Scuola e Covid-19: quel che si è fatto, quel che si può fare (intanto, usare la TV)

Tra le vittime del coronavirus c’è la scuola: e il diritto all’istruzione, per molti. La chiusura delle scuole non incide su tutti allo stesso modo. Intanto, perché non tutte le scuole si sono attivate, o hanno reagito a livelli sufficienti. Ci sono istituti che hanno risposto immediatamente e con professionalità, altri molto meno, o solo alcuni insegnanti, o alcune classi, con differenze enormi anche all’interno della stessa scuola. Tutto, o comunque troppo, è basato sulla buona volontà e l’autonoma capacità di insegnanti e dirigenti scolastici, che non è presente in maniera ugualitaria o almeno decentemente bilanciata: chi è capace si attiva, chi non è capace resta al palo (e, peraltro, in termini di strumentazione e di connessione, tutto è a carico dei docenti). Questo sul lato dell’emittente, per così dire.
Sul lato del ricevente le cose stanno ancora peggio. C’è chi proviene da famiglie ricche di stimoli culturali, con libri in casa, e la capacità di seguire e pungolare i figli nelle loro attività didattiche. Chi invece non ha questa possibilità, o ha problemi materiali, peraltro diffusi. Non tutti hanno il pc in casa, o ne hanno uno solo anche per i genitori che lo usano per lavoro, comunicazioni con i parenti, acquisti online, informazione su quel che succede. O abitano in zone – molte – dove la connessione è scadente (e qui paghiamo la mancanza di investimenti in infrastrutture digitali). O non hanno il wi-fi in casa. O hanno abbonamenti telefonici che a loro volta hanno un costo che non tutti si possono permettere.
Queste disuguaglianze peseranno sul futuro degli studenti. Alla fine si sarà generosi nelle promozioni (lo si è già detto anticipatamente – sbagliando clamorosamente pedagogia: di fatto incoraggiando chi non lavora), ma molti finiranno l’anno scolastico con buchi enormi sui programmi, che si pagheranno negli anni successivi, soprattutto per chi passa da un livello scolastico all’altro (dalle elementari alle medie, o dalle medie alle superiori).
L’offerta organizzata centralmente dal ministero dell’istruzione è colpevolmente modesta. Se si va sulla pagina istituzionale si trova qualcosa, ma non abbastanza: alcune esperienze attivate sul territorio, le piattaforme utilizzabili, i link ai contenuti di istituzioni importanti come la Treccani o la RAI (Raiplay ha molti materiali preziosi, ma non delle vere lezioni). I TG fanno riferimento alle pagine you tube di questo o quel docente particolarmente smart. Ma è sufficiente? La risposta è ovviamente un secco no: insegnanti e studenti si meritano di più, e ne hanno diritto.
L’unico strumento veramente a disposizione di (quasi) tutti è la TV. Forse occorrerebbe mobilitarla, ‘sequestrandone’, per così dire, almeno un paio di canali generalisti almeno la mattina (ci si accorgerebbe che non è una gran perdita: non se ne può più di metadibattiti su questa o quella dichiarazione, ripetitivi e ansiogeni), oltre a quelli specialistici, come RAI Cultura: facendone, provvisoriamente, dei contenitori di lezioni a ciclo continuo, almeno per la scuola dell’obbligo. Poi, chi ha di meglio, magari la propria scuola attiva e reattiva, bene. Ma per quelli che non hanno tutto questo potrebbe essere uno strumento prezioso e non particolarmente costoso. Non limitandosi a pescare dal repertorio documentaristico dei magazzini RAI, ma inventando giorno per giorno programmi attualizzati, legando in percorsi originali lezioni preparate ex novo e materiale d’archivio come documentari e cartoni animati educativi. A rischio di improvvisare un po’, o di appoggiarsi alle esperienze di base già attivate da qualche docente più tecnologicamente preparato, o avendo l’umiltà di tradurre quanto di buono hanno TV con una tradizione educativa molto lunga, come la BBC. L’hanno fatto paesi più piccoli e con meno risorse del nostro. Perché noi no? Servono davvero di più, oggi, le reti ammiraglie, così come sono? Si potrebbe così costituire un deposito di materiali utili anche per il futuro. E sarebbe oltre tutto un segnale molto forte che ci si attiva, e che davvero non si vuole lasciare indietro nessuno. L’hashtag #lascuolanonsiferma (come quello #andràtuttobene e altri che stiamo partorendo in questi giorni) sarà anche suggestivo e consolatorio, ma non è risolutivo.
Lezioni (anche) alla tivù, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 28 marzo 2020, editoriale, p.1