Le emozioni al tempo del Coronavirus

Non sono solo i luoghi dell’arte, della cultura e del divertimento chiusi, o a scartamento ridotto, le strade quasi deserte (ieri ero a Roma, per l’ultima conferenza dal vivo di questo periodo: meravigliosa senza quasi traffico…). Non è solo che vediamo meno gente. E’ che ci sta proprio cambiando la socialità, questo signore dal nickname innocuo: Covid-19. Ne cambia le forme: ma incidendo profondamente sui suoi contenuti.
Tutti noi abbiamo cominciato a salutarci a distanza, senza stringerci più la mano, magari – per sdrammatizzare – facendo una battuta sul rispetto delle normative imposte dal governo. Andiamo in meno posti, vediamo meno gente, stiamo a distanza di sicurezza, entriamo in apnea se appena dobbiamo incrociare degli sconosciuti, ci giriamo se per caso starnutiscono, apriamo senza parere la finestra se qualche collega tossisce, ci laviamo ossessivamente le mani, facciamo un uso compulsivo di amuchina e salviette disinfettanti. Tutto questo durerà più dell’emergenza. Come altre cose. Oggi ho presieduto la prima commissione di laurea telematica. Da lunedì inizierò a videoregistrare le lezioni. Questi cambiamenti non passeranno senza lasciare traccia. E non è detto che ciò sia male, necessariamente. Ma c’è ancora di più. E riguarda i nostri sentimenti più profondi. E i momenti estremi della nostra vita: la nascita e la morte. Della prima, e dell’amore, vedremo. Misurando tra nove mesi l’andamento delle nascite: se diminuito per il crollo delle occasioni di incontro, o aumentato a seguito di una nuova e in qualche modo obbligata tenerezza domestica.
Della seconda, posso dire in prima persona. Stamane è morta mia madre, quasi centenaria, nella capitale economica d’Italia. Nell’epoca del Coronavirus, ma non di Coronavirus. Non potrò accompagnarla, come in altri momenti io e la mia famiglia avremmo fatto. Niente visite. Una sola persona ammessa in camera mortuaria. Niente funerale nell’istituto che l’ha ospitata per anni (niente pericolosi visitatori, in una struttura per anziani a rischio). Trovata una chiesa lì vicino, sconosciuta: dove andremo in pochi, i familiari stretti. Se ci sarà qualcun altro, sarà a rispettosa distanza. Niente abbracci, presumo. Pericolosissime le lacrime. Niente annunci sul giornale per avvisare dove sarà il funerale: non potremmo far entrare le persone. Sappiamo già – sta già accadendo – che l’ammissione al cimitero sarà contingentata. Solo pochi, alla sepoltura: gli altri i giorni successivi, alla spicciolata. L’elaborazione del lutto, neanche lei, sarà più collettiva: ma individuale, a distanza, a quel punto in silenzio. Solo le lacrime saranno ammesse: non disturberanno nessuno, rigando solo le guance di chi le piange. Ecco, questo è un cambiamento significativo. Ridere lo si farà meno: perché di solito si ride in compagnia. Piangere, potremo farlo lo stesso, perché si può fare anche, e forse meglio, da soli. Non è detto che ne venga fuori una società più triste. Potrebbe essere l’occasione di far maturare persone più consapevoli. Nel caso, sarebbe un guadagno.
Il lutto al tempo del virus, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 7 marzo 2020, editoriale, p.1