Economia, demografia, immigrazione. Il legame dimenticato.

Gli indicatori economici, mediamente, da diversi mesi hanno virato al bello. Non fosse per il faticoso reperimento di materie prime, o gli alti costi dell’energia, potremmo immaginare un futuro, a breve termine, relativamente radioso, anche grazie alla messa in sicurezza delle più alte cariche dello stato, che possono quindi garantire stabilità e affidabilità all’estero. Ma c’è un altro fattore, banale, che potrebbe rallentare pesantemente la corsa: il più ovvio e il meno considerato – la demografia.

La forza lavoro, la componente di popolazione tra i 15 e i 64 anni, scenderà nei prossimi trent’anni, nello scenario più probabile, dal 63,8% al 53,3%. In pratica, la forza lavoro passerebbe dal rappresentare i due terzi della popolazione, al rappresentarne la metà. Anche gli scenari a più breve termine sono tuttavia inquietanti. Diamoci un orizzonte men che decennale: i dati demografici sono comunque impietosi nella loro inesorabilità, dato che si tratta di dati oggettivi e incontestabili, e non di stime. Proiettando il fabbisogno di manodopera del periodo 2012-2020 al periodo 2022-2030 – come è stato fatto in una simulazione dell’Istituto Cattaneo condotta da Chiara Gargiulo e Gianpiero Dalla Zuanna – scopriamo, con certezza, che nel solo Centro-Nord il numero di occupati (nell’età 15-64 anni) calerà di oltre un milione e duecentomila unità. Per far capire cosa significa, traduco i numeri su uno scenario regionale: per il solo Veneto potrebbe significare oltre centocinquantamila lavoratori in meno, concentrati soprattutto nella fascia con il minore livello di istruzione, che è precisamente quella meno appetibile per i ragazzi (italiani e figli di immigrati) che entrano nel mercato del lavoro, in grande maggioranza, con un livello di istruzione elevato. Ci sarà dunque un vuoto occupazionale cospicuo, che le coorti più giovani non riusciranno a colmare. Un vuoto che non potrà essere compensato dagli immigrati dal Sud perché, seppure in misura minore, per quel livello di istruzione il deficit si presenterà anche nel meridione.

Su un orizzonte appena più lungo, per dirla con un numero anziché una percentuale: nei prossimi vent’anni la forza lavoro diminuirà di 6,8 milioni di persone, i pensionati aumenteranno di 6,6 milioni – una forbice inesorabile. In prospettiva il rapporto lavoratori attivi/pensionati, attualmente di 3 a 2, diverrebbe di 1 a 1 (il Fondo Monetario Internazionale sostiene che ci arriveremo al più tardi nel 2045, altre fonti anche prima): non solo insostenibile economicamente e dal punto di vista previdenziale, ma inimmaginabile nelle sue conseguenze sociali, culturali e relazionali. E dell’idea di mondo dominante, da parte di una quasi maggioranza di persone che avrebbe più passato che futuro.

Di fronte a questi scenari, gli imprenditori, che anche senza maneggiare i dati demografici sono consapevoli del problema perché già lo sperimentano nella difficoltà di reperimento della manodopera, hanno più volte lanciato l’allarme. La politica, invece – ma, più in generale, la classe dirigente, ai suoi diversi livelli – continua a rimanere silente: la prima perché non vuole abbandonare la rendita di posizione inerziale di chi per anni (per decenni, ormai) ha lucrato un comodo voto d’opinione e dunque una cospicua rendita politica nel “dagli all’immigrato”, soffiando sul fuoco del pregiudizio quando non di un esplicito anche se strisciante razzismo; la seconda, forse, per non scomodare i propri, di pregiudizi, e per non doversi porre il problema di trovare soluzioni meno semplicistiche a problemi che sono complessi.

Da qui, tuttavia, bisognerà partire, per dare un orizzonte ai territori, e più complessivamente al paese. Forse giova ricordarlo: in un’azienda, se non ci sono gli operai, saltano anche i livelli superiori – il che vuol dire che immigrati in meno significherebbe disoccupati italiani in più, e più emigranti, non meno. Qualche riflessione bisognerà pur farla. E senza aspettare troppo. L’orizzonte, come abbiamo visto, è breve.

 

Economia, il fattore migranti, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 11 febbraio 2022, editoriale, p.1