Coronavirus: la nuova distopia

Fosse un romanzo di fantascienza, potrebbe essere esattamente così: come la distopia sociale che stiamo vivendo, l’utopia negativa che stiamo costruendo proprio in questi giorni con le nostre mani. Del resto, è un classico, come topos letterario e cinematografico: il pericolo sconosciuto, le relazioni sociali che di conseguenza diminuiscono, la paura che dilaga in maniera irrazionale, la chiusura nei bunker (ma anche la ricerca del capro espiatorio, il potere concentrato in poche mani, totalitario nelle sue logiche restrittive…).
Senza accorgercene, è quello che ci sta accadendo (e non dico che non sia giusto, o che sia inopportuno: mi limito a constatarne gli effetti). La paura è il primo necessario elemento distopico: di qualcosa di alieno, di non conosciuto, possibilmente incarnato in qualcuno che non è “noi”, non appartiene al nostro gruppo, viene da lontano, da fuori. Se ne sa poco, forse non è neanche così pericoloso: si muore molto di più per incidenti stradali, cirrosi epatica o droga, per quel che ne sappiamo fino ad ora – ma non accetteremmo mai di subire gli stessi divieti per combattere contro di essi. La paura ci spinge a chiuderci in noi stessi, letteralmente. Chiudono i luoghi e le occasioni del divertimento, si sospendono carnevali ed eventi sportivi, rassegne musicali e spettacoli teatrali, e persino messe (mentre in altre epoche, per lo stesso motivo, se ne sarebbero celebrate): anche se le discoteche riducono gli orari molto dopo che si è decisa la sospensione degli esami universitari, dando una chiara idea delle priorità sociali. Poi, progressivamente, scuole e uffici riducono o sospendono le attività: invitando al lavoro da casa e allo smart working (e ci si domanda, se è così smart, perché non lo si pratica più spesso). Collegato a tutto questo, il panico morale, l’ossessione di una informazione drogata e ridondante: soprattutto quella televisiva, in gran parte inutile quando non dannosa, eppure onnipresente e pervasiva, che ti costringe a concentrarti solo su questo (mentre quella seria, utilmente informativa, occupa una parte minima dei palinsesti, e più spazio sui giornali). Da cui, logicamente per quanto irrazionalmente, gli assalti ai supermercati e la caccia agli untori o presunti tali, che diventano a loro volta notizie che alimentano il circuito. Segue, necessariamente, la chiusura in casa, le relazioni sociali ridotte al minimo (a quelle irriducibili, come la famiglia), la vita via remoto, il contatto solo attraverso i media elettronici, che acquistano ulteriore centralità. La politica, che da anni ha favorito questa dinamica allarmista e genericista, ignorante e disinformata, non poteva che contribuire a questo rumore di fondo, enfatizzandolo a sua volta, tra impreparazione e lamentazione, ordinanze discutibili e commenti estemporanei.
In compenso qualcuno, più attento, scopre che la maggior parte delle nostre attività e delle nostre modalità di relazione è, letteralmente, inutile, al punto che possiamo farne a meno senza particolare sofferenza. E, anzi, un po’ di digiuno ci fa bene, aiutandoci forse a ritrovare l’essenziale in un mare di superfluo. Scopriremo tra non molto il costo di tutto questo in termini di calo del PIL e impoverimento complessivo: ci sono già oggi i segnali di un rallentamento disastroso, cui seguiranno licenziamenti e ridimensionamenti. Ma ce ne accorgeremo solo tra un po’, quindi per ora si parla d’altro.
Portati i comportamenti attuali all’estremo, potremmo immaginare di finire tutti quanti impoveriti di beni e relazioni nei nostri bunker sotterranei, impedendo l’ingresso agli estranei (i divieti di accesso ai cinesi, e oggi ai lombardo-veneti, sono precisamente questo) ma anche le uscite. Magari finendo per scoprire – anche questo, dopo tutto, un classico del genere distopico – che invece, là fuori, una classe privilegiata al potere si diverte e si gode tutte le risorse, dopo aver scientemente veicolato a una popolazione ignara l’idea del pericolo, per ridurla in povertà e sottomissione.
Le vie d’uscita? Nel filone letterario o cinematografico delle distopie quella più classica sarebbe quella di un manipolo di giovani eroi che scopre l’inganno, si ribella, combatte il potere e lo vince. Speriamo di vivere sufficientemente a lungo…
La distopia sociale, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 25 febbraio 2020, editoriale, p.1