L’insegnamento delle religioni questione da Stato laico. Insegnare le religioni nella scuola pubblica

L’insegnamento delle religioni questione da Stato laico. Insegnare le religioni nella scuola pubblica

Il problema dell’insegnamento dell’islam a scuola è serio, e va discusso seriamente. Perché non riguarda solo l’islam. Il problema vero, e più ampio, è un altro: dobbiamo continuare ad avere, nella scuola pubblica, un insegnamento confessionale cattolico pagato dallo stato, con l’opzione per chi non lo vuole di evitarlo, e nient’altro? C’è un problema di rispetto delle minoranze e di parità di diritti? E, ancora più importante, c’è un problema di maggiore conoscenza del fatto religioso da parte di tutti? Le ricerche ci dicono di sì, e questo è un problema: non siamo in grado di capire quanto è contenuto nei nostri musei, o la simbologia di una cattedrale, e quindi la nostra stessa storia, se non conosciamo la cultura cristiana, e la Bibbia da cui deriva. Per cui un insegnamento religioso dovrebbe essere obbligatorio per tutti. Ma non siamo in grado di capire il mondo contemporaneo e il nostro paese, se non conosciamo nulla delle altre religioni: sia quelle che sono da tempo minoranze interne (una, l’ebraismo, è dopo tutto in Italia da prima ancora del cristianesimo), sia quelle arrivate con l’immigrazione, ma che rappresentano le grandi culture religiose dell’umanità: induismo, buddhismo, e ancora di più l’islam, che è diventato la seconda religione in tutti i paesi europei.

Il problema non è quindi islam sì o islam no. Ma tornare all’interrogativo di fondo, sull’insegnamento religioso nella scuola, e guardarsi un po’ intorno. Alcuni paesi europei finanziano l’insegnamento religioso confessionale: ma non solo della confessione maggioritaria – anche delle minoranze riconosciute, islam incluso. Altri ancora forniscono un insegnamento religioso statale, obbligatorio o opzionale: ma, come per le altre materie, si fanno carico di deciderne i contenuti e di selezionarne i docenti. Da noi invece lo stato ha deciso di assumersi l’onere di un insegnamento confessionale, che tuttavia è facoltativo (non potendosi obbligare i cittadini di altra o nessuna confessione religiosa a frequentarlo, anche se nei fatti non sono a disposizione opzioni alternative), lasciando il controllo sugli insegnanti a un ente esterno (la chiesa, che può nominarli e revocarli, anche per motivi che nulla hanno a che fare con il contenuto e le modalità dell’insegnamento, ad esempio per motivi morali), e compiendo una evidente discriminazione nei confronti dei suoi cittadini non cattolici.

Da tempo anche in Italia si va manifestando una corrente di opinione che, tenendo conto dei cambiamenti avvenuti nella società (una sempre minore percentuale di cattolici, un sempre maggiore pluralismo religioso, e una progressiva equiparazione dei diritti di tutti), propone non più l’ora di religione cattolica, ma l’ora delle religioni, con programmi costruiti anche in collaborazione con le confessioni religiose (a cominciare da quella cattolica), ma con curricula uguali per tutti, e la selezione degli insegnanti sulla base di concorsi attitudinali, come per qualsiasi altra materia. Questo consentirebbe di dare dignità vera a un insegnamento che ora è già nelle cose di serie B, favorendo una alfabetizzazione religiosa degli italiani ora a livelli drammaticamente bassi, e rispettando le convinzioni di tutti.

Oggi sempre più italiani si dichiarano di diversa confessione religiosa (almeno 1 milione e 300 mila) o di nessuna (i praticanti cattolici sono tra un quarto e un terzo della popolazione), e gli immigrati ci hanno portato nuove confessioni religiose (non meno di 3 milioni di stranieri non cattolici, che progressivamente diventeranno italiani o lo saranno i loro figli). Il che significa che anche l’Italia è diventata un paese religiosamente plurale. Su questo, che è un cambiamento epocale, la riflessione è in ritardo, anche perché polarizzata tra clericali e giacobini, e tra anti-islamici e no. Forse è il caso di ritornare ad essere, credenti o meno, semplicemente laici.

Stefano Allievi

“Il Mattino”, 28 ottobre 2009, p. 1-15