendere in giro e allontanando ulteriormente i giovani dalla politica. Del resto, assistendo a questi preclari esempi di comunicazione, non potrebbero certo prendere la politica per una cosa seria. E così, la nuova riserva di caccia al voto dell’elettorato giovanile, come noto meno attivo e presente di quello adulto (in cifra assoluta, perché sono pochi; ma anche in percentuale, perché votano meno), illusoriamente attivata nel tentativo di riconquistare voti o addirittura motivare militanza, si risolve in una ridicola eterogenesi dei fini. Il politico che affannosamente corre all’inseguimento del presunto giovane, di cui ha un’immagine tutta sua, rincorrendo l’astensionismo giovanile per riportarlo nell’urna, finisce così per produrre astensionismo ulteriore.
Tra l’altro, ci sarebbe da riflettere su questa bulimia da social dei politici. Non solo per il narcisismo di cui è segno: che, certo, è figlio dell’epoca. Ma anche per il desiderio nemmeno nascosto di essere presenti solo laddove non c’è possibilità di interlocuzione vera, ma solo di messaggio a senso unico, senza possibilità di confronto e ancor meno di contraddittorio (mostrando di usare i nuovi social media come fossero i vecchi mass media unidirezionali con cui sono cresciuti loro). Non a caso quasi nessuno si incarica di rispondere ai commenti: postano il loro contenuto (il cui specifico, spesso, non è di dire qualcosa di minimamente significativo, ma solo di esserci), e poi lasciano a scannarsi le rispettive tifoserie.
Che poi lo scopo sia solo e del tutto strumentale (ma, purtroppo per loro, si vede), lo dimostra il fatto che nei social dei giovani non si propongono contenuti (anche politici: proposte, programmi) che li possano riguardare. Se infatti questi sono tutti a base di favori ai pensionati o ai lavoratori adulti (tipo quota 41), e comunque tutti implicano colossali sfondamenti – più che scostamenti – di bilancio, che non farebbero che produrre ulteriore debito che a pagare saranno precisamente i giovani, peraltro destinati in larga misura a non beneficiare delle misure proposte, hai voglia a rivolgerti a loro sperando di sedurli con un sorriso impacciato, di blandirli con una caramella semiotica o di farli ridere con una barzelletta (peraltro, tutto molto old style).
Oltre tutto i giovani non sono come li immaginiamo o li immagino i politici: bisognosi solo di cibo intellettuale premasticato. Al contrario, quello, come noto, è più utile agli anziani. Contrariamente a quello che si pensa, i giovani non sono affatto come li descriviamo. Leggono di più degli adulti: anche libri. Viaggiano di più. È la generazione con il più alto livello di istruzione che si sia mai avuta. Quella con la maggiore frequentazione con lettura e scrittura. Sono gli anziani, quelli la cui dieta informativa è spesso basata su un unico medium, la televisione, i più esposti a messaggi ipersemplificanti.
I giovani sono figli della complessità. Per loro i social sono piattaforme come tante, e non ne frequentano una sola, ma molte, in contemporanea, per soddisfare bisogni o sviluppare interessi ed esigenze diverse: sociali e relazionali, di comunicazione e discussione, culturali e di ricerca di informazioni, di puro divertimento. Per questo diffidano della politica che gli propongono. Non è qualunquismo. In vena di provocazione, mi azzarderei perfino a definirlo, al contrario, un ben fondato senso di superiorità rispetto al mondo adulto. Che ci ha portato dove ci ha portato. E per provare a far dimenticare i suoi guasti si diverte, come uno scemo, su Tik Tok.
La politica che (non) fa Tik Tok, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 6 settembre 2022, editoriale, p.1