Fare (ancora) figli oggi. Cosa manca? Cosa occorre?

Di fronte al calo demografico, ci si divide tra chi insiste su questioni materiali (non si hanno più figli perché è economicamente impegnativo) e chi invece su ragioni culturali (non si hanno perché non si vuole più). Un fenomeno complesso ha sempre più ragioni dietro di sé, e quindi necessita di risposte articolate.

Le questioni materiali contano molto. È vero che tutt’ora, nel mondo, a fare più figli sono i paesi più poveri, e all’interno delle città i quartieri più poveri. Ma anche in quest’ambito le cose stanno cambiando, e in talune realtà dove il minimo vitale è garantito, e una dose significativa di welfare pure, si può notare una maggior propensione alla fecondità nelle fasce più ricche: dove la ricchezza va intesa più come livello di istruzione complessivo, e come capitale pubblico (servizi), che come classe sociale di provenienza (in Italia ormai fa più figli il nord del sud: perché ci sono gli immigrati, ma anche una rete di servizi migliore, come mostra il caso di Bolzano). A parità di cultura, per così dire, la Francia ha invertito la rotta quando ha adottato politiche familiste generose, e in tutti i paesi europei in cui la natalità è più alta, oltre che diritti e tutele contrattuali, vi sono reti di servizi funzionanti, che consentono maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro (che oggi, a differenza che nel passato, è in correlazione diretta con il tasso di fecondità: non a caso è più alto tra le italiane all’estero, con più elevato tasso di partecipazione al mercato del lavoro, che tra le italiane in Italia). Quindi una buona combinazione di incentivi (seri, non bonus una tantum), congedi parentali pagati, quozienti familiari, e ancor più servizi strutturali come asili nido e tempo pieno scolastico per tutti (e periodi di vacanza scolare più brevi: una chiusura di tre mesi, in mancanza di servizi alternativi, è ingestibile per una famiglia), sconti famiglia per le vacanze e i trasporti, ecc., darebbe un enorme contributo alla natalità.

Ragioni economiche e culturali peraltro si intrecciano. Si fanno figli quando si è ottimisti sul futuro (non a caso i tassi di natalità sono crollati nel periodo Covid). Negli anni del boom economico e successivi si facevano più figli anche perché si aspirava a uno status migliore (chi non era piccola borghesia, aspirava a diventarlo, e poteva crederci con fondamento). Oggi – e questo è un sottovalutato fattore di crisi – il ceto medio si è largamente impoverito, chi non lo è non ha molte speranze di diventarlo, le diseguaglianze sono aumentate schiacciandolo e minacciandolo, l’orizzonte è oscuro, l’edilizia popolare inesistente, l’accesso al credito pure, il precariato giovanile diffusissimo, l’età media in cui si abbandona la famiglia si sta quindi alzando anziché scendere. Persino gli immigrati, che hanno tassi di fecondità più elevati degli autoctoni, li diminuiscono con rapidità maggiore, adeguandosi rapidamente al contesto.

Ma c’è anche un modo di concepire i servizi che non tiene conto dei cambiamenti avvenuti nella società. La maggiore mobilità (anche solo interna al paese) separa dai nonni come risorsa sostitutiva di welfare: in mancanza di servizi pubblici a prezzi accessibili inevitabilmente questo si riverbera sul tasso di fecondità. Abbiamo già accennato all’assurdità di mantenere un periodo di vacanza estivo così lungo. I nidi dovrebbero offrire orari più lunghi e flessibili (come fa chi lavora fino alle 19, o in turni serali, senza nonni?). Altrove esistono strutture, anche private, come dei nidi serali e notturni, per consentire a una coppia di uscire la sera o passare una notte fuori, per non costringerla all’immobilità e alla perdita totale di socialità se ha figli. Il tempo pieno dovrebbe essere obiettivo cruciale, per consentire ai ragazzi di svolgere anche attività altre (sportive, creative e ricreative, di socializzazione: e anche aprendo le scuole in orari serali ai quartieri). In sovrappiù, l’idea della città dei quindici minuti, a misura d’uomo, di donna e di bambino, in cui anche i minori potrebbero andare da soli (senza essere accompagnati) alle loro attività, in sicurezza, è un aspetto importante. Elemento fondamentale resta comunque la partecipazione al lavoro (garantita, però, e con salari sufficienti): dei giovani, per aiutarli a uscire dalla famiglia, e delle donne. Anche per consentire una più equilibrata divisione dei compiti tra maschi e femmine: solo se accadrà la prima cosa, temiamo, accadrà anche la seconda.

 

Le politiche familiari. Fare (ancora) figli oggi, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 26 maggio 2022, editoriale, p.1