Se la Siria parla anche di noi
La Siria ci riguarda. Perché parla di noi. In questo tormentato angolo di Medio Oriente stanno accadendo avvenimenti epocali, che costituiscono una di quelle svolte cruciali che la storia ogni tanto si concede. Dopo oltre mezzo secolo cade, finalmente, una dittatura sanguinaria, tramandata di padre in figlio. Hafiz al-Assad è stato al potere dal 1970 al 2000, anno della sua morte, mentre il figlio Bashir gli è succeduto fino alla caduta, avvenuta nei giorni scorsi: più per una inevitabile erosione interna che per l’attacco dall’esterno. In totale, 54 anni (per capirci, quasi il triplo della durata del fascismo) di autoritarismo, violenze di stato, torture, repressione, scontri armati interni, guerre. Per giunta, in nome di nessun principio, che non fosse la mera conservazione di un potere assoluto, personale, nepotista, clientelare: e largamente aiutato, a fasi alterne, da diverse potenze, occidentali e non. In nome del dogma di una mal concepita stabilità dell’area, e perché si autodefiniva un potere laico, ispirato al partito Ba’ath, oppositore dei partiti religiosi.
La caduta di un dittatore come Assad dovrebbe essere un momento di gioia per tutti i democratici. E semmai potrebbe essere occasione di autocoscienza, anche rispetto alle nostre responsabilità e ai nostri errori. Perché per far cadere questa orrida caricatura del potere abbiamo dovuto aspettare gli islamisti, e i curdi? Perché noi non abbiamo dato loro una mano? Dove eravamo? Da quale altra parte guardavamo, per far finta di non vedere? Sarebbe, inoltre, il momento alto della consapevolezza, anche solo per mantenere la nostra sfera di influenza nell’area, mobilitando la diplomazia internazionale, preparando un piano di transizione, pianificando la ricostruzione e la pacificazione interna. Quale ruolo giocare? Quanto spendere, e come? Con chi allearsi? Invece no. Le cancellerie occidentali – il nostro governo incluso – hanno pensato, come prima misura (e simbolicamente è inquietante), solo e esclusivamente a bloccare l’esame delle richieste di asilo provenienti da cittadini siriani: o addirittura, come in Germania e altrove, hanno proposto di rispedire i siriani a casa loro. Proprio ora! Proprio ora che l’instabilità si manifesterà in tutte le sue forme, come in ogni dopoguerra. Proprio ora che si consumeranno le faide interne e le vendette personali. Proprio ora che i collaboratori del regime dovranno scappare (e non tutti sono corrotti approfittatori: alcuni sono persone qualsiasi, che non avevano alternative all’obbedienza). Proprio ora che le minoranze, etniche e religiose, rischiano grosso. Proprio ora, insomma, il nostro atteggiamento, invece di essere all’altezza dei tempi e delle sfide, e dei princìpi in cui dichiariamo di credere, è di chiusura, ingeneroso, meschinamente pensato ad uso degli slogan della politica interna, infimo dal punto di vista valoriale, persino tatticamente suicida dal punto di vista dei nostri interessi. Non stupisca se altrove, fuori dall’Occidente, ci considerano persone e governi dalla doppia morale, e non credono più nei valori di cui diciamo di essere portatori, senza praticarli, e nemmeno fare finta.
Non sappiamo come andrà a finire in Siria. Non sappiamo se il regime di Assad sarà sostituito da uno migliore o da uno ancora peggiore. Sappiamo già, però, che con il nostro gesto di chiusura, simbolicamente inguardabile, ci siamo giocati il nostro possibile ruolo e la nostra dignità. Per spiegare quanto sia indegno proviamo a immaginare lo scenario peggiore: l’instaurazione di un regime islamista che colpisce anche le minoranze religiose cristiane (qualche esempio minore di polizia morale si è già visto: donne a cui è stato chiesto di indossare l’hijab, le scuole cristiane che potrebbero dover cancellare le loro classi miste). Ecco, stanti le regole che ci siamo dati, noi diremo a queste persone che dovessero, nel caso, scappare in gran fretta, che no, non li vogliamo, nemmeno esamineremo le loro richieste di asilo. Che stiano a casa loro: noi siamo impegnati nel preparare il Natale in cui entrambi, loro e noi, diciamo di credere.
Se la Siria parla anche di noi. Regimi e diritti, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 17 dicembre 2024, editoriale, pp.1-3