Immigrati: l’inflazione di provvedimenti emergenziali crea più problemi di quanti ne risolve
Cosa ci inventiamo oggi di nuovo sull’immigrazione? Sembra che funzioni così, la faticosa elaborazione di politiche sul tema. Per stratificazioni cumulative, anche in rapidissima successione. Una volta sono le ONG, subito dopo il decreto flussi (unica decisione che va nel senso di un’apertura: tutte le altre sono improntate a una logica suicida di chiusura totale), un’altra volta il raddoppio dei centri per il rimpatrio e l’allungamento dei tempi di detenzione nei medesimi, per poi rilanciare con un pagamento per non andarci (il prezzo della libertà?), e infine con discutibili iniziative sui minori, inframmezzando il tutto con uno scontro con la Francia sui respingimenti a Ventimiglia, e un altro con la Germania perché dà dei soldi a Sant’Egidio o a qualche ONG cui si imputa la responsabilità di salvare delle vite umane, sottoponendoci all’umiliante figuraccia di sentirci ricordare che è quanto fa anche la nostra guardia costiera. Tutte decisioni estemporanee sull’onda di una presunta emergenza, che dura ormai da anni se non decenni. Ma niente che venga deciso tutto insieme, lo stesso giorno, in nome di una riflessione complessiva, di un riassetto globale delle politiche. Oggi qui, domani là, con il contributo di tutti i ministeri: in prima linea ovviamente quello dell’interno, conditi però da una frase choc sulla sostituzione etnica rilanciata da quello dell’agricoltura, una polemica proveniente dalla difesa, un’altra che coinvolge gli esteri, per non parlare del ministro delle infrastrutture, che commenta a tutto campo spargendo parole in libertà su complotti e atti di guerra (per fortuna poco ascoltate nelle cancellerie straniere) anche se le tematiche non sono di sua competenza, con la premier che invece di fare sintesi dà la sensazione di volersi ritagliare un proprio ruolo diretto, come visto con la Tunisia o nella lettera al suo omologo tedesco. Una gara, praticamente. Un brainstorming permanente.
Tutto ciò non può che alimentare un iperattivismo inevitabilmente accompagnato da un crescente livello di improvvisazione, non di rado di irrazionalità, alimentato da una ossessione ideologica che viene da lontano, e da qualche eccesso di furore verbale: nell’assenza di una vera strategia e di azioni di prospettiva. Se ne è accorta persino la/il presidente del consiglio, che se non altro ammette che sull’immigrazione il governo non sta raggiungendo i risultati sperati. E si capisce, dato che l’obiettivo era e resta quello di combattere l’immigrazione, considerandola un problema in sé, anziché regolamentarla, gestirla, interpretandola come l’opportunità che invece rappresenta, per le imprese alla ricerca di manodopera, per una previdenza che altrimenti salterebbe prima del previsto, per una demografia che ci sta già penalizzando enormemente, ma i cui effetti saranno ancora più devastanti e impoverenti nel medio e lungo termine.
Si preferisce, anche adesso che si è al governo e non più all’opposizione, combattere una battaglia che mette a repentaglio i rapporti con i nostri alleati francesi e tedeschi (che, peraltro, paradossalmente, ricevono annualmente più richiedenti asilo di noi, che ci lamentiamo degli sbarchi) e produce isolamento (oltre che qualche probabile bocciatura) in Europa, pur di strizzare l’occhio all’elettorato interno. Inducendo peraltro a provvedimenti che sembrano animati, anziché dalla razionalità, da puro cattivismo, che è categoria politica e culturale assai più tangibile e diffusa del vituperato buonismo di cui tanto si è parlato in passato. Ne sono stati esempi le circolari per spedire le navi delle ONG in porti lontani o impedire loro di fare più salvataggi nel corso della stessa missione (salvo smentirsi e chiedere il loro aiuto nei momenti di pressione maggiore). E ne sono dimostrazioni recentissime la decisione di portare a 18 mesi la permanenza nei CPR (che, se sono davvero centri per il rimpatrio, dovrebbero avere interesse a diminuire i tempi, anziché allungarli – mentre se diventano centri di detenzione di persone che non hanno commesso reati finiscono per essere semplicemente illegali), o la singolare proposta, mai avanzata né discussa prima, di inventarsi una cauzione da 4.938 euro da far pagare agli immigrati provenienti dai cosiddetti “paesi sicuri”, che dovrebbero fornire una fidejussione (siamo curiosi di vedere come, nella pratica, visto che anche per un italiano ottenere una polizza fidejussoria presuppone dichiarazione dei redditi, proprietà, un lavoro fisso, e banalmente un indirizzo di residenza). Per finire con l’inversione dell’onere della prova per dimostrarsi minorenni, l’inserimento dei suddetti in centri per adulti, e il raddoppio per decreto dei posti disponibili in strutture già oggi al limite della vivibilità.
Forse sarebbe più utile, invece di agire in preda a una spinta compulsiva all’(improvvis)azione, sostenuta da incontinenza verbale e motivata dai pregiudizi del passato, fermarsi un attimo, ragionare a freddo, pacatamente, magari ascoltando qualche voce esperta, copiando qualche esperienza riuscita altrove, e fare persino lo sforzo, maggioranza e opposizione, di fare delle proposte sostenibili, ragionevoli, pacate, non a scopo polemico, che guardino alle prossime generazioni anziché alle prossime elezioni (europee). Tanto, né da una parte né dall’altra, c’è davvero interesse a incancrenire il problema: prima o poi bisognerà offrire delle soluzioni. Che non si ottengono continuando a mettere l’uno contro l’altro, il cittadino contro l’immigrato, la destra contro la sinistra, il nostro paese contro gli altri. Solo quando capiremo questo, usciremo dall’emergenza permanente. E cominceremo a fare buon uso dell’immigrazione.
I migranti e le nuove invenzioni, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 29 settembre 2023, editoriale, p. 1