Veneto: l’opposizione che non c’è

Anni fa, a un incontro informale con alcuni alti dirigenti del Partito Democratico, a domanda su cosa avrebbe potuto fare l’opposizione per vincere le elezioni in Veneto, un importante operatore culturale e fine osservatore delle vicende politiche regionali rispose: “Candidare Zaia”. Una battuta, certo. Che coglie l’importanza della figura di Luca Zaia come coagulo personale di un magma politico tutt’altro che omogeneo, che spazia tra una destra che in parte controlla e in parte lo controlla (mettendogli qualche bastone tra le ruote), e un mondo liberal che ha l’abilità di rappresentare, almeno sui temi etici e dei diritti civili (dei cittadini). Ma che coglie, soprattutto, l’assenza di alternative personali, e quel che è peggio politiche, al monocolore conservatore che ancora domina la regione, e ragionevolmente vincerà anche le prossime elezioni amministrative, seppure in un mare di astensionismo, il vero partito maggioritario, e anche la vera opposizione.

Questa peculiare, totale assenza di opposizione è la stupefacente caratteristica del centro-sinistra veneto. Eppure dovrebbe essere persino più facile. Poiché non hai alcuna possibilità reale di vincere, almeno nel breve periodo, tanto varrebbe farsi sentire, alzare la voce, dire qualcosa di sinistra purchessia, o semplicemente dire la qualunque, magari in maniera radicale, forte, provocatoria, tanto per farsi notare: questo per quel che riguarda la politica. Mentre per quel che riguarda la leadership sarebbe ragionevole aspettarsi di veder coltivare negli anni due o tre figure, magari dinamiche, magari giovani, capaci di emergere sopra l’invisibilità generale. Non è così, e lo si è visto in tutte le elezioni precedenti, in cui la principale forza di opposizione, il Partito Democratico, nelle sue varie incarnazioni, conscio dei propri limiti di leadership, ha sempre cercato un “papa straniero”, per lo più trovato all’ultimo momento, cui affidare il proprio destino. Un imprenditore, come nel caso di Massimo Carraro nel 2005 o di Giuseppe Bortolussi nel 2010, o addirittura il leader di una forza politica minore ma alleata, di fresca costituzione e incerta personalità, come nel caso di Arturo Lorenzoni nel 2020. Candidature che avevano in comune di non collegarsi strettamente alle forze politiche, di non creare continuità, e di non costituirsi nemmeno come leadership. Carraro, ex-vicepresidente di Confindustria Veneto, in precedenza eletto in Europa come indipendente per i Democratici di Sinistra, si dimise un anno dopo la sua elezione. Bortolussi, nella costernazione del PD, fin dal suo primo intervento come candidato mise in chiaro che non era iscritto a nessun partito, e si comportò di conseguenza dopo le elezioni, dedicandosi più alla sua creatura, la CGIA di Mestre, che alla crescita dell’opposizione. Lorenzoni, professore universitario prestato alla politica, è sparito quasi subito dai radar, non rappresentando l’opposizione, e nemmeno il movimento che l’aveva imposto come candidato presidente, passando al gruppo misto. In fondo non ha fatto eccezione nemmeno Alessandra Moretti, candidata presidente nel 2015 e lei sì esponente del principale partito di opposizione, la cui storia mostra eguale evanescenza in termini di leadership: entrata nel 2008 in consiglio comunale come capolista di una lista civica a Vicenza, portata a visibilità nazionale come giovane portavoce da Bersani nel 2012, eletta deputata nel 2013, mandata a Bruxelles come capolista alle elezioni europee nel 2014, candidata – saltando da un mandato all’altro – presidente regionale nel 2015, diventa capogruppo, ma è costretta a dimettersi dal ruolo per le frequenti assenze anche nelle cruciali sedute di discussione del bilancio, una volta dichiarandosi ammalata mentre dai social risultava in viaggio di piacere in India (verrà poi nuovamente mandata in Europa). L’ultimo politico vero (anche se atipico per interessi e verve) è stato insomma Massimo Cacciari nel 2000, un quarto di secolo fa: l’ultimo, anche, che mostrasse di avere un’idea e una visione del e sul Veneto.

Oggi la storia si ripete. A pochi mesi dalle elezioni il Partito Democratico non ha ancora un candidato, e non avendo figure forti all’interno è alla disperata ricerca di qualcuno che lo rappresenti, un giorno offrendo la candidatura alla biologa dell’università di Padova Antonella Viola (che ha rinunciato con un video sui social), un altro sondando l’ex-calciatore Aldo Serena (che ha ugualmente declinato), anche se nessuno sembra sapere chi li ha cercati, e a nome di chi. Con ciò mostrando che, se non si ha una politica, un’idea forte, una visione appunto, non si può avere neanche una leadership che la possa rappresentare, e la si cerca inutilmente altrove. Segno di una debolezza strutturale, e di un atteggiamento rinunciatario e privo di ambizione, se non già di una sconfitta quasi inconsapevolmente cercata.

 

Il centrosinistra veneto e l’assenza di opposizione, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 29 aprile 2025, editoriale, pp. 1-7