Immigrazione: un'agenda per il governo

Il nuovo governo c’è. Il nuovo ministro dell’Interno anche. E già questo rappresenta un cambiamento importante: non solo di stile, ma di sostanza. Il ministro Matteo Salvini era un leader di partito, impegnato in una campagna elettorale permanente alle cui esigenze ha piegato il suo ruolo istituzionale, che attraverso un uso massiccio dei media tradizionali e dei social aveva l’obiettivo di fomentare i conflitti e le contrapposizioni con gli immigrati al fine di lucrare la visibilità e il consenso che questo gli portava: riuscendoci, visto che il consenso alla Lega e a lui personalmente è raddoppiato in poco più di anno, in gran parte grazie alla sua sovraesposizione sul tema. La ministra Luciana Lamorgese è un tecnico, un prefetto senza precedenti incarichi di partito (anche se con ruoli delicatamente politici alle spalle), nessuna agenda ideologica da difendere, e un atteggiamento problem solving, da persona abituata – per mestiere prima che per vocazione politica – a risolvere i conflitti e a sopire le contrapposizioni. Un passo avanti importante, imprescindibile per una svolta nelle politiche. Che è già visibile nella gestione degli sbarchi e nell’atteggiamento verso i partner europei: collaborativo e non confliggente, presente laddove si formano i processi decisionali (a cominciare dai vertici europei), anziché assente e pregiudizialmente critico. Ma la svolta, per essere visibile, e soprattutto all’altezza delle sfide, dovrà sostanziarsi in politiche radicalmente diverse: in Italia come in Europa. Continua a leggere

Un mondo senza dolore? La società analgesica

Una società anestetica, analgesica. Che non vuole più provare dolore. Che non vuole più confrontarsi con la malattia. Siamo disposti a molto, forse a tutto, pur di raggiungere questo obiettivo. E ci stiamo riuscendo. Continua a leggere

Votare a 16 anni. Perché avrebbe senso, perché non si farà.

Quello sul voto ai sedicenni è un dibattito che ha una sua ciclicità: ogni tanto qualcuno lo tira fuori, se ne parla per un po’, poi tutto finisce in nulla. Siamo pronti a scommettere che accadrà così anche stavolta. Ma, intanto, ri-poniamoci il problema. Che, oggi, effettivamente è più d’attualità che in passato. Non, come credono in molti, perché abbiamo visto i giovani manifestare. Quello è un effetto ottico, distorcente, dovuto alla vicinanza degli eventi. Li abbiamo visti oggi, ma non ieri, e non li vedremo necessariamente domani: anche il loro impegno è ciclico. Nemmeno perché, apparentemente, stavolta erano molti: la stragrande maggioranza dei loro coetanei, come sempre accade, non c’era, e non era interessata ad esserci. Ma perché i giovani sono sempre meno, soprattutto sono molti meno degli anziani: e questa è davvero una svolta senza precedenti storici, che deve farci riflettere sulle sue implicazioni. Sta qui la vera ragione di una riflessione seria sul voto ai più giovani.
Spesso il dibattito ruota sul livello di maturità e di consapevolezza dei sedicenni. Problema mal posto: soprattutto se andassimo a misurare la maturità degli ultra-sedicenni, e a maggior ragione degli anziani, il cui contatto col mondo è spesso mediato solo dalla televisione, che costituisce il piatto unico della dieta informativa di molti. Ne sanno più dei giovani, di politica? Hanno più mezzi per comprendere? In un paese dove gli analfabeti di ritorno sono un numero impressionante, e dove quasi la metà degli adulti non è in grado di comprendere una percentuale, forse puntare sugli individui in corso di alfabetizzazione potrebbe non essere così sciocco. Anche perché i sedicenni di oggi hanno comunque un livello di istruzione più elevato della media dei pensionati, in gran parte fermatisi alla terza media. Se il criterio è la “qualità” del voto, se votano i secondi, non si capisce perché non dovrebbero votare i primi.
Il dibattito sul voto ai sedicenni ne porta quindi con sé uno ulteriore, e più importante: quello del voto consapevole. E qui la determinante non è l’età: non a caso più d’uno ha proposto di consentire l’esercizio del diritto di voto solo a chi ha un minimo di conoscenze su ciò per cui vota. Una specie di minimale esame di educazione civica, di patente. Dibattito con un suo fondamento, e rilevante di principio, perché ha a che fare non solo con la democrazia formale, ma con la democrazia sostanziale: la capacità di “essere” e di “fare” democrazia, non solo l’esercizio del diritto di voto. Che, da solo, non garantisce la democrazia.
Un’altra implicazione di rilievo riguarda il collegamento con altri diritti e doveri, con i quali avrebbe senso ipotizzare una coerenza – o tutti a sedici o tutti a diciotto anni. Se a sedici anni si avesse la possibilità di votare, non si capisce perché non si dovrebbe essere pienamente responsabili del proprio comportamento dal punto di vista giuridico, sul piano civile e penale. Ciò che riguarda anche la possibilità di guidare, di acquistare alcolici, di aprire una partita Iva o donare i propri organi.
Quello più rilevante è comunque il problema del numero: che rischia di distorcere i fondamenti della democrazia. Con lo spettacolare allungamento dell’aspettativa di vita, e il contestuale crollo delle nascite, gli anziani dominano numericamente sui giovani. Avendo i partiti bisogno di consensi, è inevitabile che corteggino il voto anziano più di quello giovanile, e approvino leggi a favore degli anziani più che non dei giovani (le pensioni sono l’esempio più noto). Producendo crescenti diseguaglianze nei confronti della popolazione giovanile. Tanto che qualcuno si è spinto a proporre un voto ponderato: ovvero che quello dei giovani, che hanno più futuro davanti, valga proporzionalmente di più di quello degli anziani. Dibattito, anche questo, con un suo importante fondamento di principio: che potrebbe peraltro implicare anche un termine finale, non solo un limite iniziale, all’esercizio del diritto di voto. Ma, tanto, non se ne farà nulla. Fino al prossimo dibattito.
Sedicenni, il voto e i doveri, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto” e “Corriere del Trentino”, 3 ottobre 2019, editoriale, p.1

PD, Renzi, Calenda, Salvini: cambiamenti nella politica nazionale, effetti in Veneto

Lo scenario elettorale del Veneto, in prospettiva delle elezioni regionali del 2020, vede come protagonista, sempre più, la politica nazionale. Continua a leggere

RICOMPOSIZIONE – Un nuovo paesaggio nel fronte progressista

RICOMPOSIZIONE
Un nuovo paesaggio nel fronte progressista





Il nucleo di questo testo risale a oltre un anno fa: non è dunque figlio delle contingenze, ma frutto di una riflessione di lungo periodo (in parte uscita in articoli scritti all’epoca delle polemiche sulla presenza della delegazione PD al funerale delle vittime del crollo del ponte Morandi). Il resto ha circolato in gruppi ristretti a inizio 2019. Il primo paragrafo (ultimo in ordine di scrittura) è successivo alla presentazione del nuovo governo. I nomi propri dei protagonisti (persone e partiti) di una possibile diversa configurazione del fronte progressista, presenti nell’ultimo paragrafo, sono aggiunte dell’ultima ora…
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La Germania e noi: l'ambiguo rapporto veneto-tedesco

Siamo ambivalenti, con loro. Certo, li ammiriamo. Se ci dicono che la nostra manifattura è seconda solo alla Germania, e lo è, siamo contenti: è un complimento. Se paragonano il Veneto alla Baviera gongoliamo. Li ricordiamo con commozione e con invidia quando abbiamo a che fare con la nostra burocrazia. Sogniamo nottetempo il loro welfare. Facciamo cenni rispettosi e ostentati alla loro efficienza, alla pulizia, all’organizzazione: già anche solo quando attraversiamo la linea di confine tra la provincia di Trento e quella di Bolzano. E giù confronti impietosi: per noi – al limite dell’autoflagellazione. Continua a leggere

Il suicidio di Salvini, il nuovo governo, e qualche possibile scenario veneto

Non è solo un nuovo governo: è un nuovo quadro politico, quello che si sta delineando. E una nuova stagione: che potrà avere effetti fino a ieri inimmaginabili anche a livello regionale e locale. Continua a leggere

"Effetto domino", una parabola del Nordest

La mostra del cinema di Venezia parla veneto. Letteralmente. Con la presentazione del film di Alessandro Rossetto “Effetto domino”, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore padovano Romolo Bugaro, in cui si ricostruisce una sorta di epopea veneta, raccontata attraverso i suoi miti, i suoi (non) luoghi, la sua lingua. Continua a leggere

La diversità che non sappiamo gestire

Non sono eventi epocali: sono il basso continuo della nostra vita sociale. Non sono i grandi problemi che decidono le sorti del paese: sono i piccoli problemi quotidiani, che però forse ne decidono l’anima. Perché ce li ritroviamo accanto, sempre più spesso, ci riguardano tutti, e ci mettono di fronte a dilemmi – morali prima che culturali, culturali prima che sociali, e sociali prima che politici – che porteremo con noi a lungo. Di cosa parliamo? Delle solite – ormai – notizie di polemiche e conflitti (non sempre solo verbali) su base etnica e razziale, o così interpretati. Vediamole, nella loro diversità che tuttavia le accomuna. Continua a leggere

La seconda casa e la democratizzazione della villeggiatura. Appunti sul 'modello Jesolo'

La casa di vacanza, o seconda casa, è un tòpos classico del neo-acquisito benessere. Bene-rifugio per eccellenza (dopo la prima casa, ovviamente), ha accompagnato tutti i piccoli e grandi boom economici della nostra storia. La villeggiatura – dopo essere stata a lungo un privilegio aristocratico e alto-borghese (i periodi passati in villa, appunto) – si è per così dire democratizzata, divenendo (in Italia: non allo stesso modo in altri paesi sviluppati) il rituale classico della ricomposizione familiare, il luogo dei suoi svaghi, della felicità (almeno tentata, alla peggio, recitata), delle sue noie, anche. Non a caso l’Italia è stata ed è tuttora uno dei paesi con il più alto numero di seconde case: che rappresentano, insieme alle prime, parte quasi sempre preponderante della ricchezza familiare – e, spesso, un investimento sbagliato, o almeno molto sotto-utilizzato. Fenomeno tipico soprattutto – in Europa – dei paesi meridionali, vede l’Italia, secondo stime diffuse, ai primi posti, con una percentuale superiore al 15% (è oltre il 30% in Grecia, ma solo poco più del 5% in Germania e in Olanda): il che significa che oltre un italiano su sei è proprietario di una seconda casa. Continua a leggere