Il senso delle feste
Ho passato la notte di Natale al pronto soccorso. Da accompagnatore. Per problemi di una persona a me vicina rivelatisi, per fortuna, non gravi. E ho capito meglio quello che avrei dovuto capire anche stando a casa, ma accade di rado: quale è il senso del Natale, il senso di ogni festa. Ringraziare. Per la nascita, nel caso del Natale: di Qualcuno in particolare, per chi ci crede; e della nostra, dopo tutto. Ma in realtà per tutte le nostre ri-nascite, nel caso di tutte le feste.
Ringraziare che siamo al mondo, tanto per cominciare. Ringraziare che c’è un mondo, di cui siamo parte. Un mondo, anche, che si prende cura di noi, persino non conoscendoci, pur non avendo contezza di chi siamo – a prescindere, per così dire. Un mondo, nel caso di specie, di giovani dottoresse e infermieri indaffarati, un’istituzione e un’organizzazione, che è lì per occuparsi di noi: che mentre gli altri fanno festa in famiglia – tra un vecchio che ha passato il Natale da solo, bevendo troppo vino scadente, e ora si lamenta contro tutti pisciandosi addosso, un ragazzo incidentato senza colpa, un tossico abituale a cui non si riesce nemmeno a trovare, nelle vene, un posto dove introdurre un ago per una volta benefico, un’anziana anonima portata in ambulanza per un male più immaginario che reale, o forse più interiore che fisico, e riportata dopo un paio d’ore a casa con la stessa ambulanza e gli stessi volontari, un senza fissa dimora che approfitta per un poco del caldo della sala d’aspetto – comunque c’è, con le sue difficoltà ma c’è, ti fa gli esami del caso, anche quando non può veramente curarti, si prende cura di te, anche se non ha un legame affettivo con te. Di solito ne parliamo quando c’è un problema, di questo mondo: una lista d’attesa troppo lunga, un caso di malasanità. Ma c’è anche il resto, il quotidiano, per il quale dovremmo ringraziare. Anche chi questo sistema l’ha pensato. La politica buona, mi verrebbe da dire, di cui non parliamo quasi mai, sovrastati come siamo dalla notiziabilità – che ci appassiona più del dovuto – di quella cattiva.
Ringraziare che insieme a questo mondo, a questa istituzione, ce ne sono altre. La tanto bistrattata istruzione, per esempio, fatta anche lei di qualche parassita e di molti protagonisti silenti che cercano di fare il proprio meglio. Non eroi: troppa retorica, troppa enfasi. Ma persone (possiamo dire impiegati dei fini alti della società, burocrati dei valori collettivi, sottoposti di quel che ci tiene insieme?), che ci sono e fanno andare avanti le cose, nonostante tutto, e spesso nonostante noi e nonostante i loro stessi difetti e quelli delle organizzazioni per cui lavorano.
Ringraziare per tutti gli altri testimoni silenziosi dell’essere società, del creare tessuto collettivo, senza secondi o terzi fini, semplicemente facendolo, ognuno nel proprio ruolo, seguendo anche, oltre ai propri egoistici interessi (una parola bella e sottovalutata: inter-esse, esistere fra, stare con, partecipare, fare società senza saperlo), anche un qualche tipo di senso del dovere, forse persino di appartenenza a qualcosa di più alto, largo e numeroso di noi stessi e della nostra ristretta cerchia di relazioni.
Ringraziare, infine, per le feste stesse. Che ci ricordano di fare pausa. E che il senso della vita non sta nel correre di qua e di là, ma precisamente nel fermarsi (o nel sano, ciclico alternarsi tra l’una e l’altra cosa), nell’assaporare gli interstizi della vita come momenti significativi, dirimenti, spesso illuminanti. Godendosela di più, persino nel dolore e nella difficoltà. Perché c’è vita, c’è gente, e c’è mondo. E, di questo, non saremo mai grati abbastanza.
Il senso delle feste, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 27 dicembre 2022, editoriale, p.1