Guerra, grano, migrazioni. Le correlazioni (in-)visibili
La società è complessa per definizione. Proprio per questo non è raro trovare, nelle pagine dei giornali che la descrivono, notizie apparentemente scollegate, ma che a uno sguardo più attento possono illuminare alcune sottili correlazioni.
In questi giorni ne abbiamo due, una interna e una internazionale. Quella interna è legata alla mancanza di manodopera nel mercato del lavoro. Notizia prevedibilissima se ci si fosse presi la briga di leggere dei dati già qualche anno fa, dato che è più di un quarto di secolo che l’Italia è in recessione demografica (ha più morti che nati), ma di cui ci si accorge solo ora. Quella internazionale è legata alla guerra in Ucraina, alla crisi alimentare globale che rischia di innescarsi a seguito del blocco del grano nei porti ucraini e alla futura mancata produzione di un bene primario, e quindi alla povertà e al probabile aumento del potenziale migratorio di molti paesi che rischia di innescarsi.
Da cosa sono collegate queste due notizie? Da una cifra: 400mila. È di 400mila persone la differenza (in negativo) tra nati e morti che l’Italia ha registrato lo scorso anno. Ed è di 400mila la previsione fatta dai servizi di intelligence italiani (in realtà non una stima, ma le dimensioni di una preoccupazione potenziale) di nuovi arrivi di migranti legata all’emergenza alimentare.
Vale la pena di analizzarli insieme, questi dati. Se si trattasse di 400mila nuovi nati (poco importa se figli di italiani o di immigrati, visto che i secondi già da anni contribuiscono per più di un quinto al totale delle nascite), tireremmo un sospiro di sollievo, tornando almeno a un equilibrio tra nati e morti che resterebbe peraltro insufficiente. Se si trattasse (se solo fosse possibile) di 400mila ventenni improvvisamente materializzatisi nelle nostre città, saremmo ancora più contenti, visto che potrebbero coprire una parte almeno del fabbisogno di manodopera che già oggi c’è, e considereremmo questa notizia una grandiosa opportunità. Ma siccome si tratta di 400mila potenziali immigrati, la parola che si usa non è opportunità ma rischio. Certo, ci sono rischi connessi all’immigrazione, come ci sarebbero rischi connessi, che so, alla mancata istruzione e socializzazione dei nuovi nati. Dove può stare, allora, la differenza tra rischio e opportunità? Nella consapevolezza del problema e nella sua gestione.
Così come ai nuovi nati (la cui esistenza dovremmo incentivare con politiche strutturali a favore della natalità, delle famiglie e della compatibilità di lavoro e accudimento) siamo tenuti ad assicurare servizi e istruzione, trasformando un peso potenziale in un vantaggioso investimento, così ai nuovi arrivati dovremmo pensare nello stesso modo. Ragionando su come gestirne gli arrivi, innanzi tutto: non affidandosi al caso, alla iniziativa dei singoli, o peggio alle organizzazioni mafiose che si occupano di tratta dei migranti, ma ri-cominciando (sì, perché in passato lo si faceva), come stati, a gestirla in proprio, in maniera organizzata, regolare anziché irregolare, sulla base delle esigenze del mercato del lavoro, concordata con i paesi d’origine e vantaggiosa quindi per entrambi. Per poi occuparsi dei processi di integrazione: con investimenti sullo studio della lingua, della cultura e delle regole del patto sociale, con iniziative di formazione professionale in collaborazione con le associazioni di impresa, favorendo la reciproca conoscenza, evitando forme di segregazione urbana e lavorativa, che rischiano di produrre, se va bene, un cattivo inserimento, e se va male conflitti interculturali, etnici e razziali.
Per qualunque attività o politica bisogna spendere: intelligenza, denaro, iniziativa, capacità previsionale. Non è possibile lasciare l’immigrazione all’anarchia o al solo libero mercato, evitando di occuparsene per non scontentare qualcuno. Così come non si può non attivarsi rispetto all’emergenza alimentare, che potrebbe avere riflessi anche da noi. Occupandocene, potremmo dare un senso ad accadimenti apparentemente lontani, ma come abbiamo visto tra loro collegati, anziché accontentarci di lasciarceli piovere addosso, senza neanche fare lo sforzo di aprire l’ombrello (e prima ancora, di guardare le previsioni del tempo).
Più che rischioso, opportuno. La società e i migranti, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 3 giugno 2022, editoriale, p.1