La crisi italiana

La crisi italiana non è soltanto una crisi finanziaria, economica, produttiva. Drammatica, certo: ma di cui in fondo conosciamo i costi, le ricette per uscirne, e anche i punti di forza (del sistema bancario e produttivo, ad esempio), non solo quelli di debolezza. E non è nemmeno solo una crisi, colossale, di credibilità internazionale e di immagine: di cui ben prima delle umiliazioni diplomatiche di questi giorni avevano piena consapevolezza gli attori economici, i produttori di cultura, il mondo della ricerca scientifica, e tutti coloro che hanno del confronto internazionale e della concorrenza, di sistemi e personale, esperienza quotidiana. No, la crisi italiana è qualcosa di più e di più profondo: una crisi istituzionale, politica e morale devastante. Che sta minando i fondamenti della stessa coesione sociale del Paese.
Sta saltando il patto sociale, e ciascuno si sente legittimato a non rispettarne gli obblighi perché nessun altro sembra farlo, e nessuno, nemmeno (tanto meno) lo Stato, ha l’autorevolezza per imporsi. E’ già saltato, anche se non se ne ha ancora piena consapevolezza, il patto generazionale: oggi gli interessi delle fasce più mature della popolazione appaiono più che mai in contrapposizione con quelli delle fasce più giovani. E le contrapposizioni di interessi appaiono più rilevanti che mai: tra aree geografiche, tra diversi attori economici e sociali, tra pubblico e privato, tra garantiti e precari, tra giovani e anziani, tra uomini e donne, e così via. Il Paese, insomma, è cresciuto senza crescere, si è sviluppato senza produrre sviluppo, e si è modernizzato senza essere diventato moderno. E oggi paga il prezzo di questa mancanza, prigioniero di ciò che non è riuscito ad essere.
Ci troviamo insomma in una situazione di devastazione, pur non avendo avuto una guerra. E dobbiamo ricostruire il Paese a partire dalle macerie che non i bombardamenti, ma l’inettitudine di un intero ceto politico, gli egoismi e gli interessi di pochi, ma anche la mancanza di immaginazione, di visione di come il Paese avrebbe potuto e dovuto essere, da parte delle sue classi dirigenti, ci hanno lasciato.
C’è oggi bisogno di ricostruire l’Italia dalle fondamenta: nel senso di coesione nazionale, nelle sue istituzioni, nel suo modo di pensarsi, nelle sue pratiche sociali. E quindi, prima di tutto, nella sua politica.
Come nel dopoguerra, c’è dunque bisogno di un ceto politico nuovo, responsabile, capace di immaginare una nuova stagione e di costruirne le fondamenta, facendo tesoro degli errori del passato, ma con una proposta politica e istituzionale moderna, agile, dinamica, adatta ai tempi, capace di valorizzare le risorse degli individui, uomini e donne, delle imprese, delle collettività, delle associazioni, dei territori, anziché imporsi ad esse rendendo loro la vita impossibile.
Siamo, davvero, come in uno strano dopoguerra, o dopo una guerra civile, o una profonda lacerazione sociale e istituzionale, di fronte a un vero e proprio problema di nation building. Centocinquant’anni dopo la sua nascita, l’Italia deve in qualche modo ricominciare da capo. Dopo la rottura innovativa e creatrice (nonostante i suoi costi e i suoi limiti) del Risorgimento, dopo i disastri delle due guerre mondiali, dopo il crollo della dittatura fascista, dopo la caduta meno cruenta e non definitiva della prima repubblica, dopo la fine ignominiosa della seconda, che oggi stiamo vivendo, l’Italia deve ricominciare dall’inizio. E deve farlo avendo il coraggio di ripensarsi all’interno di una nuova fase costituente: e, come ai tempi dell’Assemblea Costituente, dandosi il tempo di farlo, nonostante le urgenze del momento (che non erano del resto minori nel dopoguerra), e selezionando a questo scopo le sue energie migliori, e, senza timore di chiamarle tali, le sue elites.
Questo il compito: ma a chi affidarlo? Chi ne ha la consapevolezza?
Nella situazione di crisi che il Paese sta attraversando, appare chiaro che la coalizione di centro-destra, incapace di governare la situazione economica, di avanzare una seria proposta politica, e soffocata dagli scandali che coinvolgono il suo leader e il suo entourage, è in perdita netta di credibilità e di consenso. Nello scenario da essa prefigurato il problema era solo quello di rimanere al potere fino alla scadenza naturale del 2013, nella speranza di riuscire a recuperare qualche margine di consenso, che non la condannasse all’uscita dalla storia del Paese non solo con una rovinosa sconfitta, ma con ignominia, nel discredito morale e nel fallimento materiale. Ma, come vediamo in questi giorni, questo scenario, fino a ieri il più probabile, non tiene più, complice anche l’ormai irrecuperabile – con questa leadership – discredito internazionale. I mal di pancia della Lega, la sempre possibile escalation degli scandali e di un intervento ulteriore della magistratura, nonché il precipitare della crisi stessa anche a causa della perdita verticale di fiducia nel Paese sia da parte dei mercati che delle istituzioni internazionali, hanno fatto finire – nei fatti – questa legislatura. Il Paese tutto ormai sembrava vedere la scadenza naturale del governo e della legislatura come un traguardo lontanissimo e non auspicabile: troppo lontano per quel colpo di reni di cui l’Italia ha bisogno subito, come ormai dicono chiaramente le associazioni imprenditoriali e la stessa stampa filo-governativa. Il che rende possibili altri scenari: un governo tecnico, di transizione, che faccia le riforme fondamentali, tra cui quella del sistema elettorale, e quindi nuove elezioni; o addirittura elezioni subito, che tuttavia nessuno sembra veramente volere, nemmeno da parte dell’opposizione.
Ma tutto questo non basta. Occorre, oggi, sia guardare al breve termine, alla situazione immediata, sia ‘pensare lungo’, attraverso un salto di qualità impossibile da chiedere all’attuale ceto politico, e tuttavia irrinunciabile e non più rinviabile: pensare il nuovo patto sociale, ripensare il Paese, ricostruirne le fondamenta.
Come, con chi, attraverso cosa, lo vedremo nella prossima puntata.
1 – continua
Allievi S. (2011), Prima puntata. Una nuova costituente: Cosa bisogna fare oltre la crisi di Berlusconi, in “Il Mattino”, 9 novembre 2011, p. 15