Superare gli Accordi di Dublino? L’iniziativa dell’Europa

L’annuncio di Ursula von der Leyen, durante il suo solenne discorso davanti al Parlamento Europeo, di voler rivedere gli Accordi di Dublino, anticipando a settimana prossima la presentazione del Migration Pact, è di quelli che dovrebbe far discutere, e gioire, la politica e l’opinione pubblica italiana. Finalmente si parla seriamente del tema più divisivo che ha attraversato l’Europa (e l’Italia) in anni recenti, e il più pavidamente affrontato fino ad ora: non dal Parlamento Europeo, eletto dai cittadini, che su questi temi ha lavorato, ma dalla Commissione, espressione dei governi nazionali, e delle loro agende politiche interne, e quindi meno interessati alla soluzione complessiva dei problemi.

In gioco c’è il nuovo sistema di governance dei flussi migratori. Gli Accordi di Dublino sono infatti quelli che prevedono che della gestione di un richiedente asilo si debba obbligatoriamente occupare il paese di primo approdo. Non ci vuole un genio per capire che questa normativa penalizza soprattutto i paesi costieri (Italia, Spagna e Grecia, ma anche Malta e Cipro), pur riguardando persone che in grande maggioranza vorrebbero andare in altri paesi europei, dove c’è pure maggior bisogno di manodopera.

In pratica significa occuparsi della redistribuzione di chi viene salvato in mare: che dovrebbe avvenire già prima dello sbarco, e diventare equa, obbligatoria, e con sanzioni per chi rifiuta di accettare le sue quote di migranti (questo quello che chiedono i paesi costieri). Ma, soprattutto, dovrebbe riguardare non solo chi richiede formalmente asilo, ma anche i migranti economici, che sono di fatto la maggior parte.

Non aspettiamoci soluzioni miracolistiche. Il diavolo come noto sta nei dettagli, e le resistenze sono molte. Ma intanto l’Europa batte un sonoro colpo su una questione sulla quale, fino alle ultime elezioni europee (se i partiti sovranisti avessero avuto più successo), aveva rischiato di naufragare, dando il colpo di grazia all’intero processo di unificazione. E soprattutto ammette che la prassi adottata fino ad ora è non solo iniqua, ma anche gravemente inefficiente: sono più i costi che i vantaggi.

Fatto questo primo non facile passo, occorre guardare altrove. Non si risolvono i problemi dell’immigrazione pensando solo agli sbarchi: dagli accordi con i paesi di partenza ai rimpatri assistiti e non, passando per il pattugliamento delle coste mediterranee e le politiche di integrazione e cittadinanza, è tutto un insieme di politiche tra loro strettamente collegate che va affrontato. Collegandosi anche ad altre cruciali questioni: non ultima, l’andamento demografico fortemente divergente di Europa e Africa, che vede da noi un saldo negativo tra morti e nati, un invecchiamento drammatico della popolazione, e un calo significativo della popolazione attiva, e dall’altra parte una pressione che, se non regolata, rischia di diventare un serissimo problema geopolitico, non solo sociale.

Occorre quindi regolamentare i flussi legali: facendo in modo che le regole le faccia la Commissione (non i singoli governi), e non più i trafficanti (che fanno anche la selezione e il prezzo), come avvenuto finora. Per delega, forse inconsapevole ma non innocente, proprio dei governi e dell’Europa, che si erano illusi di risolvere il problema non occupandosene più, con una chiusura delle frontiere per l’appunto illusoria e quindi inefficace. Il che significa corridoi umanitari per i rifugiati, da una parte, e ingressi legali, controllati e contingentati per i migranti economici, dall’altra.

Von der Leyen si è sbilanciata fino ad auspicare “un’Unione Europea antirazzista”. Senza scomodare i valori, ci accontenteremmo di un’Unione onesta nell’analisi dei problemi e ragionevole nella ricerca di soluzioni.

 

Dimenticando Dublino. Migranti, cancellare il trattato non è sufficiente, in “la Repubblica”, 19 settembre 2020, p. 26