Il diavolo e l’acquavite A SR

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Il diavolo e l’acquavite
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Volgere il male in bene, il diavolo in acqua santa (o magari in acqua della vita, ovvero in acquavite), è prerogativa del sacro. Possiamo dimostrarlo con un breve apologo enoico.
Per un qualche errore di dosaggio nei fermenti, accadeva che alcune bottiglie del vino bianco di una certa regione della Francia si stappassero all’improvviso: questo vino, chiamato “diable”, perché indiavolato, ‘saltatappo’, a causa di questo errore di fermentazione doveva essere buttato.
Ma un monaco benedettino (appartenente cioè a quell’ordine a cui dobbiamo, insieme ai cistercensi, se la viticoltura è sopravvissuta alla caduta dell’Impero Romano e alle invasioni barbariche, grazie alla tradizione vitivinicola che custodirono e tennero viva all’interno dei conventi) ebbe l’illuminazione di lasciare fermentare appositamente una seconda volta, ma in bottiglie ben spesse e con i tappi di sughero accuratamente legati, quel vino destinato usualmente a più tranquilli approdi.
Dobbiamo a quell’oscuro e per molti santo monaco, tale Dom Pérignon, il cui nome è ora giustamente giunto a fama imperitura, la geniale creazione di quello che è oggi il vino più famoso del mondo: lo Champagne, dal nome di quella regione di Francia le cui vigne, secondo alcuni paleontologi sicuramente francesi e sciovinisti, sarebbero le più antiche al mondo.
Grazie agli sforzi certamente illuminati (è banale dirlo: dallo spirito…) di quest’uomo di preghiera, il “diable”, pur conservando la sua energia e il suo gas, è vinto e sottoposto all’ordine del mondo e al dominio dell’uomo, per la sua gioia e la letizia dei suoi commensali.
A proteggerne il prezioso frutto aiuterà anche San Vincenzo, diacono spagnolo martirizzato nel 304, divenuto in Francia il patrono dei vignaioli (e dei bevitori, immaginiamo), pare, a causa del gioco di parole cui si presta il suo nome, che sarebbe piaciuto a un cabalista: Vincent, cioè vin-sans-eau.
Stefano Allievi
in “Servitium”, n.177 2008, pp.105-106