Il paese dove non si nasce, muore

L’ultima edizione del Corriere del Veneto dell’anno appena passato citava, in articoli e a proposito di argomenti diversi, quello che sarà il principale e al contempo il più sottovalutato e meno discusso problema degli anni futuri: la demografia, di cui ancora fatichiamo a cogliere le implicazioni.

La provincia di Rovigo già oggi ha un record di cui non si coglie la drammaticità: la più alta differenza, in negativo, tra occupati e pensionati, con questi ultimi a prevalere nettamente. Segue Belluno, anch’essa in negativo. Mentre le altre province venete hanno per ora un saldo positivo. Questi numeri anticipano, di poco, un indicatore ancora più terribile: relativo a quando il totale delle persone in età lavorativa verrà superato dal numero di pensionati. Un problematico sorpasso stimato dal Fondo Monetario Internazionale, qualche tempo fa, per l’Italia, intorno al 2045, ma che verrà certamente anticipato (anche a seguito delle sciagurate scelte dei governi Conte 1 e Meloni, che hanno abbassato ulteriormente l’età della pensione per alcune categorie, e a quelle che si faranno in futuro, per compiacere quella che ormai è la più ampia platea elettorale e comunità di interessi presente nel paese). Scelte che avrebbero dovuto vedere in prima fila – contro – proprio i governanti delle province e regioni messe demograficamente peggio. Se non fosse che la politica, impegnata a gestire il quotidiano, delle tendenze, di ciò che accadrà in futuro, non sa nulla, né si preoccupa di sapere nulla. Ormai si improvvisa, invece di pro-gettare, proiettarsi in avanti, guardare il futuro per decidere come e in che condizioni arrivarci. Si bada al consenso (al tornaconto elettorale immediato) invece che al senso (profondo, e con conseguenze di lungo termine) delle decisioni da prendere.

Eppure il campanello d’allarme è in realtà una gigantesca sonora campana, il cui suono annuncia una accelerata e inesorabile morte civile e sociale futura. Cosa significa infatti, nel concreto, calo demografico, e diversa composizione della popolazione, con prevalenza di anziani? Lavoro che non si trova, non perché non c’è, ma perché mancano i lavoratori, e dunque le imprese non lo creano, e vanno altrove. Il che costituisce un ulteriore poderoso incentivo alla fuga, già in atto, anche di quei pochi giovani, da una società a misura di anziani, da un paese per vecchi. E non solo per questioni occupazionali, ma di opportunità di crescita, di sviluppo culturale, di occasioni di relazione e divertimento, in definitiva di significato. Nelle aree e paesi dove la popolazione cala, si atrofizza tutta la struttura delle opportunità, dai commerci ai servizi, i giovani e le famiglie tendono quindi ad andarsene, in un circolo vizioso che nel tempo si accelera: una “spirale del sottosviluppo” i cui cerchi si allargano con rapidità.

Pensare il futuro vorrebbe dire leggere con consapevolezza adeguata i problemi, e agire per invertire le tendenze, cogliendo le opportunità che ci sono. Investendo e arricchendo non solo di lavoro, ma anche di cultura, di opportunità, di diversificazione e di senso, la nostra società. Aiutando così i giovani a rimanere con iniziative a loro dedicate (se la realtà è a misura di vecchi, inevitabilmente i giovani se ne andranno, a ritmi sempre più veloci). Incentivando le nascite, con servizi adeguati alla conciliazione di lavoro e famiglia, facendo in modo che le donne entrino e restino nel mercato del lavoro, invece di essere costrette a scegliere tra la prigionia delle mura domestiche (che sono anche mura culturali e di senso) e la presenza nel mondo del lavoro, che è anche partecipazione al mondo là fuori. Investendo in programmi forti e coraggiosi di incentivazione e organizzazione dell’immigrazione, dall’estero ma non solo. Senza tutto questo, anche le occasioni offerte dalla silver economy, l’economia che ruota intorno alla terza età, saranno solo un’illusione.

 

Il paese dove non si nasce, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 6 gennaio 2023, editoriale, p. 1