La scuola inutile. Cambiare il calendario scolastico per aiutare il turismo?
Il solo fatto che a qualcuno possa essere venuto in mente, a fronte del boom del turismo in Veneto e altrove che, a seguito del cambiamento climatico, ne sta facendo allungare la stagione, di posporre l’inizio delle scuole di qualche settimana, ci mostra quanto la scuola stessa continui a essere considerata, da una parte significativa del nostro paese, più come una specie di fastidio che come un’opportunità da cogliere e potenziare. E comunque, sempre, una variabile dipendente anziché uno dei cardini su cui costruire un nuovo modello di paese.
È un po’ come proporre quello che, in scala minore e per motivi assai meno drammatici, è successo ai tempi del Covid: quando la scuola è sempre stata la prima a chiudere e l’ultima a riaprire, essendo considerata meno essenziale di altri servizi. Con le drammatiche conseguenze che le generazioni che sono passate in mezzo a quella temperie ai tempi della loro formazione e istruzione stanno pagando adesso, in termini relazionali e cognitivi, tra bisogno di terapie psicologiche, serissime carenze in termini di contenuti che fanno sentire il loro peso negli anni successivi, e talvolta gravi disturbi della personalità.
Il fatto che la proposta, da alcuni attori economici del comparto turistico-alberghiero in particolare, venga reiterata praticamente ogni anno, dà pure l’idea che ci credono proprio, e sono convinti della bontà dell’idea, quasi fosse una geniale trovata per rendere più produttiva la loro gallina dalle uova d’oro. Peccato che vada contro gli interessi di tutti gli altri, e in particolare delle famiglie (di tutte le famiglie: anche dei loro dipendenti), che non saprebbero cosa fare con i loro figli. E questo anche se si trattasse solo di parcheggiarli: che, come noto, non dovrebbe essere la funzione principale della scuola. Il tutto per andare incontro a una maggiore presenza, per giunta, soprattutto di turisti stranieri.
Rimodulare l’anno scolastico andrebbe anche bene, intendiamoci. Ma semmai andrebbe fatto esattamente nella direzione opposta: meno vacanze, meno lunghe in estate, e piuttosto con periodi più lunghi di vacanza durante il resto dell’anno (come accade peraltro nella maggior parte dei paesi civili con cui ci confrontiamo), e scuola aperte agli studenti – e perché no, alla cittadinanza – per attività sociali, sportive e di recupero anche nelle fasce pomeridiane e durante le vacanze.
Ugualmente, andrebbe bene anche una certa capacità di adeguamento del sistema-paese ai cambiamenti in atto, con forme di flessibilità, rapidità decisionale e mutamento organizzativo, che sarebbero certo auspicabili: ma non ci sembra che sia la scuola il primo imputato di lentezza e incapacità. E semmai dovremmo rivolgerci a tante altre amministrazioni, burocrazie e politiche. E anche imprese. Agli operatori del turismo, che vantano (e lucrano su) record di presenze che continuano a crescere (non necessariamente per la loro abilità personale, ma perché nel mondo continua a crescere il numero di persone in grado di pagarsi delle vacanze), magari qualche riflessione comparativa potrebbe essere utile: sui tassi di fidelizzazione dei turisti, che probabilmente dice qualcosa sul servizio ricevuto nel corso della prima visita, o sui tassi di crescita di altre zone comparabili in altri paesi. Ciò che dovrebbe forse far riflettere invece sul bisogno di scuola e formazione, e conseguente professionalità, del comparto nel suo complesso: e sulla necessità di investire su personale ben formato, pagato di più e trattato meglio.
Semmai bisogna investire sulla scuola e l’istruzione nel suo complesso, visto che siamo un paese che investe circa un punto di PIL meno della media degli altri paesi europei, ha tassi di abbandono scolastico elevatissimi, la metà dei laureati della media europea (la metà!), e il doppio esatto di analfabetismo funzionale (il doppio! Il 30% contro il 15% dei nostri partner comunitari). Investendo, magari, anche strutturalmente. In settembre fa più caldo per tutti, e quindi anche per gli studenti. E, peraltro, fa più caldo anche in giugno, e quindi allungare il calendario scolastico in quel periodo non sarebbe una gran trovata. Magari pensare di investire, banalmente, in aria condizionata?
Dopodiché, forse, oltre che ragionare sulle opportunità turistiche del cambiamento climatico e dell’innalzamento delle temperature globali, potrebbe essere utile ragionare sui loro costi. E investire per contrastarli. Uno dei compiti in cui potrebbe essere utile un maggiore investimento sul sapere critico che propone la scuola.
Le richieste del turismo. Come cambiare il calendario, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 1 settembre 2024, editoriale, p.1-5