Elezioni Veneto 2020: luglio o ottobre cosa cambia?

Via il dente, via il dolore. Potremmo metterla anche così, la discussione sulla data delle elezioni in Veneto. Luglio o ottobre, probabilmente cambia poco. Certo, per ottobre i candidati dell’opposizione avrebbero più tempo per farsi conoscere, e far conoscere i loro programmi: e sarebbe democraticamente giusto. A luglio invece sarà monocolore Zaia anche dal punto di vista comunicativo: una specie di one man show. Ma, di fatto, viviamo un tempo di democrazia quasi sospesa: e non è bene, ma va detto – anche ai cittadini, impauriti, in questo momento, interessa relativamente poco. In ogni caso, sappiamo già come andrà a finire. Un po’ come se allo stadio si giocasse Brasile contro Empoli, o all’autodromo corressero una Ferrari e una Skoda, con qualche Trabant di contorno. Una data vale l’altra: l’incertezza è relativa.
L’elemento democratico in gioco è importante. Veniamo da due mesi di sostanziale esposizione mediatica di chi governa, sia a livello nazionale che regionale, e anche locale. Non a caso quasi tutti i presidenti di regione che vanno a elezioni vogliono votare subito, a prescindere dalla collocazione politica (anche il PD De Luca in Campania, per dire). È come se ci fosse un candidato unico, dal punto di vista della comunicazione politica: chiaro che non si gioca ad armi pari, e nemmeno dispari – qualcuno avrà pallottole vere, gli altri spareranno a salve, o faranno softair. Sempre dal punto di vista comunicativo, è persino peggio di quando era in campo Berlusconi con le sue TV private. Perché anche le tv di stato (e alcune locali), dipendenti dal potere politico e abitualmente prone a chi rappresenta il governo in quel momento, di fatto non potranno, nemmeno volendo, esercitare alcun equilibrio: la comunicazione istituzionale sarà comunque soverchiante anche perché di pubblico interesse, in questo momento, e quindi lo spazio dell’opposizione sarà ridotto al lumicino.
In Veneto tutto ciò è ancora più evidente. Zaia è il vincitore previsto, assoluto e indiscusso: semmai può variare il margine del plebiscito. Lo era già prima del coronavirus, lo è ancora di più dopo. L’elenco dei riconoscimenti nazionali e persino internazionali perché l’emergenza è stata gestita meglio, o comunque meno peggio, compatibilmente con il fatto che siamo in Italia, dove è andata peggio che nel resto d’Europa, è unanime e trasversale (che sia merito suo, del virologo Crisanti o del sistema-regione, o più probabilmente dell’incrocio di tutte queste variabili). Non è questione di collocazione politica, oltre tutto: sappiamo bene che nella Lombardia guidata dal compagno di partito leghista Fontana è andata molto peggio, e semmai Zaia e Fontana sono un po’ gli estremi opposti della gestione della pandemia, sia sul piano sanitario che su quello economico-sociale. Infatti le elezioni premieranno Zaia, non la Lega, come sancito peraltro dalle elezioni precedenti, in cui le liste legate al nome del governatore contano molto più della Lega stessa, pur forte a livello nazionale e regionale, anche se in calo di consensi rispetto ai tempi di Salvini al governo.
È significativo che non ci sia nemmeno l’ombra di una polemica sul pur legittimo terzo mandato di Zaia (a differenza di quanto accaduto quando si prospettava per Galan), in un mondo in cui nella maggior parte degli incarichi istituzionali, a cominciare dai sindaci, il limite è di due. Segno che non c’è partita nemmeno interna allo schieramento di centro-destra: Zaia non è il candidato unico, ma proprio l’unico candidato. L’unico possibile, l’unico spendibile: intorno c’è il deserto. Come c’è dall’altra parte, nelle file dell’opposizione: dove il candidato del centro-sinistra, Lorenzoni, è sparito dai radar per due mesi, travolto anch’egli dall’onda della onnipresente comunicazione istituzionale, ricomparendo solo ora, finito il lockdown. Mentre quello del Movimento 5 Stelle è un mero candidato di bandiera, e non c’è ancora traccia di un vero terzo polo.
Non c’è gara, non c’è partita. Dunque – anche se non sarà il gioco democratico, nella sua pienezza, ad essere giocato – non c’è e non ci sarà vera competizione elettorale. Forse, davvero, tanto vale liberarsene subito. Via il dente, via il dolore…

Una vittoria senza avversari, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 8 maggio 2020, editoriale, p.1